Relazioni Internazionali

NANI DA GIARDINO – L’Italia tra sudditanza usa e getta e nuove prospettive

Cosa potrebbe accadere se dei gendarmi internazionali manovrassero un processo di disgregazione dell’unità italiana?

Magari una balcanizzazione sotto forma di macroregioni indebolite, ma con una consolidata influenza del potere finanziario tedesco nel nord, ad esempio.

Numerosi porti franchi sotto l’egida delle corporations cinesi.

Il crearsi in altre regioni di una situazione politica analoga a quella del Kosovo.

di Dario FabrisManager, agente di commercio in Russia e in Estremo Oriente

Creare instabilità e divisioni interne in una potenza rivale o in un Paese rilevante strategicamente, sia esso amico o avverso, è la priorità di qualsiasi potenza che ambisce al perdurare del proprio dominio globale.

Cosa potrebbe accadere se dei gendarmi internazionali manovrassero un processo di disgregazione dell’unità italiana?

Magari una balcanizzazione sotto forma di macroregioni indebolite, ma con una consolidata influenza del potere finanziario tedesco nel nord, ad esempio. Numerosi porti franchi sotto l’egida delle corporations cinesi. Il crearsi in altre regioni di una situazione politica analoga a quella del Kosovo. E con una Nato dai bilanci ridotti, la possibilità di vedere una flotta russa restaurata in azione nel Mediterraneo, assieme ad una Turchia come nuovo attore indipendente. Scenari di fantapolitica che metterebbero a nudo tutte le contraddizioni della maggiore testa di ponte nel Mediterraneo. 

Evidenziate da revisionisti storici e non, partendo proprio dalla discussa fase risorgimentale, a suon di dati spesso incomparabili con quelli attuali e tendenti a dimostrare una situazione generale dell’Italia preunitaria migliore di quella odierna. Tra questioni meridionali e settentrionali, bilanci positivi o negativi dal processo storico unitario fino ad oggi, il dover dimostrare che l’idea stessa di nazione italiana sia discutibile o meno, è tutt’ora tema di dibattito. 

Diverse figure del Pantheon patriottico ebbero idee e personalità distanti anni luce tra loro: si pensi alle differenze tra un pragmatico affarista alla Cavour e un martire alla Pisacane, non a torto considerato il padre del pensiero anarchico, avverso sia alle idee di Mazzini, sia al concetto unitario stesso, incline piuttosto ad un federalismo di matrice libertaria. Ed è proprio il federalismo al centro di dibattiti politici, ma svuotato di significati profondi per far spazio alle esigenze del mondo bancario, vero ago della bilancia nella politica italiana. 

Contraddizioni rilevanti sono rappresentate tutt’ora dallo “Stato nello Stato” Vaticano, il cui potere spirituale si somma a quello delle attività speculative e ai privilegi fiscali, facendone una sorta di paradiso offshore simile ad una Bonyad iraniana. Le cui ingerenze, dettate da scelte di campo, le si ritrovano ad esempio nelle polemiche innescate da un protagonista del suo braccio politico come Don Sturzo nei riguardi di Enrico Mattei, contro le sue tenaci strategie per l’indipendenza energetica. Mentre il centro della cristianità resiste, la partitocrazia e le clientele decretarono la fine degli enti fondati da Beneduce e dei grandi nomi dell’industria italiana di Stato, trasformatisi in carrozzoni in perdita, ed infine preda di colossi industriali e finanziari esteri. Una questione che resta tutt’ora aperta e che affligge anche le ultime grandi aziende a capitale statale, contro i paladini di privatizzazioni e svendite, in un declino che procede inarrestabile, e che sta aprendo le porte anche agli azionisti del celeste Impero.

Un declino che sembra colpire anche la consolidata tradizione diplomatica italiana. Il caso Battisti ne è la prova evidente. In un teatrino fatto di finti indignati, forcaioli improvvisati e il principale imputato nel ruolo artificioso di vittima illuminata, le ragioni della classe dirigente degli ex discepoli di Carlos Marighella -elogiati anche da un Marchionne- hanno prevalso per ora. Ma ha prevalso anche il ruolo di un Paese emergente e sempre più sovrano contro una testa di ponte sotto continua pressione da oltreoceano e dai fratelli maggiori della Ue. E analizzando le situazioni di diversi Paesi latino-americani, vi è la sensazione che l’epoca dei nani da giardino usa e getta alla Pinochet o alla Stroessner -che esibì con orgoglio l’apertura di uno stabilimento Coca Cola in un Paraguay disastrato e dominato dal Brasile per conto di Washington- sia solo un capitolo del passato. Kirchner e il suo atteggiamento degno di un Perón nei riguardi del FMI, è un esempio. E i giochi del cortile di casa non erano presieduti solo da Washington: un esempio è il documento di autocritica del PC argentino qualche anno dopo la fine del “Proceso”, sulle deviazioni del partito che sostenne i militari in conformità alle direttive di Mosca. O alla presenza a Santiago dietro Pinochet, nelle tribune riservate agli ospiti illustri in occasione di parate militari, dei dignitari cinesi in alta uniforme da guardie rosse.

