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GUERRA IN UCRAINA: UN DISASTRO CHE RISVEGLIERÀ L’EUROPA?

Quello tra Russia e Ucraina è un conflitto che non ci voleva perché colpisce il cuore dell’Europa mettendone pericolosamente a rischio l’indipendenza politica, economica e strategica.

Ma è davvero questo il destino che ci attende, oppure questa crisi potrebbe inaspettatamente risvegliare la Volontà di Potenza europea?

di Centro Studi Polaris

Diciamolo subito e senza girarci attorno: da un punto di vista eurocentrico, quello tra Russia e Ucraina è un conflitto che non ci voleva, perché colpisce l’Europa al cuore e mette a rischio il suo travagliato incedere verso la compiutezza politica e l’indipendenza strategica.

Ma è davvero questo il destino che ci attende, oppure da questa crisi potrebbero inaspettatamente emergere anche degli sviluppi positivi?

Per tentare di rispondere a questa domanda occorre però fare un passo indietro, ricostruendo brevemente i fatti, riepilogando le motivazioni alla base delle ostilità e cercando di decifrare quale sia il ruolo interpretato dai numerosi attori in scena in questo grande Risiko globale.

Come tutto è iniziato: l’infowar si trasforma in escalation militare

Partiamo dall’inizio. Da diverse settimane tutti i principali media occidentali insistevano, citando fonti d’intelligence, sulla possibilità che la Russia si stesse preparando ad invadere militarmente il territorio ucraino, azzardando anche l’individuazione di una presunta data di inizio delle ostilità. Con un sorprendente tono apocalittico, il primo ministro inglese Boris Johnson si spingeva addirittura a dichiarare alla BBC che la Russia stava preparando “la più grande guerra in Europa dal 1945″ (1).

Le speculazioni su un imminente attacco russo, tuttavia, venivano subito ridimensionate da Mosca – che bollava le accuse come frutto di un’immotivataisteria americana” (2) – ma anche da Kiev, che non credeva realmente a tale ipotesi oppure sottovalutava con superficialità l’effettivo pericolo.

Nell’ambiente degli analisti geopolitici si è allora iniziato a parlare, frettolosamente, di infowar, ma la “guerra mediatica” si è ben presto trasformata in una vera e propria escalation militare, nei tempi e nei modi grossomodo previsti dagli insiders occidentali, evidentemente più che ben informati.

Il resto è cronaca di guerra: il tentativo russo di blitzkrieg non sembra pienamente riuscito e le resistenze ucraine si stanno dimostrando più solide e combattive di quanto ci si potesse effettivamente aspettare.

Ad oggi, mentre si parla addirittura del possibile impiego di armi nucleari e di Terza guerra mondiale, si rischia più concretamente un rancoroso stallo diplomatico o una pericolosa balcanizzazione del conflitto, che se dovesse durare a lungo colpirebbe soprattutto i popoli e l’economia del Vecchio Continente.

Ma come si è arrivati a questo disastro?

Le ragioni della guerra: oltre al Donbass e alla Nato c’è di più

Se è certamente vero che alla base del conflitto ci sono le rivendicazioni delle popolazioni russofone delle due regioni contese nell’Ucraina dell’est e la necessità russa di non tollerare ulteriori basi Nato ai suoi confini, appare però semplicistico ridurre il casus belli a queste arcinote e pluriennali questioni territoriali e di sicurezza militare.

In Donbass gli odi etnici, risalenti almeno ai tempi della dominazione sovietica, sono riaffiorati dopo la “rivoluzione” del 2014. Non sono quindi una novità. Se il problema si fosse esaurito nei difficili rapporti di vicinato tra Mosca e Kiev, la guerra sarebbe rimasta però circoscritta alle zone di confine e non avrebbe assunto la sua attuale dimensione totalizzante. Inoltre, da parte russa sarebbe stato più agevole e razionale cercare di trovare una soluzione di compromesso per via diplomatica, viste anche le continue sponde proposte da Berlino e Parigi, volutamente trascurate da Vladimir Putin, che ha preferito invece mostrare i muscoli e “rompere” con i partner del Trattato di Minsk.

