Economia & Finanza

IL MALE EUROPEO – Come uscire da una crisi gestita nel modo sbagliato

I Paesi emergenti riescono a raggiungere tassi di crescita molto più alti per un numero complesso di ragioni, fra cui un esercizio attivo della sovranità economica e politica che non troviamo da noi dove a dettare le decisioni dei leaders sono gli “spread” ed i “mercati finanziari”. 

Al contrario nei Paesi emergenti le politiche fiscali ed industriali vengono delineate specificamente per stimolare la crescita interna, viene richiesto un alto grado di protezione del mercato interno e la politica monetaria è largamente usata con la sua completa dotazione di strumenti. 

Ed hanno una cosa in comune: sono Nazioni. Dunque dispongono di una banca centrale nazionale, la quale può intervenire con forza nei mercati, acquistare titoli pubblici in maniera illimitata, o addirittura stampare moneta per ridurre e ricomprare il debito. 

L’Europa è invece sul sentiero suicida di impedire a se stessa l’utilizzo proprio di quelle armi che potrebbero salvarla dal fuoco incrociato dei mercati  finanziari e dalle loro profezie che si auto-avverano.

di Vittorio de Pedys – Ex banchiere d’investimento, docente universitario a Torino, Milano, Roma

Negli ultimi 18 mesi i politici europei hanno tentato di far fronte ad una crisi che rappresenta la maggiore sfida al progetto di integrazione europea dalla sua creazione alla fine della seconda guerra mondiale. Proprio il suo simbolo, l’Euro, è direttamente minacciato. L’idea della fine dell’Euro, impensabile fino a qualche mese fa, è stata apertamente considerata da molti – una cosa che avrebbe conseguenze traumatiche.

La crisi ha già avuto un profondo impatto politico, eliminando i leaders  in non meno di cinque membri dell’UE, due dei quali – Grecia e Italia – ora hanno governi “tecnici”, non eletti, per l’emergenza nazionale.

E’ evidente che i trattati fondanti dell’Unione non furono concepiti per fronteggiare tali difficoltà; basti ricordare che essi non prevedono neppure la procedura per uno Stato che voglia uscire dall’Euro e tornare alla propria moneta originale. Le difficoltà da superare sono enormi e ben note: assenza di politica fiscale comune, differenti tassi di crescita nei singoli Stati, assenza di trasferimenti economici per solidarietà, severa disciplina fiscale da imporre alle economie deboli (foriera probabilmente di piena recessione), nessun prestatore di ultima istanza, una banca centrale cui è negato dal trattato di sostenere i mercati dei titoli pubblici nazionali.

Da aggiungere a questo quadro c’è un sistema bancario in profonda crisi, che continua a tentare di ridurre la sua leva finanziaria e ridurre i suoi attivi, ed in disperato bisogno di fondi meno costosi per rifinanziare le proprie obbligazioni che scadono nel 2012-2013. La mancanza di fiducia che i mercati mostrano verso la capacità degli Stati sovrani di onorare il pagamento degli interessi e del capitale del loro debito pubblico ha impatti sui bilanci di gran parte delle banche europee; a  peggiorare le cose, e con dubbio tempismo ed efficacia, EBA – l’Authority Bancaria Europea – ha prescritto un rapporto Core Tier 1, dopo che le obbligazioni pubbliche sono state svalutate ai prezzi di mercato, del 9% minimo entro il primo trimestre del 2012. Coi loro investimenti attivi che perdono valore e il costo di finanziarsi salito a livelli non economici, non c’è da stupirsi se assistiamo ad una severa stretta creditizia da parte delle banche, che strozza l’attività economica in tutta Europa.

La disoccupazione cresce velocemente, mentre sempre più numerose sono le piccole e medie industrie che saltano. Un sistema bancario debole ed economie che vanno in recessione una dopo l’altra non sono certo una ricetta per l’ottimismo.

L’European Financial Stability Found

D’altra parte, malgrado queste difficoltà alcuni risultati interessanti sono stati raggiunti, sebbene quasi ignorati dai mercati finanziari: anzitutto la creazione dell’European Financial Stability Fund, e successivamente del ESM, che offrirà un supporto sostanziale al debito pubblico sotto pressione. In secondo luogo, la Banca Centrale Europea ha disegnato un piano audace per finanziare le banche a tassi molto contenuti (1 %) , attraverso l’accettazione di obbligazioni bancarie come garanzia per un periodo fino a tre anni, che dovrebbe sensibilmente alleviare la pressione finanziaria sulle banche stesse nel 2012 e nel 2013. In terzo luogo, la maggior parte dei governi sta adottando misure di austerità fiscale e includendo la clausola di pareggio di bilancio nelle loro costituzioni. Tutto ciò sarà abbastanza per rimettere l’Europa su un cammino sostenibile? I mercati ne dubitano. Ma i mercati si sbagliano altrettanto spesso di quanto ci indovinano e sono certamente in grado di realizzare essi stessi una loro previsione negativa. Lo abbiamo visto accadere già molte volte. Dopo tutto gran parte delle grandi fortune sono realizzate dagli speculatori in condizioni di mercato negative.

