Relazioni Internazionali

CINA, POTENZA DI MARE – Lo sviluppo della flotta e il miraggio di una talassocrazia

Dopo anni in cui Pechino si è curata principalmente di consolidare ed espandere la propria forza terrestre, dal 2000 ha preso avvio il piano “Alta tecnologia marittima”, con cui si è inteso rafforzare la Marina dell’Esercito popolare di liberazione, strategia con cui si punta al controllo dei principali corridoi marittimi e delle basi in acque profonde. 

Le basi navali, i porti fluviali, le dighe, le basi sottomarine protette si moltiplicano e si modernizzano, accompagnando l’esplosione economica di una nazione di cui il 90% del commercio estero dipende dalle rotte marittime.

Nel 1995 la Cina è diventata il terzo costruttore mondiale di mezzi navali, dopo il Giappone e la Corea del Sud e si prospetta per Pechino il riconoscimento di primo cantiere navale del mondo entro il 2020. 

di Francesco BocoLaureato in filosofia

Le manovre politiche che la Cina mette in campo s’inseriscono in una precisa strategia regionale e globale di potenza. È in quest’ottica che bisogna osservare lo sforzo che negli ultimi anni ha proiettato la potenza asiatica negli oceani.

Il Ministero del commercio cinese prevede per il 2010 una crescita economica del 10% nel primo trimestre e un incremento medio dell’8% su base annua. Con la produzione industriale aumenterà anche il consumo di combustibili, si prevede dunque che la domanda di carbone sia destinata a crescere; le importazioni di coke dovrebbero aumentare del l6% nel 2010, rispetto al 2009, attestandosi su 38M di tonnellate. Anche solo da questo aspetto si evince quanto siano importanti le rotte marittime per l’economia cinese.

L’apertura verso l’esterno è ispirata dallo studio dei grandi imperi marittimi della storia. Le nuove ambizioni Cinesi si legano al nome del- l’ammiraglio eunuco Zheng He, il quale con la sua poderosa flotta pro- iettò la Cina sugli oceani del globo tra il 1405 e il 1433. Dopo anni in cui Pechino si è curata principalmente di consolidare ed espandere la propria forza terrestre, dal 2000 ha preso avvio il piano “Alta tecnologia marittima”, con cui si è inteso rafforzare la Marina dell’Esercito po- polare di liberazione, strategia con cui si punta al controllo dei principali corridoi marittimi e delle basi in acque profonde.

La Cina ha puntato a un migliora- mento delle tecnologie navali e a un aumento significativo della flotta commerciale e militare. Nonostante ciò le ambizioni geopolitiche finora hanno spinto Pechino verso una forma di soft power che tende a intimorire e coglie ogni opportunità di mediazione, come è già avvenuto con l’India, maggiore rivale regionale. Il soft power cinese è dettato da due 

fattori importanti: il nodo rappresentato da Taiwan e la protezione delle vie marittime dell’importazione. Le rivendicazioni nei confronti di Taiwan hanno lungo corso e in passato hanno quasi scatenato una vera guerra. Pechino ritiene l’isola parte del proprio territorio. L’importanza strategica e commerciale di Taiwan è lampante: si trova tra le Filippine e il Giappone e controlla lo sbocco verso il Pacifico, nonché il perimetro di acque che lambiscono Corea e Giappone. Taiwan rientra dunque negli interessi decisivi di Pechino, ma pare che la situazione si stia indirizzando verso un’annessione simile a quella di Hong Kong. Dall’ottenimento dell’isola dipenderà il libero accesso ai vasti spazi del Pacifico e ai corridoi marittimi del sud-est asiatico, e da qui alla penisola indocinese. Il secondo fattore di interesse riguarda la protezione delle vie marittime di approvvigionamento di idrocarburi, per un paese diventato il secondo importatore mondiale di petrolio.

Oltre alle rivendicazioni insulari, Pechino contesta alcune frontiere marittime al Giappone e al Vietnam. Le quote di pesca, poi, contrappongono il nuovo gigante asiatico alla Corea del sud, al Giappone, al Vietnam e alle Filippine. La vasta linea di proiezione marittima cinese è un focolaio di possibili contrasti – i più impor- tanti con il Giappone e l’India, le maggiori potenze regionali. 

La marina cinese sarà poi impegnata nella messa in sicurezza dei corridoi di rifornimento di idrocarburi dall’Africa e dal Medioriente, attraverso Malesia e Indocina; attraverso le Filippine per i carichi provenienti dall’America Latina. Le basi navali, i porti fluviali, le dighe, le basi sottomarine protette si moltiplicano e si modernizzano, accompagnando l’esplosione economica di una nazione di cui il 90% del commercio estero dipende dalle rotte marittime.

Nel 1995 la Cina è diventata il terzo costruttore mondiale di mezzi navali, dopo il Giappone e la Corea del Sud e si prospetta per Pechino il riconoscimento di primo cantiere navale del mondo entro il 2020. La flotta da guerra statunitense resta ancora la più numerosa e la più tecnologicamente avanzata. 