Il problema della sicurezza di Mosca rispetto all’accerchiamento da parte della Nato potrebbe aver avuto invece un ruolo più importante, come testimoniato dalle parole del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che solo pochi giorni prima dell’inizio della guerra aveva dichiarato che “il presidente russo Vladimir Putin è disposto a negoziare. L’Ucraina è solo una parte del problema, è una parte del più grande problema delle garanzie di sicurezza per la Russia” (3).Tuttavia, appare anche questo un argomento utilizzato in modo piuttosto pretestuoso, considerando che in seno al Patto Atlantico in molti non ritenevano necessario o prioritario l’ingresso dell’Ucraina nell’organizzazione.

Insomma, non sembra proprio che alle porte di Mosca ci fosse un così grande e incombente pericolo, tale da giustificare questa prepotente prova di forza in territorio ucraino. Evidentemente i russi non riescono proprio a scrollarsi di dosso quella visione imperialista eurasiatica che li ha sempre contraddistinti e che li porta a considerare le ex-repubbliche sovietiche – ancora oggi e loro malgrado – come parte integrante del proprio spazio vitale.

Ma se quanto elencato è da considerare motivazione insufficiente a scatenare una guerra su vasta scala, allora quale logica può aver fatto deflagrare il conflitto? 

Non ritenendo credibili le fantasie che vedrebbero nell’offensiva russa una sorta di “crociata” al sistema dei “valori occidentali”, cui a dire il vero la Russia oligarchica di Putin parrebbe opporre semplicemente una più rozza e mascolina – ma sostanzialmente invariata – versione in salsa autoritaria, proviamo a rispondere a questo interrogativo cambiando prospettiva e osservando il quadro internazionale nel suo complesso.

Il grande Risiko globale

L’equilibrio mondiale degli ultimi decenni si basa, di fatto, su un ambiguo bipolarismo: Stati Uniti e Cina si confrontano da anni in una nuova “guerra fredda” per il predominio economico-finanziario, politico ed energetico, mentre l’asse geopolitico globale si è spostato, di conseguenza, dall’Atlantico al Pacifico.

In questo scenario, resistono comunque i tentativi di sopravvivenza di altri players, che provano a non essere travolti dall’egemonia della diarchia sinoamericana: si tratta principalmente di Regno Unito, Europa – soprattutto per iniziativa tedesca e francese – e Russia, cui si aggiungono anche altri giocatori più o meno emergenti che però, nonostante abbiano una reale potenza in ambito regionale o su specifiche questioni, a livello mondiale recitano spesso un ruolo più defilato – si pensi ad esempio all’India, alla Turchia, ad Israele e ad una parte del “mondo arabo” sia sciita che sunnita.

Tutti questi players sono ciclicamente e disordinatamente in accordo o in rotta di collisione tra loro in base al diverso oggetto della contesa, in una sorta di caos ordinato che confonde gli spettatori ma allo stesso tempo sorregge lo schema del divide et impera. Il fatto che questi attori si mostrino spesso come ufficialmente contrapposti e si lancino tra loro accuse, ricatti e condanne mediatiche fa parte delle “regole del gioco” e della strategia politica. Non deve perciò sorprendere né disorientare più del dovuto.

Se per tante ragioni è corretto considerare il Regno Unito come un alleato discreto e più che strategico degli Usa – con cui condivide sovente gli stessi obiettivi egemonici, come nel caso che stiamo analizzando – gli unici players di alto livello che potrebbero davvero minare la fragile ma conveniente spartizione di potere tra Washington e Pechino rimangono la Russia – se libera dal giogo cinese – e l’Europa – se veramente unita, armata, forte e indipendente dall’influenza angloamericana. Soprattutto se in sinergia tra loro.

Partendo da tale assunto, gli americani hanno quindi giocato il loro turno nel nuovo grande Risiko globale: l’amministrazione Biden, fiutato il pericolo dopo la disastrosa – per gli Usa – presidenza Trump, ha deciso di polarizzare le relazioni tra Russia e Ue e ricompattare la Nato, provando al contempo a sottrarre Mosca dall’abbraccio soffocante del suo vicino asiatico, anch’esso considerato pericoloso per gli interessi a stelle e strisce.