Verso recessioni pronunciate

Ma è davvero una crisi del debito pubblico ciò con cui abbiamo a che fare? O è piuttosto il peggioramento ulteriore della leva finanziaria del settore privato che esplose negli USA negli anni 2007-2008? In tutto l’Occidente i governi sono stati costretti a supportare, garantire e salvare dal fallimento proprio quelle stesse istituzioni finanziarie che crearono le bolle speculative da cui ricavarono (e ricavano) profitti privati astronomici. Si badi bene, queste sono le stesse istituzioni finanziarie le quali, in pratica senza controlli, stanno ora impartendo severi giudizi “ di mercato” ai governi, alle aziende, alle banche commerciali. La questione allora non è più e non solo come mai le autorità di vigilanza abbiano ciecamente lasciato che il mondo dell’investment banking creasse questo mostruoso circolo vizioso di “profitti-privati-quando-va-bene-e-responsabilità-pubblica-quando-va-male”, ma piuttosto come sia possibile che gli stessi governi oggi sotto attacco del fuoco dei mercati continuino a consentire che tale meccanismi “di mercato” dominino la vita di milioni di cittadini. Se dei leader come il Cancelliere Merkel vanno avanti per ragioni elettorali interne, magari destinate all’insuccesso in ogni caso, ad aumentare la disciplina di bilancio sulle economie europee, il risultato tipico sarà di spingere tali economie in recessioni ancora più pronunciate, ritardando vieppiù il recupero di uno stadio di stabilità. Forse alcuni governi “tecnici”, opportunamente scelti, possono far stringere la cinghia meglio di governi eletti: i casi della Grecia e dell’Italia ne sono esempi evidenti. Si tratta della risposta ortodossa di infliggere misure da lacrime e sangue sugli spendaccioni per far sì che l’azzardo morale di scorciatoie a buon mercato sia impossibile. E puntualmente tutti gli economisti ortodossi approvano la sequenza di dure misure di riequilibrio applicate a nazione dopo nazione in Europa; ma potete star certi che anche Paesi come la Francia o la Germania perderanno il rating AAA, insieme agli USA. Ed ecco allora che si parte con misure destinate ad aumentare il capitale proprio delle banche, quando è ciclicamente errato farlo e quando invece andrebbero supportate e forzate allo scopo di prevenire lo strozzamento del credito; o misure per aumentare la “flessibilità” del mercato del lavoro (leggasi licenziamenti) quando molte aziende hanno delocalizzato fuori dell’Europa e dovremmo forse favorire la sicurezza del lavoro per stimolare consumi ed investimenti; misure per allungare l’età pensionabile, con il risultato di tener fuori generazioni intere di giovani alla ricerca di primo impiego; aumenti drastici di tassazione diretta ed indiretta, nel momento in cui bisognerebbe lasciare quanto più reddito disponibile possibile nelle tasche dei consumatori. 

Una risposta da vaso di coccio

La risposta globale dei leaders europei va nella direzione di maggiore integrazione fiscale degli Stati membri, di nuovo seguendo suggerimenti ortodossi, sostenuti dal Cancelliere Merkel e dal Presidente Sarkozy.

In primo luogo ciò non accadrà velocemente: in Europa, diversamente dagli USA, il bilancio “federale” è minisculo ed ogni cambiamento dovrà esser riflesso in modifiche dei trattati.

In secondo luogo si spinge l’Europa verso politiche economiche “ortodosse”, che significa imporre regole esterne ad un corpo recalcitrante fatto di carne economica differente.

In terzo luogo, di nuovo diversamente dagli USA e dalla loro impostazione fondante di tipo federale, non esistono meccanismi seri  per trasferimento di risorse notevoli dalle aree ricche a quelle povere, allo scopo di livellare il ritmo dell’attività economica.

Con l’impossibilità di svalutazione delle divise deboli, escluse per definizione dall’appartenenza all’Euro, ciò significa probabilmente anni di mancanza di crescita o di crescita debole in molti Paesi, con costi umani e sociali addizionali da affrontare. E con una politica monetaria che può disporre sostanzialmente solo dell’arma dei tassi d’interesse, l’Europa sta allegramente fornendo al suo nemico giurato, i mercati finanziari, le munizioni per farsi sparare addosso.

