Relazioni Internazionali

STRADE DELL’EST – I possibili destini per l’Italia e per l’Europa

Dopo il crollo del Muro di Berlino, si era diffusa un’idea illusoria, una convinzione che si fosse ormai giunti ad un mondo “monopolare”, con un’unica potenza egemone, gli Stati Uniti d’America, e soprattutto, con un’unica “cultura”, rappresentata dalla concezione del libero mercato in economia e dalla sua “sovrastruttura” liberal-democratica in politica.

Oggi molti osservatori sono sempre più concordi nel ritenere che il fulcro geoeconomico e conseguentemente geopolitico del mondo si stia spostando verso Oriente e che la centralità della supremazia anglofona vacilli e stia sgretolandosi per cedere il passo ad un multipolarismo già consolidatosi in nuove entità emergenti.

La Comunità Economica Eurasiatica, il Mediterraneo e le nostre possibilità.

di Ermanno VisintainerLaureato in lingue e letterature orientali (turco, mongolo, persiano), membro dell’associazione studi e ricerche euro-asiatiche, presidente cofondatore di Vox Populi, ricercatore e saggista


“Più diventa tutto inutile e più credi che sia vero…e il giorno della Fine non ti servirà l’Inglese

Questo verso, tratto da una celebre canzone di Battiato, “Il Re del Mondo”, sembra, con i suoi toni escatologico-oracolari, prestarsi ad hoc onde schematizzare ed estrapolare gli scenari geopolitici che si prospettano in primis per l’imminente futuro del nostro Paese, del nostro continente, quindi per l’intero pianeta.

L’opprimente crisi economica che stiamo vivendo in prima persona, che con il passare del tempo, anziché trovare una soluzione, morde sempre di più, sembra effettivamente collocarci in una congiunzione epocale oscura ma altresì di metamorfosi rispetto all’immobilismo monolitico che caratterizzava gli scenari delle relazioni internazionali precedenti.

La recente genesi di questi prodromi è stata rappresentata dall’estremo tentativo, da parte dell’Occidente anglofono e dei suoi aedi, di reagire a questo processo attraverso il teo-neoconservatorismo – un ennesimo rigurgito del materialismo dialettico di marxiana memoria – , l’unipolarismo della trascorsa epoca Bush e l’irreparabile crisi finanziaria dell’attuale epoca Obama. I primi due infangatisi nel pantano iracheno, mentre la seconda, preconizzatrice di un crollo di dimensioni ancora più apocalittiche. Quasi a monito di un futuro di rinunce agli standard di vita che, come una spada di Damocle, ci attendono sulla soglia.

Allo stesso modo l’allusione alla lingua inglese, paradigma di un pragmatismo asintattico, dissacratorio e pseudo-egualitario ben si presta ad assurgere ad icona dello scontro di civiltà formulato da Samuel P. Huntington. Di tramonto quindi di un certo Occidente a favore di lingue più conservative e utilizzanti sistemi di scrittura diversi dal latino se non addirittura sistemi ideografici.

Il nuovo fulcro geo-economico

Dopo il crollo del Muro di Berlino, si era diffusa un’idea illusoria, una convinzione che si fosse ormai giunti ad un mondo “monopolare” , con un’unica potenza egemone, gli Stati Uniti d’America, e, soprattutto, con un’unica “cultura”, rappresentata dalla concezione del libero mercato in economia e dalla sua “sovrastruttura” liberal-democratica in politica.

Ma contrariamente a questa visione, oggi molti osservatori sono sempre più concordi nel ritenere che il fulcro geoeconomico e conseguentemente geopolitico del mondo si stia spostando verso Oriente e che la centralità della supremazia anglofona, che ebbe il suo apogeo durante il secolo scorso, vacilli e stia sgretolandosi per cedere il passo ad un multipolarismo già consolidatosi in nuove entità emergenti, come Russia, Cina, India, e addirittura Brasile.Tuttavia, al di là di questi attori “solisti” i veri nuovi protagonisti del Grande Gioco, piuttosto che Paesi singoli sono destinati ad essere aggregazioni o coalizioni di Paesi fondate su un background comune, come quello Eurasiatico, in quanto antecedente alla frantumazione delle “grandi identità” in quelle, più ristrette, degli Stati nazionali.

E considerando i determinismi geopolitici, così come gli impulsi e i moti sinergici che stanno attraversando l’Eurasia, volti alla creazione di una nuova Via della Seta in funzione antiatlantista, non può essere minimizzato del tutto il ruolo che potrebbero svolgere entità minori, potenze regionali o comunità di Stati che già possiedono un loro prestigio sullo scacchiere internazionale, come la Turchia, l’Iran oppure l’Asia Centrale. Proprio l’Eurasia, per via del suo ruolo centrale attribuitole da Mackinder,  sembrerebbe destinata a riassumere il ruolo di asse mediano e di cardine di quel diagramma geostrategico posseduto dagli antichi imperi delle steppe, oggi ascrivibile soprattutto alla sua valenza geoeconomica dovuta alla massiccia presenza di fonti energetiche naturali. Così come quello di corridoio naturale o di contenitore – a seconda delle prospettive – delle due macropotenze emergenti: la Cina e l’India.