Per farlo ha quindi predisposto una vera e propria trappola geopolitica, nel tentativo di separare l’Europa dalla Russia e spezzare i legami politici allacciati tra Mosca e Berlino-Parigi, incrinando così anche lo strategico asse energetico russo-europeo – sul quale si gioca buona parte della partita – e spostandolo a proprio vantaggio.

L’Ucraina come pretesto per un attacco congiunto all’Europa

L’obiettivo principale degli americani è perciò tornato ad essere ancora una volta il contenimento dell’Europa, divenuta negli ultimi anni un competitor economico e diplomatico troppo pericoloso e con velleità d’indipendenza strategica. Con questa manovra la Casa Bianca ha voluto così scongiurare anche ogni possibilità di un nuovo multilateralismo asimmetrico che avrebbe visto un indebolimento del Pentagono anche nei confronti della Cina.

Allo stesso modo, anche gli inglesi hanno fatto loro la strategia made in Usa, corteggiando e poi provocando la Russia per colpire indirettamente la Germania, individuata come il proprio assoluto competitor continentale.

Da parte sua il Cremlino, dicevamo, potrebbe essere caduto in un’imboscata: attratto dalla promessa di qualche concessione e credendo di poter dire la sua in un negoziato con Washington e Londra, ha provato ad unirsi ad un’offensiva che riordinasse parzialmente gli equilibri globali e destabilizzasse l’Europa. E in questo schema, Kiev è stata scelta come vera e propria vittima sacrificale, dalla grande valenza simbolica e strategica.

Accettando di prendere parte a questo progetto, Putin ha perciò deliberatamente scelto di abbandonare il dialogo e la collaborazione con l’Europa, utili e necessari anche alla stessa Russia, in favore di una rinnovata, tacita e più o meno occulta intesa con Uk e Stati Uniti a trazione democratica, in un ultimo disperato sforzo per cercare di mantenere il proprio status di potenza e provare a tenere a debita distanza il sempre più ingombrante vicino cinese, di cui rischia già da tempo di diventare un declassato junior partner.

Se l’attacco russo all’Ucraina è davvero frutto di un accordo sotterraneo ma “oggettivo” tra Biden e Putin, esso si configurerebbe come il capolavoro strategico angloamericano contro l’Europa: la guerra in Ucraina potrebbe rafforzare la Nato, distruggere il recente asse Parigi-Berlino-Mosca messo in piedi, tra gli altri, da Macron, ma anche far saltare quell’intesa germano-russa in sviluppo fin dai tempi di Brandt con Schmidt, Kohl, Schroeder e la Merkel, nonchè impantanare l’Europa anche in ambito economico.

Fermare la cooperazione dell’Europa con la Russia nel campo energetico – ad esempio sabotando definitivamente il progetto del gasdotto North Stream 2 con la Germania – infatti danneggerebbe principalmente le nazioni e i popoli dell’Ue.

L’invasione russa in Ucraina, insomma, potrebbe generare vantaggi incerti e marginali per i russi, rilancia la Nato e rafforza certamente gli americani, gli inglesi e forse i cinesi, ma mette soprattutto in grande difficoltà l’Europa, come da programma.

Ma non è detta l’ultima parola.

L’orgoglioso risveglio europeo

Partendo dalla premessa che all’Europa converrebbe puntare sostanzialmente alla pace e cercare di far ragionare la Russia che – proprio come pensano i nemici occidentali – ne è realmente partner ed interlocutore strategico, la primissima risposta europea a trazione franco-tedesca alla crisi è stata senza dubbio interessante e per certi aspetti sorprendente.

Mentre a Bruxelles come al solito si discuteva democraticamente e burocraticamente sulle sanzioni autolesioniste da infliggere a Mosca, Francia e Germania sono passate ai fatti, proponendo prima due diverse vie per la mediazione del conflitto e decidendo poi, incassato l’intransigente niet russo, di inviare armi all’Ucraina in modo indipendente, cioè formalmente al di fuori della Nato, scegliendo quindi di mantenere una centralità autonoma nell’interventismo.

