Relazioni Internazionali

SYRIANA – Complessità di uno scenario

Il sistema siriano è complesso così come lo è la sua opposizione.

La partita si gioca sulle influenze nel mondo arabo e islamico. 

I fondamentalisti islamici sono quasi tutti schierati contro Damasco. Parigi ha preso l’iniziativa.

Divergono le posizioni di Teheran e di Ankara mentre Mosca rischia di venire estromessa dalla ragione.

di Andrea Forti Laureato in lingue orientali, studioso di relazioni internazionali

La Siria baathista di Bashar al-Assad vive da mesi una situazione di grave instabilità interna che rischia di virare verso scenari libici, con un’opposizione sempre più attiva e di carattere oramai insurrezionale, una dura risposta militare da parte del governo ed un suo sempre maggiore isolamento internazionale.

Il sistema siriano presenta caratteristiche comuni con l’oramai defunta Jamahiria (neologismo traducibile all’incirca con “governo delle masse”) libica, ad iniziare dall’ideologia ufficiale dei due regimi, entrambe variazioni sul tema del “socialismo arabo”, sebbene il Baathismo abbia un fondamento ideologico e dottrinario più strutturato rispetto al mix di panarabismo, islamismo, panafricanismo e socialismo di Gheddafi.

Rispetto alla Jamahiria libica, e analogamente all’Iraq di Saddam Hussein, l’ordinamento politico della Repubblica Araba Socialista siriana presenta aspetti più simili a quelli di una repubblica socialista.

Accanto ad un partito egemone, il Baath (“Rinascita” in arabo, il nome integrale del partito è “Partito Socialista della Rinascita Araba”), si struttura un Fronte Nazionale Progressista composto da partiti minori, di varia estrazione ma subordinati al partito egemone, che si presentano in una lista unica di coalizione durante le elezioni politiche.

Del Fronte Nazionale Progressista fanno parte formazioni minori come il Partito Comunista, o meglio uno dei due PC, essendo l’altro parte dell’opposizione, alcuni partiti di ispirazione nasseriana e socialista e il Partito Socialista Nazionale Siriano, una formazione nazionalista siriano-libanese fondata negli anni ’30 apertamente ispirata ai movimenti fascisti europei.

La somiglianza di queste strutture con quelle dei Paesi socialisti dell’ex blocco sovietico testimonia dell’influenza avuta a partire dagli anni ’60 dall’URSS sui Paesi arabi a regime repubblicano, i quali si contrapponevano alle monarchie filo-occidentali che a loro volta erano modellate più sul sistema inglese che su modelli tradizionali arabo-islamici.

I fondamentalisti contro Assad

Altro punto che accomuna la Siria alla Libia e a tutti i Paesi arabi è la persistenza di meccanismi tribali e comunitari accanto a un linguaggio politico ufficiale (“repubblica”, “socialismo”, partito unico ecc.) tratto dalla modernità europea.

Dal 1970 infatti, dall’ascesa al potere di Hafiz al-Assad, padre dell’attuale leader Bashar al-Assad, il Partito Baath in Siria è egemonizzato da esponenti della comunità alawita, appartenenti cioè ad un ramo particolare dell’Islam sciita, eterodosso sia rispetto al Sunnismo maggioritario nel mondo islamico che rispetto allo Sciismo “ortodosso” professato in Iran, Iraq e Libano.

L’opposizione al sistema siriano è composta da una serie di movimenti di ispirazione liberale, socialista/socialdemocratica, da una fazione del Partito Comunista e soprattutto dal movimento più organizzato e strutturato, i Fratelli Musulmani.

I Fratelli Musulmani, diffusi in tutto il mondo arabo, sono particolarmente influenti in Egitto, Giordania e Palestina, dove hanno formato il movimento Hamas. Si oppongono al sistema baathista in quanto nazionalista laico e, nello specifico caso, perché espressione di una comunità eterodossa considerata fuori dall’Islam. Il movimento islamico è stato già in passato, nel 1980, animatore di un fallito tentativo insurrezionale avente come epicentro la città di Hama, che permane interessata da rivolte anti baathiste.

Un altro focolaio antigovernativo si trova nelle regioni curde del nord-est che, spinte dall’ esempio del Kurdistan iracheno, oramai di fatto indipendente da Baghdad, vedono aumentare il proprio attivismo, anche armato, contro il governo di Damasco.

Ironicamente in passato uno dei maggiori sostenitori del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) di Abdullah Ocalan fu proprio la Siria, che fornì al PKK armi e addestramento militare in chiave anti turca, fino agli anni ’90 quando Ankara era un alleato di Israele e un fermo sostenitore dell’atlantismo.

