Economia & Finanza

Via della Seta: l’economia cinese passa anche per l’Italia

Un’analisi approfondita sulle motivazioni dietro la decisione dell’Italia di non estendere la propria partecipazione alla BRI e le conseguenze a livello nazionale ed europeo.

Agli inizi del mese di dicembre, precisamente il 6, senza alcun clamore, è stata data la notizia che l’Italia ha deciso di non estendere oltre il periodo di validità, fissato per il 23 marzo 2024, la propria adesione alla Belt and Road Initiative (BRI, meglio nota come nuova via della seta). Possono spiegare lo scarso rilievo dato sui media a questa decisione, sia naturalmente quanto accaduto immediatamente dopo a Gaza, e sia gli accordi presi tra le due parti, che per ragioni diverse avrebbero concordato di non darne appunto eccessiva pubblicità.

Se da una parte, va ricordato che l’Italia era l’unico paese del G7 ad aver formalmente accettato di aderire all’iniziativa cinese, va anche sottolineato che quest’iniziativa italiana è in linea con la sempre maggiore preoccupazione con la quale in Europa si guarda alla penetrazione cinese nel tessuto economico del continente.

Per limitarsi alla sola Italia, e pure limitandosi a valutazioni solamente economiche, i numeri parlano chiaro: nel 2022 le esportazioni italiane verso la Cina hanno raggiunto la cifra di 16,4 miliardi di euro aumentando di poco rispetto ai 13 miliardi del 2019 (anno di entrata nel BRI), mentre nello stesso periodo le esportazioni cinesi verso l’Italia sono cresciute in modo importante, passando da 31,7 a 57,5 miliardi di euro.

Ma le perplessità non sono solo di natura economica e non sono solo italiane, ma europee. In uno studio pubblicato dal Parlamento europeo a settembre si legge testualmente che la forte presenza cinese nei porti europei presenta “rischi che non sono compresi a sufficienza”. Va detto che il documento non rappresenta la posizione ufficiale del Parlamento ma anche che è stato richiesto da una commissione parlamentare.

Il responsabile delle ricerche sulla Cina dell’Istituto francese di relazioni internazionali, Marc Julienne, ha in poche parole esposto il nocciolo della questione: il ricercatore ha infatti affermato che presi singolarmente gli investimenti cinesi sembrano innocui, ma “quando si parla di una serie di porti viene da chiedersi se esista una strategia più ampia”, sottolineando come considerare la Cosco (l’azienda di punta della industria marittima cinese detentrice, che controlla tra l’altro, il 40% del porto di Vado Ligure) un’azienda come le altre significa fraintendere il sistema politico ed economico cinese.

A dare la misura delle dimensioni degli investimenti cinesi in questo tipo di infrastrutture basta ricordare come negli ultimi 20 anni le aziende cinesi si sono rese protagoniste di almeno 24 operazioni di acquisizione nei porti europei, costate 9,1 miliardi di euro.

A proposito della presa d’atto in ambito europeo dell'”opacità” (per usare un eufemismo) della politica cinese, la UE cerca di mettere in campo una propria strategia: il 25 ottobre a Bruxelles si è tenuto il “Global Gateway Forum”, finalizzato all’incremento degli investimenti nelle infrastrutture. In questo contesto va inserito l’appoggio che la Unione europea ha deciso di fornire al recente IMEC (India-Medio Oriente-Europa corridor).

Si tratta di un corridoio volto a congiungere l’India con l’Europa attraversando il Medio Oriente (quindi si tratta di due vie, la prima che collegherà l’India al golfo Persico e la seconda che collegherà il golfo Persico all’Europa); sono state previste rotte sia marittime che ferroviarie, la posa lungo il percorso di cavi elettrici e per la connettività digitale, nonché tubazioni per il trasporto di idrogeno pulito.

Il Primo ministro indiano ha esplicitamente paragonato tale progetto all’antica rotta commerciale della seta, la stessa insomma che ha ispirato la BRI. Ma ci sono anche le dolenti note: il progetto prevede l’indispensabile presenza di due paesi che le recenti vicende medio-orientali hanno allontanato, proprio quando si stavano per normalizzare, e cioè Arabia Saudita e Israele.

Ad esempio il porto israeliano di Haifa è l’anello di congiunzione tra la rotta orientale dell’Imec e quella settentrionale che porta in Europa, ma anche lo scalo delle merci nella penisola arabica è altrettanto fondamentale. Quanto accaduto dal 7 ottobre in poi non facilita certo il progetto, ma chissà cosa ne avrebbe detto David Hume.

Enzo Russo

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