Non sono forse saliti i rendimenti richiesti dal mercato sui titoli pubblici, in alcuni casi a livelli insostenibili, come in Italia, Grecia, Spagna, Portogallo? Apparentemente ciò è dovuto a livelli eccessivi di indebitamento pubblico, spiegano i censori dei mercati. Ad esempio se si guarda al rapporto debito/PIL dell’ Italia (120%)  ciò ha causato di recente un’impennata dei rendimenti dei Btp fino al 7%; ma se ci si guarda meglio attorno scopriremo che il Giappone, che ha un rapporto del 200%, paga rendimenti sui titoli pubblici di solo l ‘1 %. Oppure gli USA, dove se si somma il debito pubblico a quello delle agenzie federali ed alle garanzie illimitate concesse a banche ed assicurazioni si supera facilmente la soglia del 120%, ma gode tuttavia di un rating AAA e paga interessi sui titoli pubblici inferiori all’1 %. O ancora che dire del Regno Unito, dove la somma delle passività dirette ed indirette sia del settore pubblico che di quello privato sono di gran lunga superiori al 150%, ma che gode ancora di un rating AAA dove i rendimenti dei titoli pubblici inglesi sono inferiori a quelli dei titoli omologhi tedeschi!

A cosa sono dovute queste poco plausibili incongruenze?

Una prima risposta la troviamo nella incapacità, provata oltre ogni ragionevole dubbio, delle agenzie di rating: tutte americane, tutte immerse fino al collo nel più profondo dei conflitti di interesse coi loro clienti, tutte drammaticamente in-consapevoli degli effetti sistemici dei loro giudizi che si auto-avverano. Ma, ancora più rilevante, tutti i Paesi menzionati hanno una cosa in comune: sono Nazioni. Dunque dispongono di una banca centrale nazionale, la quale, in caso di interesse pubblico, può intervenire con forza nei mercati, acquistare titoli pubblici in maniera illimitata, o addirittura stampare moneta per ridurre e ricomprare il debito.

L’Europa è invece sul sentiero suicida di impedire a se stessa l’utilizzo proprio di quelle armi che potrebbero salvarla dal fuoco incrociato dei mercati  finanziari e dalle loro profezie che si auto-avverano. 

Se la medicina è avvelenata

Un ulteriore punto di interesse è il rapporto deficit corrente/PIL: Paesi come l’Italia, ad esempio, hanno deficit inferiori alla maggior parte dei Paesi Occidentali, ma restano comunque sotto la severa pressione dei mercati finanziari perché non godono di sufficiente “credibilità”. Ulteriori lezioni si possono ricavare dai casi opposti degli USA  e del Giappone; non vi è speculazione o pressione dei mercati sui titoli pubblici giapponesi perché più del 90% del debito pubblico di questo Paese è detenuto da investitori domestici. Quindi mentre da una parte l’ammontare di risorse drenate dall’economia per il servizio del debito è enorme, dall’altra però questi stessi pagamenti rifluiscono in mani domestiche ai detentori dei titoli, rifornendo liquidità all’economia. Opposto è il caso del debito americano, detenuto prevalentemente da istituzioni pubbliche cinesi; ciò obbliga Washington su uno stretto sentiero di scelte politiche ed economiche. Lezione della storia: se vuoi mantenere un debito molto alto faresti meglio a non venderlo ad investitori internazionali. Particolarmente se non hai una banca centrale nazionale.

A questo punto potremmo legittimamente chiederci: non è che le medicine classiche menzionate fin qui faranno aggravare la salute del paziente , invece di curarlo? Che tipo di ricetta per un recupero economico di lungo periodo è una che inevitabilmente spinge le nazioni verso anni di recessione?

Forse potremmo imparare qualcosa da altre, meno ortodosse, misure di politica economica. Guardiamo ad esempio ai mercati emergenti, Paesi come il Brasile, la Turchia, l’Indonesia, la Russia, per non menzionare i casi notissimi di India e Cina. Questi Paesi riescono a raggiungere tassi di crescita molto più alti per un numero complesso di ragioni, ma , fra di esse, non è alieno un esercizio attivo della sovranità economica e politica che non troviamo in Europa. Nel nostro continente chi governa le decisioni dei leaders sono gli “spread” ed i “mercati finanziari”.

Al contrario nei Paesi emergenti le politiche fiscali ed industriali vengono delineate specificamente per stimolare la crescita interna, viene ampiamente richiesto un alto grado di protezione del mercato interno, che sia beni, servizi, popolazione, brevetti, diritti i stabilimento e sfruttamento, libertà di trasferimento di capitali e profitti. Infine, e non meno importante, la politica monetaria è largamente usata con la sua completa dotazione di strumenti, che si chiamino gestione del cambio valutario esterno, fissazione dei tassi d’interesse, misure quantitative del credito, supporto centrale e delle banche commerciali al credito domestico.

Non c’è nulla di male nell’utilizzo trasparente di questo armamentario, se è utile ad elevare i livelli di vita della popolazione. Ciò che è probabilmente sbagliato è di appaltare la politica economica ad un corpus di pensiero ortodosso in cui per fare un vestito è disponibile una sola taglia ed operato da burocrati non eletti, come sta facendo al momento l’Europa, dove le politiche sono ispirate da speculatori che lavorano esclusivamente per mantenere intatto il loro controllo sulle tasche della gente.

E’ ben ora che l’Europa ripensi alle sue opzioni.

Tratto da “Polaris – la rivista n.9 – CRISI: COMBATTERLA O SUBIRLA” – acquista qui la tua copia

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