L’appoggio siriano al partito di Ocalan venne meno dopo il 2000, quando i rapporti fra Ankara e Damasco migliorarono, concausa il raffreddarsi dei rapporti turco-israeliani.

Anche il rapporto fra i Fratelli Musulmani e gli al-Assad è piuttosto complesso, se alla repressione dei tentativi insurrezionali islamici si accosta l’appoggio politico e materiale che Damasco fornisce, almeno dalla seconda metà degli anni’90, al movimento palestinese Hamas, in origine emanazione degli stessi Fratelli Musulmani e il cui leader Khaled Mashal vive in esilio nella capitale siriana.

Che l’alleanza fra Hamas e i Baathisti di Damasco non sia più così scontata lo testimonia il fatto che il movimento palestinese non abbia manifestato il suo appoggio al governo siriano durante le rivolte.

Sembra invece ancora piuttosto saldo il rapporto con gli islamisti sciiti libanesi dell’Hezbollah, facilitato anche dalla lunga e finora solida alleanza fra la Siria e la Repubblica Islamica dell’Iran, che ebbe in Damasco un alleato fin dai giorni della lunga guerra con l’altro regime baathista, quello iracheno di Saddam.

Ankara e Teheran

E’ di estrema complessità lo scenario geopolitico che ruota attorno alla crisi siriana particolarmente caldeggiata da Parigi, nel rispetto del ruolo che la Francia, in armonia con gli Stati Uniti, ha assunto nel favorire il cambiamento degli equilibri politici nel Mediterraneo arabo.

Intriga l’atteggiamento tenuto dalle maggiori potenze islamiche non arabe della regione, ossia la Turchia e l’Iran.

Quest’ultimo è un alleato storico della Siria, che negli anni della guerra fra Iran e Iraq fu uno dei pochi Paesi arabi a sostenere le ragioni di Tehran; Iran e Siria appoggiano nel delicato scenario libanese la stessa coalizione di forze egemonizzata dal partito-milizia sciita d Hezbollah.

La Turchia da parte sua si è mostrata propensa ad adottare una linea dura nei confronti di al-Assad, giungendo fino a schierare l’esercito ai confini e a minacciare la creazione di una “fascia di sicurezza” in territorio siriano.

Sembra archiviata la politica di graduale avvicinamento dell’ultimo decennio, che vedeva Ankara e Damasco approfondire i legami economici e politici bilaterali e assumere posizioni comuni di fronte a crisi come la Palestina, la guerra in Iraq e il nucleare iraniano.

Il motivo dell’improvviso irrigidimento di Ankara potrebbe essere ricercato nella volontà della leadership turca di proporsi come polo d’attrazione per le popolazioni musulmane, in maggioranza sunnite, di un Vicino Oriente sempre più destabilizzato.

In questo caso si può inquadrare l’improvvisa severità nei confronti di Damasco e l’esplicito appoggio alle “rivoluzioni arabe” dall’Egitto alla Libia più che come un voltafaccia in direzione delle politiche franco-americane come un’autonoma volontà di presentarsi di fronte alle opinioni pubbliche di quelle popolazioni come un Paese guida, in grado tanto di difendere una causa tipicamente appannaggio del panarabismo o dell’Islam radicale, come i diritti dei palestinesi, che di proporre un modello di sviluppo alternativo sia ai regimi arabi “socialisti” sia all’Islam radicale iraniano.

Destabilizzazione regionale

Proprio a causa di una recrudescenza della crisi siriana potrebbero riemergere tensioni fra Iran e Turchia, Paesi che negli ultimi anni, specie dall’ascesa al potere degli islamisti turchi moderati di Erdogan, avevano migliorato i rapporti bilaterali.

Un collasso siriano priverebbe di un alleato sicuro non solo l’Iran, ma anche la Russia che, dopo la caduta di Gheddafi perderebbe l’unico valido punto di appoggio nel Mediterraneo (il porto di Tartus in Siria ospita installazioni militari russe), indebolendo di molto la propria posizione internazionale e confermando che il ruolo di potenza mondiale di Mosca è messo sempre più in discussione.

Il replicarsi di uno scenario libico in Siria sarebbe portatore di una destabilizzazione regionale potenzialmente maggiore del conflitto in Libia, insistendo in un territorio crocevia di interessi turchi, iraniani, israeliani ed eurasiatici.

Tratto da “Polaris – la rivista n.7 – IL FANTASMA DELLA LIBERTÀ” – acquista qui la tua copia

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