INFLAZIONE: PROBLEMA O SOLUZIONE PER IL DEBITO PUBBLICO?
La prospettiva va ribaltata: l’inflazione rappresenta, innanzitutto, una soluzione per il debito pubblico, non un problema.
Ma per la ripresa non bastano solo manovre di politica monetaria: servono anche visione strategica e una politica industriale strutturale.
di Antonio Bovo
L’inflazione rialza prepotentemente la testa e subito un editoriale apparso su Bloomberg (1) paventa la fine dell’euro sotto il peso insostenibile del debito pubblico italiano. Secondo l’articolo sopracitato, “la recrudescenza inflazionistica, infatti, costringerà la BCE ad allentare gli acquisti di titoli del debito pubblico e a farne le spese saranno soprattutto i paesi più indebitati e l’Italia prima fra questi”.
“Una crisi sarà probabilmente inevitabile”, tuona Richard Cookson sempre dalle colonne di Bloomberg, e davanti al Belpaese si aprono tre scenari possibili per risolvere le difficoltà che lo investiranno:
- Ristrutturazione del debito pubblico, ossia default con perdite imposte ai creditori
- Uscita dall’euro, con perdite inflitte alle altre banche centrali creditrici
- Trasferimento di parte del debito pubblico italiano in un’agenzia per la gestione del debito (cioè il Mes), soluzione implicitamente avallata da Mario Draghi ed Emanuel Macron nel loro recente intervento sul Financial Times, per il quale si rinvia al commento di Salvatore Recupero su queste stesse pagine (2).
Ma la prospettiva va ribaltata: l’inflazione rappresenta, innanzitutto, una soluzione per il debito pubblico, non un problema. Grazie all’aumento dei prezzi, infatti, le ottuse logiche contabili di Bruxelles sono soddisfatte in modo quasi automatico: il famigerato rapporto Debito/Pil (schizzato ad oltre il 155% in periodo di Covid) scende per effetto della crescita del denominatore, espresso in termini nominali.
L’inflazione veniva del resto indicata come soluzione e non come problema già nel 2019 da Carlo Cottarelli sulle colonne della Stampa (3) che, attraverso il suo Osservatorio sui conti pubblici (Ocpi), era andato a vedere quello che avevano fatto i Paesi avanzati per ridurre il debito pubblico negli ultimi 70 anni, trovando che il primo modo di ridurre il debito è proprio un’ondata inflazionistica. “Questo avvenne in diversi Paesi, compresa l’Italia, nell’immediato dopoguerra con livelli di inflazione anche superiori al 50 per cento durante la media del periodo di riduzione del debito. Il rimedio è rapido: l’ondata inflazionistica spazza via il debito in termini di potere d’acquisto tassando, attraverso l’inflazione, chi ha comprato titoli di Stato”, commentava l’economista.
Il vero problema, a fronte di rendimenti in aumento, potrebbe invece consistere nella difficoltà di rifinanziare il debito, ossia nel collocamento delle nuove emissioni: una Germania recalcitrante a finanziare i debiti dei paesi meno virtuosi a tassi reali negativi spingerà la BCE a ridurre il quantitative easing.
Il problema di far sottoscrivere le nuove emissioni in contesto di rendimenti crescenti per effetto dell’inflazione è analogo alle difficoltà di collocamento in presenza di un allargamento dello spread (situazione realizzatasi, ad esempio, nel 2011). E analoghe sono anche le soluzioni.
Risulta pertanto valida e attuale la soluzione proposta dal Centro Studi Polaris già nel 2011 (4), all’epoca della crisi dello spread, nella quale si evidenziava come lo spread stesso sia un problema solo relativamente alle nuove emissioni, e non al debito esistente. Tra i numerosi e articolati interventi che compongono la soluzione si segnala, in particolare, la misura forse più impopolare: investimento forzoso, cioè sostituzione di assets, agli italiani, in proporzione progressiva alla ricchezza detenuta (5).
Tale misura appare oggi assai più agevole di quanto non fosse solo due anni fa grazie alla decisa svolta autoritaria alla quale ci hanno abituato i recenti governi sotto regimi di reiterata emergenza: la misura era abbozzata, allora quasi sottovoce, dallo stesso Cottarelli in chiusura del suo articolo: “A meno di non voler seguire strade meno ortodosse (uscita dall’euro e inflazione o qualche bella forma di repressione finanziaria come l’obbligo di acquisto di titoli di Stato da parte delle famiglie italiane, una misura simile a una patrimoniale)” (6).
Ovviamente tutto ciò costituisce un pre-requisito per la ripresa, ripresa che richiederebbe visione strategica ed una politica industriale articolata e strutturale e non soltanto manovre, ancorché vigorose, di politica monetaria.
1. The Euro Is Facing a Make-or-Break Year, Richard Cookson, Bloomberg https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2022-01-11/the-euro-is-facing-a-make-or-break-year?sref=Rzgw8SkH)
2. Debito pubblico: c’è bisogno di un’Agenzia europea?, Salvatore Recupero, Centro Studi Polaris https://www.centrostudipolaris.eu/2022/02/17/debito-pubblico-ce-bisogno-di-unagenzia-europea/
4. Combattere la crisi, Centro Studi Polaris, Polaris – la rivista n.9 – CRISI: COMBATTERLA O SUBIRLA” https://www.centrostudipolaris.eu/2012/05/01/combattere-la-crisi/
5. I risparmi in forma liquida, solo nel 2020, sono aumentati di oltre 120 miliardi.
6. “Simile” ma ben diversa nello spirito e negli effetti, aggiungiamo noi.