A ciò va aggiunta la rivoluzionaria svolta militarista della Germania, che come dichiarato dal cancelliere Scholtz ha annunciato l’imminente aumento delle spese destinate alle forze armate (4) – in pratica un vero e proprio riarmo.

A tal proposito, è opportuno registrare con grande attenzione anche le parole del gen. Graziano, presidente del Comitato militare dell’Ue, sulla concreta possibilità di creare un esercito europeo: “Dobbiamo prendere coscienza della nuova realtà. Oggi ci sono dei nemici dell’Europa che stanno facendo una guerra. E credo che la velocità con cui l’Unione sta reagendo sia una svolta storica, che sta ridisegnando l’ordine geopolitico mondiale. Perché, comunque finisca l’invasione dell’Ucraina, d’ora in poi sarà tutto diverso. C’è la volontà di cambiare. L’ambizione finale europea, sancita nel vertice di Petersberg e mai cancellata, è di avere a disposizione una forza autonoma di almeno 60 mila militari” (5).

In questo preciso frangente, insomma, Ue e Nato sembrano finalmente in concorrenza e disaccordo formale tra loro, malgrado i calcoli di Washington: da una parte c’è un’Europa belligerante de facto (6) e ormai pronta ad esporsi sempre di più militarmente, mentre dall’altra si fa notare un’Alleanza atlantica che si riscopre difensiva e attendista, come dimostrano le parole del segretario Stoltenberg, secondo cui “la Nato non invierà truppe né sposterà aerei nello spazio aereo ucraino” (7).

Durerà? Difficile e improbabile. Nel breve periodo c’è da aspettarsi, piuttosto, un rafforzamento del Patto atlantico e della sua influenza ad Est e nell’area baltico-finnica. Ma nel frattempo (e in ottica futura), potrebbe essere stato fatto davvero un altro passo, seppur di reazione, verso l’autonomia europea.

Dalla crisi nascerà una nuova Volontà di Potenza Europea?

Se si dovesse continuare su questa linea, il processo di emancipazione dell’Europa non si arresterebbe dinanzi alla crisi ucraina (8), ma potrebbe anzi progredire con maggior vigore verso un affrancamento dalla Nato e dalla sudditanza all’anglosfera. 

Volevamo fare l’Europa grazie a Putin, ora forse la faremo a causa sua, malgrado e nonostante la sua strategia geopolitica disastrosa. Sarebbe stato meglio il primo caso, ma non è certo colpa nostra se al momento decisivo il presidente russo ha fatto la scelta opposta tradendo i patti. 

L’Europa dovrà andare avanti lo stesso, con o senza Mosca: se sta davvero nascendo una nuova Volontà di Potenza, starà a noi europei assecondarla e indirizzarla.

1. https://www.adnkronos.com/ucraina-johnson-russia-prepara-guerra-piu-grande-in-europa-dal-1945_3EQ2BT10bI3uPl2vmo7osI

2. https://www.rainews.it/amp/articoli/ultimora/Ucraina-Cremlino-isteria-Usa-al-culmine-a61bee52-6de1-4a96-9f1c-ffeaef3a7de7.html 

3. https://www.agi.it/estero/news/2022-02-14/diretta-tensione-ucraina-russia-rischio-invasione-militare-15616660/

4. https://it.insideover.com/difesa/la-svolta-militarista-di-scholz-100-miliardi-per-la-difesa.html

5. https://www.repubblica.it/politica/2022/03/01/news/claudio_graziano_attacco_kiev_nemici_europa_nasce_nostra_difesa-339744995/

6. https://www.analisidifesa.it/2022/03/leuropa-diventa-belligerante-mentre-russi-e-ucraini-avviano-i-negoziati/

7. https://www.rainews.it/articoli/2022/03/stoltenberg-4caeb109-620e-46d3-a44d-b87c5993cc4f.html

8. https://www.ticinonews.ch/live/ucraina/parigi-assistiamo-a-rivoluzione-potenza-europea-HD5243180

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