L’integrazione degli Stati europei – Parte 1
Tutti gli Stati membri dell’Unione Europea sono l’esito di un processo di costruzione plurisecolare iniziato nel tardo Medio-Evo e protrattosi fino agli anni Novanta del XX secolo. Nessuno può dire, ragionevolmente, che questo processo sia arrivato alla fine. Del resto, se vogliamo assimilare il processi socio-politici (e l’integrazione degli Stati é un plesso di processi socio-politici) alla dinamica di quello che Georg Simmel ha denominato Leben (“vita”)2 possiamo avere davanti agli occhi, se guardiamo alla storia europea dal secolo XVI a oggi, un modello interessante per evitare di perderci in falsi problemi: la dinamica ha messo e mette continuamente capo a forme istituzionali stabili, ma periture, che vengono disgregate e “riassemblate” in nuove configurazioni in un divenire senza fine.
Se è vero che gli Stati sono l’esito di processi di costruzione, è vero che le identità nazionali che hanno messo capo alla costruzione dei diversi poteri sovrani sono altrettanto costruite a partire da identica locali molteplici3. Se questo è vero, non esistono ostacoli di principio all’edificazione di una nuova unità statale, l’Unione Europea, appunto e, al limite, non esistono ostacoli di principio alla costruzione di una ulteriore unità statale che abbracci l’intero mondo.
Esistono ostacoli pragmatici.
Da dove è venuta la spinta a creare unità sempre più estese, sempre più integrate, sempre meno caratterizzate sotto il profilo culturale? La spinta è venuta dallo sviluppo dell’economia mercantile capitalistica e dalla sua esigenza di dilatare e unificare, secondo modalità diverse e, talora, opposte, le aree di mercato. Che questa spinta non sia avvenuta e non avvenga pacificamente lo mostra il fatto che il continente europeo è stato, fino al 1945, uno dei continenti più caratterizzati da spinte polemogene interne ed esterne (variamente intrecciate con lo sviluppo prima colonialistico, poi imperialistico), prima che su di esso si stendesse la coltre della pax americana.
Si tratta di descrivere, nell’essenziale, le tipologie di integrazione che possiamo, per comodità, ricondurre a due: l’integrazione volontaria e l’integrazione imposta da una particolare componente. Maggioritaria è la seconda tipologia.
Ma la seconda tipologia può dividersi in due sottotipologie: i casi di unificazione mediante l’uso della forza da parte di una delle componenti di un territorio e i casi di unificazione attraverso pratiche diplomatiche (matrimoni fra regnanti, acquisti di territori contro denaro, richieste di associazione da parte di certi territori).
In linea di massima la storia della statualità moderna si snoda attraverso la dialettica fra accentramento e decentramento lungo tutto l’arco di tempo fra secolo XVI e secolo XVII (almeno), fra aspirazioni alla soluta potestas e aspirazioni alla libertà locale4.
La guerra dei Cento Anni, tra la corona francese e la corona inglese è significativa per quanto riguarda la dissoluzione dell’ecumene medievale.
Non meno significativo il matrimonio fra Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona donde nasce il regno di Spagna, o il patto federale dell’1 agosto del 1291 donde nasce la confederazione elevetica, o l’art. VIII dei trattati di Vestfalia del 1648 che segna la fine concreta dell’ordinamento imperiale a guida asburgica.
L’unificazione del regno d’Italia e l’unificazione del Reich germanico sono esempi di unificazione militare. L’espansione napoleonica dal 1800 al 1812 in Europa e l’espansione tedesca dal 1938 al 1939 sono esempi di tentativi di unificazione militare continentale.
Che cosa può insegnare la vicenda dello Stato moderno in Europa in vista del progresso dell’integrazione europea?
Banalmente5 che l’integrazione è un complesso di processi che riguarda le piccole comunità le quali si riuniscono in Stati e gli Stati che riuniscono in unioni continentali o sub continentali. Ma la geoeconomia ci insegna che le aree di integrazione seguano la varietà dei settori produttivi e dei diversi tecnologici. Sabino Cassese6 ha contato migliaia di regimi internazionali che, sia pur limitatamente a determinati settori merceologici e a determinati servizi, esercitano poteri sovrani “oltre lo Stato” e determinano le concrete politiche degli Stati (Stati in senso stretto). La geoeconomia come chiave della geopolitica, dunque7.
Si tratta di comprendere a quali condizioni una unione commerciale può mettere capo a una unione politica, se esistano costanti di rilievo che permettano di inferire un contesto probabilistico per l’Unione Europea.
