Economia

Internet e digitalizzazione: la contesa dei cavi sottomarini

A dispetto di chi crede in un’Europa soccombente, le big del settore informatico si seggono al tavolo dei grandi per individuare strategie idonee a render il Vecchio Continente totalmente autonomo. E guai a credere che USA e Cina siano antagonisti: ecco tutto ciò che non sapete sulla battaglia per piazzare i cavi nelle acque internazionali.

Gli oceani e i mari mondiali sono attraversati da oltre 1,3 milioni di chilometri di cavi di fibra, i quali costituiscono una struttura da cui transita tra il 95% e il 99% del traffico internet mondiale, consentendo quotidianamente transazioni pari a 10mila miliardi di dollari. Bastano questi numeri a dare la misura dell’importanza, ormai strategica di questa struttura nel panorama geopolitico mondiale.

Qui si gioca una partita decisiva, e infatti tutti i principali players internazionali vi sono impegnati, con risorse finanziarie e know-how di primo livello. La data convenzionalmente ammessa come inizio di questo grande avanzamento tecnologico è il 28 agosto 1850, quando gli inglesi riuscirono ad effettuare la prima posa di un cavo sottomarino posizionandolo sotto la Manica.

Tutto ciò che seguì è importante soprattutto per individuare la strategia seguita per il controllo e la salvaguardia delle proprie reti; strategia che nel XIX secolo è stata posta in essere dagli inglesi e nel secolo successivo è stata ripresa dagli USA: si rendeva necessario il controllo degli stretti, il pattugliamento delle rotte e soprattutto che i punti di partenza e punti di approdo dei cavi si situassero su territori o controllati direttamente, o in paesi “amici”.

La strategia cinese

Ora, fino a non molto tempo fa, la produzione e la posa di questi cavi sono state quasi monopolizzate da aziende francesi, americane e giapponesi. Di recente in questa contesa globale è entrata – a modo suo – anche la Cina. Il colosso asiatico con quella che ha denominato come “Belt and Road Initiative” (BRI) resa operativa in questo settore tramite la “Digital Silk Road “ ha messo in campo, fin dall’inizio colossali investimenti, palesando una volontà di aumentare il proprio ruolo in campo politico, economico e finanziario soprattutto nei paesi in via di sviluppo della Asia meridionale e dell’Africa.

L’iniziativa strategica cinese – annunciata nel 2015 – mirava appunto a investire nelle comunicazioni, nella sorveglianza e nelle strutture di commercio online. I cavi sottomarini rappresentavano un aspetto cruciale di una nuova versione digitale della ‘via della seta’ che prevedeva anche la costruzione di autostrade, ferrovie e porti.

Un dato abbastanza recente – emerso negli ultimi cinque anni, a partire soprattutto dalla presidenza Trump – è quello che appare essere il tentativo americano di estromettere i cinesi da questo enorme mercato; le cause ‘ufficiali’ di questo ostruzionismo sarebbero nel timore di spionaggio e nel volersi premunire nell’ipotesi, anche se remota, di un innalzamento del livello del conflitto.

Questo ‘ostruzionismo’ ha avuto, da una parte, conseguenze importanti: ad esempio nel 2018 Amazon, Meta (l’azienda che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp ) e China Mobile avevano concluso un accordo per un cavo che avrebbe collegato la California, Singapore, la Malaysia e Hong Kong. Ma le manovre e le pressioni di Washington hanno, di fatto, bloccato la partecipazione delle Cina, spingendo così China Mobile a uscire dal consorzio.

Così nel 2021 Amazon e Meta hanno presentato un nuovo progetto che rinunciava agli investimenti cinesi e anche al collegamento con Hong Kong. Nel 2022, infine, il progetto è stato definitivamente accantonato quando oltre 10mila km di cavi erano già stati depositati. Meta e La China Mobile più volte non hanno risposto alla richiesta di un commento, mentre Amazon si è trincerata dietro il più classico “no comment” (questo tipo di atteggiamento non è raro tra i massimi responsabili delle aziende del settore in vicende di questo tipo).