Come l’Italia insomma, un ring per le potenze. Costosi nani da cortile usa e getta, accomunati a un leader laico come Reza Pahlavi per il destino che sembra esser loro riservato dagli eventi, sono anche quei capi di Stato del Nord Africa, attori politici di quelle correnti laiche pan-arabe e figlie lontane del partito Baath, legati anche all’Italia e non immuni da corruzione e nepotismo, oramai troppo dispendiosi per il budget americano e pronti ad essere rimpiazzati con scenari politici fatti di dorsali colorate, magari in verde, proprio per vanificare qualsiasi reale intesa tra Paesi mediterranei, creando nuove incertezze sugli affari consolidati dell’Italia. Ove, messo al bando definitivamente Keynes, nel bel mezzo delle guerre tra comitati d’affari legati agli schieramenti politici, un ibrido societario come la Fiat si afferma come cavallo di troia per l’introduzione di nuove regole sul lavoro come unico antidoto per sopravvivere alle ferree leggi di mercato, nel totale silenzio degli schieramenti politici, troppo occupati a litigare sui temi dominanti del voyeurismo mediatico attuale.

Invece, per una parte del mondo politico e affaristico italiano puntare sul mercato russo sembrerebbe essere la scelta vincente, pur non tenendo spesso conto di numerose incognite legate alla stabilità non solo economica del gigante in questione. I proclami sui grandi progetti energetici rilanciati continuamente dai due presidenti risultano ambiziosi, ma lasciano spazio a numerosi dubbi per gli addetti ai lavori -azionisti compresi- di ambo le parti, sia per l’aspetto realizzativo -tecnologie e reale produttività-, sia per quello finanziario -bilanci in rosso di Gazprom- , per il quale saranno determinanti le scelte di Berlino.

Non è un caso se la Russia dopo ogni prova di forza mostri sempre i propri limiti, ricorrendo all’aiuto di colossi stranieri come BP o delle compagnie tedesche, in mancanza di know-how aggiornato in diversi settori. Lo stesso Medvedev afferma che senza la dovuta attenzione per questioni reali come la corruzione interna, i limiti di un potere chiuso in gabbie oligarchiche legate ai burocrati altolocati e il tracollo demografico -basti pensare al record di aborti detenuto assieme alla Romania-, la situazione potrebbe implodere nel corso degli anni. Il tutto, sommato ai continui appelli alla modernizzazione dell’economia, con l’intento di attirare un numero maggiore di investimenti stranieri. Minoranze interne sempre più prolifiche, l’apertura oltre la CSI a settori chiave come le forze armate per reclutare nuovi volontari, i diktat imposti al Cremlino da parte di alcune repubbliche autonome, spesso a forte presenza islamica e sotto forma di ricatti fatti di maggiori richieste di autodeterminazione, danno vita a scenari preoccupanti per gli stessi russi slavi. E i massacri nella regione di Krasnodar e Stavropol, riportano in primo piano il problema della sicurezza interna e l’assenza di apparati statali per il reale controllo di territori in balia del crimine organizzato.

La scommessa sarà con l’attuazione dei progetti dopo l’assegnazione dei mondiali di calcio, attraverso una gestione in trasparenza degli affari interni e che mostrerà il reale potenziale d’intesa con le aziende italiane. Ma si tratta comunque di uno Stato sovrano. Con un presidente che può arrogarsi il diritto di umiliare pubblicamente dinanzi a milioni di spettatori, i propri ministri colpevoli di gravi negligenze, come accaduto durante gli incendi dell’agosto 2010, incurante di gogne mediatiche o minacce di paesi terzi.

Nulla a che vedere con il declino ineluttabile di una potenza industriale, insensibile all’agonia dei propri indotti e al cavallo azzoppato del Made In Italy, ma ligia alle direttive dell’alta finanza. E che potrà continuare a sedere al tavolo dei grandi, solo con maggiori aperture ai mercati del G-20, unici Paesi in ascesa in condizioni di dire no a chi vogliano, persino a Washington.

Tratto da “Polaris – la rivista n.5 – RESETTARE L’ITALIA” – acquista qui la tua copia

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