Rivoluzioni venture. Il 2025, dagli USA al chips act
Sarà un anno ricco di sfide, obbiettivi e problemi preannunziati. In attesa dell’imminente insediamento di Trump, la Cina accelera verso la rivoluzione green. Ucraìna, Russia, Draghi e sovranità comune.
L’anno 2025 vedrà l’Europa impegnata in un percorso a ostacoli. Il primo mandato di Trump aveva prodotto per reazione una serie di accelerazioni verso una politica continentale, al punto che nel 2020 Pechino era giunta a proporre un super G3: Cina, Ue, Usa.
Perfino la politica adottata durante la crisi-Covid aveva dato l’impressione di una nostra crescita. Poi, complice la Russia, abbiamo perso terreno su tutti i fronti rispetto alle due superpotenze ed è in modo particolarmente confuso che ci si appresta alle sfide.
Tra i principali nodi, l’insistita rivoluzione green. La quale, retorica ecologista a parte, è frutto della competizione con la Cina sui mercati delle auto elettriche e nella ricerca delle nuove fonti energetiche.
Il progetto rimane saldamente in piedi, però la Cina ha accelerato mentre gli Usa sono orientati diversamente, al punto che Tesla ipotizza di abbandonare l’elettrico, cosa già accaduta in Giappone con la Toyota. Rischiamo quindi di avvitarci.
Nella corsa alle tecnologie avanzate, e in particolare nel “chips act” che prevede la capacità di produrre le chip in proprio, il blocco delle terre rare del Donbass e il doppio ostacolo, jihadista e russo, nel Sahel, ci hanno fatto perdere parecchi giri nei confronti dei due grandi comeptitors in questa partita strategica.
Intanto la rivoluzione Starlink. Composta di ben 6.400 satelliti, la galassia di Musk ha rigettato in secondo piano i satelliti geostazionari che andavano generalmente in orbita grazie all’europea Ariane. Quando partì il progetto di lanci Space X, esso effettuava un terzo dei lanci europei. Nel 2024 ne ha effettuati 94 contro 2.
Le spinte sul Mediterraneo di potenze regionali ostili o pretenziose, quali la Turchia e l’apparato arabo-israeliano del Progetto Abramo e analoghi; la ferita aperta in Ucraìna con rischio della creazione di una situzione coreana permanente nel nostro fianco, possono trovare un minimo di sollievo nell’aumento di spese per l’armamento, che è qualcosa di tardivo ma indispensabile per qualsiasi player.
Il problema è che si verifica in una fase di difficoltà finanziaria e di declino demografico e non può non incidere sull’erosione dello stato sociale, che di fatto è solamente europeo.
Tutto questo mentre la pressione migratoria, che, in mancanza di robotizzazione, diventa perfino indispensabile per colmare i vuoti naturali, si accompagna con mire espansionistiche, terroristiche e destabilizzanti di ogni genere.
La crisi profonda della Germania, trovatasi di colpo a passare da locomotiva economica a zavorra d’Europa, le crisi politiche di quasi tutte le nazioni principali della Ue, Italia esclusa, si riversano anche in contrasti profondissimi, quali quelli sull’accordo commerciale appena siglato con il Mercosur.
Benché nella stessa Francia, che si era opposta, la Confindustria locale (Medef) e l’ex commissario al commercio europeo. Pascal Lamy, lo considerino “vantaggioso sul piano commerciale e necessario sul piano strategico”, ci siano voci favorevoli, la posizione generale è a dir poco scettica.
Macron vi si era opposto perché aprire il mercato europeo a esportatori sud-americani non vincolati dalle onerose regole ecologiche imposte qui da noi, significa rischiare di mettere in ginocchio l’agricoltura.
Sulle stesse posizioni di Macron sta il governo italiano. Di tutt’altro avviso la Spagna, dove l’agricoltura conta molto, e soprattutto la Germania, che ha però altre priorità.
C’è chi sostiene che l’accordo con il Mercosur sia però indispensabile per non lasciar fare la parte del leone ai cinesi che ci hanno già tolto, in 25 anni, i due terzi del nostro mercato in America Latina.
Tra venti di guerra e azioni di contenimento di ogni tipo, è in ordine sparso che ci presentiamo alle sfide e con una debolezza intrinseca, determinata anche dall’ordinamento della Ue che non concede alcuna sovranità reale all’Europa, gestita come un condominio di palazzo.
La situazione è critica. Crisi etimologicamente indica una possibile trasformazione: riusciremo a prenderla alla lettera?
Che ce ne sia necessità lo si sente un po’ in tutte le Cancellerie, ed è quanto viene riflesso dal Rapporto Draghi.
Ma basta sentire la necessità per agire senza indugi e per liberarsi da tutte le catene che ci siamo imposti da soli con eccessi di regolamentazione e assenza di sovranità comune?
di Gabriele Adinolfi