Una prospettiva va esclusa: che l’Unione Europea possa essere unificata come uno Stato-nazione. A meno che non si assuma come modello l’unificazione degli Stati Uniti d’America; ma questa unificazione non differisce qualitativamente dall’unificazione degli Stati Europei se non per il criterio della volontarietà, già evidenziato da Montesquieu nel libro IX, capitolo I dell’Esprit des Lois. Vale la pena di riportare qui in extenso il brano: “[La repubblica federativa] ha origine da una convenzione in base alla quale numerosi corpi politici consentono a divenire parti di uno Stato più grande che tutti insieme intendono formare. È questa una società di società che ne creano una nuova, la quale può ingrandirsi a nuovi associati, che si sono uniti.
Furono queste associazioni a rendere fiorente per così lungo tempo la Grecia. Grazie ad esse i Romani attaccarono il mondo intero, e grazie ad esse sole il mondo intero si difese contro di loro. Quando Roma raggiunse il massimo della propria grandezza, fu per mezzo di simili associazioni poste oltre il Danubio ed il Reno, e sorte per effetto della paura, che i barbari poterono resisterle.
È per questo che l’Olanda, la Germania, le leghe svizzere, sono considerate in Europa quali repubbliche eterne.
Questo tipo di repubblica capace di resistere alle potenze straniere, può mantenersi nella sua grandezza senza corrompersi all’interno. La forma di questa società previene tutti gli inconvenienti.8”
Il passo di Montesquieu è importante, riguardo al nostro problema: infatti, Montesquieu vede nella “repubblica federativa” la forma politica in grado di evitare i difetti del potere monarchico e i difetti del potere repubblicano (“se una repubblica è piccola, sarà distrutta da una potenza straniera; se è grande, perirà per vizi interni”) che portano le forme di governo a convergere verso l’oligarchia o, se il territorio governato è molto esteso, verso il dispotismo’. Va osservato che il significato dei difetti della monarchia e della repubblica non è meramente morale, ma attiene alle ragioni di stabilità o di instabilità del complesso istituzionale stesso, cioè alla sua ottimizzazione funzionale nel contesto anarchico delle relazioni internazionali. La repubblica federativa è considerata “cosa propria” e, quindi, da difendere all’interno e verso l’esterno- evitiamo di indagare quanto possa essere esteso il concetto di “difesa”- da tutte le componenti che l’hanno messa in atto: questa la ragione della sua stabilità e non si può negare che, nei limiti in cui gli Stati Uniti d’America corrispondono al modello della repubblica federativa, il loro esempio mostra una stabilità e una elasticità notevole, da oltre duecentotrenta anni. Può essere, forse, un modello per l’Unione Europea? Fino a ora, l’Unione Europea ha messo capo a una unione dei mercati, a una parziale unione monetaria, a una unione giuridica e amministrativa legata al mercato comune e poi al mercato unico, ma non a una unione politica.
1 Queste pagine e le pagine che seguiranno non hanno ambizioni scientifiche; il lettore vi riconoscerà tracce del dibattito scientifico, ben oltre le scarne note a piede di pagina. Tuttavia, le scarne note vogliono indicare opere di riferimento grazie alle quali si potrà andare, auspicabilmente, ben oltre queste pagine che si propongono unicamente di suggerire risposte alla domanda: perché l’Unione Europea è soltanto quasi uno Stato?
2 Cfr. G. Simmel, Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici (1918), a cura di Gabriella Antinolfi, Mimesis, Milano, 2021.
3 Cfr., per una delineazione generale del problema, Amitai Etzioni, Political Unification: A Comparative Study of Leaders and Forces, Holt, Rinehart and Winston, New York, 1965.
4 Cfr. Ettore Rotelli-Pierangelo Schiera (a cura di), Lo Stato moderno, tre volumi, Il Mulino, Bologna, 1971-1974.
5 Perché il fenomeno è ben noto sin dal libro I della Politica di Aristotele, fin dal “mito di Protagora narrato da Platone, fin dalle citazioni sparse di Democrito di Abdera…..
6 Cfr. S. Cassese, Chi governa il mondo?, tr. it. di Leonardo Casini, Il Mulino, Bologna, 2013.
7 Si veda, in merito, Giuseppe di Taranto, Geoeconomia del capitalismo, a cura di Rita Mascolo e Giuseppe Tortorella Esposito, LUISS University Press, Roma, 2024, Immanuel Wallerstein, Il sistema mondiale dell’economia moderna, tre volumi, tr. it. di Giuseppina Panzieri, Davide Panzieri, Barbara Bellini, Il Mulino, Bologna, 1982-1995.
8 Cfr. Charles Robert de Montesquieu, Lo spirito delle leggi (1748), tr. it. di Sergio Cotta, UTET, Torino, 1965.
(seguirà Parte 2)
di Francesco Ingravalle