La connettività totale

La situazione però è molto meno chiara di quanto potrebbe apparire. Primo perché le aziende cinesi si sono adattate – sono pur la terra d’origine del Tao – costituendo e depositando cavi internazionali in grado di servire la Cina stessa e i suoi alleati. Questo potrebbe comportare – e secondo autorevoli osservatori starebbe già comportando – una scissione tra chi possiede e gestisce la rete delle infrastrutture su sui viaggia Internet . In sostanza il “rischio” starebbe in una biforcazione della rete cioè la vanificazione della tanto agognata “connettività totale”.

Ecco la mappa dei cavi sottomarini in tutto il mondo. Fonte: Today.it

Ma appunto, la situazione è molto meno chiara: nuove analisi – di provenienza americana – indicano che la quantità di dati trasmessi tra la Cina e gli Usa non è mai stata così alta, anche se il percorso di questi dati è spesso meno diretto rispetto al passato. Inoltre, alcune imbarcazioni controllate dalla Cina continuano a fare riparazioni su linee di proprietà statunitense – cosa strana, se si considera che proprio la riparazione è considerata la fase “rischio”. Questo accade anche per via di accordi di vecchia data che regolano la gestione dei cavi, determinando così la situazione che le infrastrutture più delicate siano riparate da aziende di paesi concorrenti.

Asse USA-Cina. Ma l’Europa…

Quindi, anche se sembrerebbe che le ambizioni cinesi di diventare un attore di primo piano nel mercato globale dei cavi sottomarini siano state vanificate, la Cina continua a espandersi nel settore; in sostanza c’è stato uno spostamento d’attenzione su regioni in cui la Cina può contare su una forte influenza politico-commerciale. Inoltre c’è un altro fattore che gioca molto a favore dei cinesi – ed è a ben guardare un qualcosa che ognuno di noi può agevolmente constatare ogni giorno -: le aziende di quel paese offrono prezzi molto competitivi, a volte inferiori anche del 30% rispetto al concorrente occidentale; avviene così che gli investitori hanno cominciato a coinvolgere le aziende cinesi con il solo proposito di costringere le altre ad abbassare il prezzo.

In altre parole i cinesi, data l’aggressività delle loro proposte, sono utilizzati come leva per spuntare un prezzo migliore. Per fare un esempio la cinese HMN TECH era stata invitata a presentare una proposta per un cavo che collegherà Egitto e Portogallo e per il Cavo Africa 1 tra Francia e Kenia, ma è stata battuta dalla francese ASN. Quindi vediamo, al di là di tutto, un’azienda francese imporsi uno scenario globale avendo come competitori veri colossi. Allora quale possibile ruolo può e deve avere l’Europa?

Oltre alle litanie dell’ineluttabilità del declino, che la vedrebbero dover recitare il ruolo del vaso di coccio tra i vasi di ferro, e anche al di la di quelli che si rassegnano a vederla legata a potenze extra-europee, l’Europa sta tentando di mettere in campo un grande progetto che se realizzato la vedrebbe nel ruolo che le compete anche in questo decisivo campo.

Una delle tematiche più scottanti è la sicurezza dei cavi sottomarini indi per cui le big del settore stanno pensando a nuovi trattati per la messa in sicurezza delle opere informatiche via mare. Fonte immagine: agendadigitale.eu

Nella giornata mondiale del digitale del marzo 2021 gli stati membri della UE hanno firmato l’European Data Gateways avente come fine il rafforzamento della connettività tra l’Europa e i suoi partners in Africa, e Asia, nei Balcani occidentali e in America Latina. Sono state individuate quali zone d’intervento, anche per la posa dei cavi, l’Atlantico, il Mediterraneo, il Mare del Nord e l’Artico e il corridoio dal Baltico al Mar Nero. Quindi, anche un esame molto sommario, mostra che la matassa è intricata perché è la realtà ad essere complessa, che le competizioni visibili si ci sono, ma anche le zone grigie e gli esiti non previsti.

Mostra pertanto un’Europa tutt’altro che rassegnata a un ruolo di comparsa.

di Enzo Russo

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