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La tela di Penelope. La geografia politica del mondo che si pretende globalizzato non cessa di mutare. Negli ultimi sette decenni è stata rivoluzionata tre volte: si è passati da un bipolarismo che aveva affannosamente contenuto molte spinte autonomistiche, ma non tutte, all’ubriacatura dell’unipolarismo americano subito dopo la caduta del Muro di Berlino, per ritrovarci oggi in un’ipotesi di sistema multipolare. Che questa sia una garanzia di maggiori equilibri o la promessa di più acuti conflitti è da determinarsi.
Fatto sta che dal 1989 in poi, al contrario di quanto sosteneva Fukuyama, la storia ha visto accelerarsi dinamiche, nascere e disfarsi coalizioni.
L’esplosione della Cina, la crescita dell’India, la ripresa della Russia, la resistenza del Giappone, la conferma delle ambizioni d’Israele e di quelle, più limitate, dell’Arabia Saudita, l’ascesa del Brasile e di altri paesi emergenti, il tramonto della Gran Bretagna, l’altalenarsi di prove di forza e di debolezza da parte americana, il costituirsi dell’Unione Europea, l’avvento dell’Euro, il potenziamento, ad est, dello Sco (l’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione), le affermazioni regionali di Iran e Turchia, tutto questo e altro si è manifestato sullo sfondo di contese economiche, energetiche, politiche, a volte militari.
Contese avvenute soprattutto nelle cerniere strategiche, che corrispondono alle fonti energetiche naturali, alle autostrade della droga e alle pipelines.
In questo scenario movimentato, in questi mutati equilibri, muovono i primi timidi passi, dopo una lunga subalternità, sia l’Europa sia l’Italia che segue le strade tracciate dall’Eni.
In questo quadro s’intrecciano le cooperazioni e le rivalità tra i diversi attori strategici e vengono mosse le guerre sporche, affidate per ragioni diplomatiche a organizzazioni guerrigliere o terroristiche.
Questa è la matassa di cui si deve trovare il bandolo per poter essere protagonisti del nostro futuro.
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