Nel luglio 2008 sono iniziati i lavori del nuovo gasdotto che dal Turkmenistan, passando per Uzbekistan e Kazakistan, dovrebbe trasportare in Cina 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Oltre a questa tratta che aggira la presenza russa, la Cina dal 2006 ha iniziato ad intensificare gli scambi commerciali con numerosi paesi dell’Africa. La potenza asiatica si muove con abilità nello scacchiere africano, variando i rapporti economici a seconda del contesto in cui si trova ad agire. Secondo “Il Sole 24 ore” gli ambiti spaziano dall’edilizia al commercio, dalle armi alle tecnologie. In cambio la Cina importa dall’Africa ingenti quantità di materie prime come petrolio, gas, legname, rame etc.

Nel 2006 gli scambi commerciali tra Cina e Africa sono cresciuti del 40%, toccando i 55,5 miliardi e secondo Pechino entro quest’anno si potrebbero raggiungere i 100 miliardi di dollari. La presenza cinese in Africa risale a metà degli anni ’90, quando venne attirata dalle ricchezze minerarie necessarie a garantire la crescita economica e industriale cinese. Presenza consolidatasi nel tempo e e diventata manifesta solo nel 2006. Sono più di 20 i paesi africani oggetto d’interesse del gigante asiatico, come Sudan, Angola, Nigeria, Libia ed Egitto. Dalla Libia importa petrolio e ha proposto investimenti in infrastrutture e telecomunicazioni. Con l’Egitto scambi più fruttuosi, con investimenti di oltre 2 miliardi di dollari annui. Oltre al trasferimento di tecnologie, la Cina ha ottenuto appalti per costruzioni civili e industriali e la fornitura di un pro- gramma nucleare ad uso civile.

La penetrazione cinese in Africa parte dal Kenya e si estende al Sudan; da qui alla Nigeria e alla Mauritania, fino all’Angola e al Sud Africa. Nei principali fornitori di risorse energetiche, Sudan, Nigeria e Angola, si sono registrate frizioni con la presenza americana. 

Secondo il “Wall Street Journal” l’Africa è diventata un campo di battaglia strategico. A detta del quoti- diano statunitense, la Cina opera in Africa in prima linea nel tentativo di conquistare una maggiore influenza a livello globale; ha triplicato il commercio con il continente nell’arco de- gli ultimi 5 anni, chiuso i rapporti commerciali con i regimi come il Sudan e sta educando la futura élite africana nelle università cinesi e nelle scuole militari. In tutta l’Africa, la Cina sta conquistando il controllo di risorse naturali, rilanciando gli imprenditori occidentali su importanti progetti di infrastrutture, e concedendo comodi prestiti e altri incentivi 

per sostenere il suo vantaggio competitivo. La più rilevante presenza cinese si registra nei paesi maggiori produttori di petrolio, Sudan, Nigeria e Angola. In Sudan Pechino presidia militarmente la rete di estrazione de- gli idrocarburi, e in Nigeria è pre- sente anche con altre forme di investimenti e appalti, come nel campo della televisione satellitare.

Il soft power cinese non si estende unicamente all’area d’interesse asiatica o alla diversificata politica commerciale ed economica africana, ma ha allungato la sua presenza ai porti d’Europa. Pechino ha oggi oltre i due terzi dell’industria globale dei container. La Cina sta penetrando nei principali moli per lo sbarco e imbarco di container attraverso alleanze e joint-venture, o acquistando quote dei terminal. La cinese Cosco Pacific Ltd. ha concluso nel 2008 un accordo per operare nei moli del Pi- reo per 35 anni. Questa compagnia commerciale è presente anche nei porti di Napoli, Marsiglia, Anversa, 

Rotterdam e altri, ma rappresenta solo una parte del mondo imprenditoriale cinese proiettato su tutti i mari. Costruzione di nuovi porti, ampliamento dei propri e presenza nelle principali destinazioni d’oltre- mare, attraverso queste strategie la Cina e l’Asia in generale sono diventati i più importanti poli marittimi; Hutchison Port Holdings di Hong Kong è il primo terminalista del mondo, vanta terminal in Italia, Egitto, Spagna, Olanda, Polonia, Gran Bretagna tra gli altri Recentemente a Marghera è stata l’imprenditoria cinese a farsi avanti. Il colosso dell’alluminio cinese Wantong ha acquistato all’asta i cantieri navali Dalla Pietà mettendo sul ta- volo tre milioni e mezzo di euro. La Millennium Marine, la società navale del gruppo Wantong guidata da Jian Yong Zhu, ha spostato i propri ingegneri e i propri progettisti a Marghera, rinnovando a tempo determinato il contratto ai dipendenti italiani. 

Tratto da “Polaris – la rivista n.1 – LA PRIMA VERA” – acquista qui la tua copia

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