Una di queste nuove realtà è proprio la Comunità Economica Eurasiatica (EurAsEC o EAEC),organizzazione internazionale che riunisce alcuni degli stati membri della CSI. Fondata nel 2000 da Russia, Bieorussia, Kazakhztan, Kyrgyzstan e Tagikistan, l’EurAsEC vede oggi tra i membri anche l’Uzbekistan (dal 2006) e come osservatori la presenza di Armenia, Moldavia e Ucraina. Tant’è che a partire del 1 gennaio 2012, essa ha iniziato la fase pratica dello Spazio economico comune, che logicamente è cresciuto rispetto all’Unione doganale di Kazakistan, Bielorussia e Russia.

Parallelamente al sorgere di questa nuova entità comunitaria assistiamo peraltro ad una lenta ed inesorabile frantumazione di un altro protagonista internazionale:l’Unione Europea, che ha causa della sua linea politica eterodiretta ha dimostrato che la sola economia non è sufficiente ad attuare un progetto comunitario del genere. Come afferma Alexandr Dugin, in riferimento alla creazione dell’Unione Eurasiatica, se manca un progetto politico comune, una chiara visione geopolitica, non si può creare niente di affidabile. Pertanto, si dovrebbe iniziare con la teoria di un mondo multipolare, e non con i passaggi tecnici di integrazione economica.

L’Italia porta sul Mediterraneo

Venendo all’Italia, essa è una Porta d’Eurasia aperta sul Mediterraneo, l’area calda del pianeta degli ultimi mesi. Una delle zone dove le forze monopolari stanno cercando di giocare una partita neoegemone attraverso la destabilizzazione del Nord Africa ed il Medio Oriente.
Un’area geografica che fin dalla notte dei tempi è stata culla ed epicentro della civiltà europea, surclassata con l’avvento dell’epoca moderna a causa della scoperta delle Americhe. Ma che oggi sta ritornando in auge per via dell’ingente incremento delle transazioni commerciali internazionali.
Un’area che ritorna, anche per l’inevitabile scivolamento da parte nostra e da parte degli altri Paesi euro-mediterranei verso questo continente liquido, dovuto alla politica caroligio-centrica condotta da Parigi e Berlino che sembra affossarsi a colpi di spread.

Un’area non priva dei presupposti che la potrebbero rendere protagonista all’interno del nuovo Grande Gioco multipolare, in cui l’Italia avrebbe un ruolo maggiormente consono alla sua vocazione geopolitica, alla sua eredità storica, in altre parole, per utilizzare un termine coniato dal Ministro degli Esteri Turco, Ahmet Davutoglu, alla sua“profondità strategica”. La condicio sine qua non, a questo punto, altra non è che la consapevolezza politica.

Come scrive Pietrangelo Buttafuoco: “Il magnifico Mediterraneo farebbe risplendere i forzieri del nostro futuro perché, insomma, se c’è un orizzonte dove si sta facendo il mondo è il Mare Nostrum, non certo Parigi o Berlino che non hanno la forza di Ankara. E tutto di guadagnato è stato per i turchi non entrare in Europa. Adesso raddoppiano di PIL a colpi di dieci punti l’anno, fossero entrati nell’Unione la racconterebbero diversamente la stagione neo-ottomana e in Maghreb”.

Del resto non è casuale che dopo l’effetto domino sui “regimi” dei Paesi arabi, siano crollati, seppur in maniera soft e democratica, anche quelli dei “regimi” dei Paesi che si affacciano sulla sponda settentrionale del Mediterraneo come, Grecia, Italia, e Spagna. Sostituiti, non a caso – almeno nei due primi casi – da governi non scevri di connivenze settarie di club.

L’Italia sta scivolando verso il Mediterraneo e il suo ruolo dovrebbe essere, accanto a quello della Turchia, quello di contenere l’ingerenza di tali forze. Quindi, quello di esercitare un ruolo protagonista assieme ai Paesi della sponda nord-mediterranea per creare una nuova comunità che si differenzi da quella fondata sull’etica protestante del lavoro, caratteristica dei Pesi del nord europeo. Tuttavia se i tempi non sono maturi per una consapevolezza di questo tipo presto lo diverranno per necessità geoeconomiche. 

Tratto da “Polaris – la rivista n.8 – GLOBAL OCTOPUS OPPURE NO?” – acquista qui la tua copia

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