Ago Magnetico

E PUR SI MUOVE!

Oltre la guerra tra Russia e Ucraina: cosa si muove in Europa, lontano dalla luce dei riflettori?

Perché l’Italia ha una grande occasione?

di Centro Studi Polaris

Mentre sui media e sui social quando si discute della guerra in Ucraina si parla principalmente di bollette del gas e si fanno strampalate “analisi” geopolitiche, nelle principali cancellerie europee il dibattito vola più alto. Soprattutto, ma non solo, nelle due nazioni più colpite dalla tenaglia russoamericana in Donbass, cioè la Germania e la Francia, che operano alacremente per uscire fuori dalle secche.

La Germania vuol ritrovare se stessa

Dopo l’Ucraìna, la Germania è sicuramente il Paese più colpito dall’assurda invasione russa e dai suoi effetti. Aggredita negli interessi energetici, essa deve equilibrare le sue connessioni con la Russia e il suo peso politico ed economico nel proprio Lebensraum storico, cioè l’Europa dell’est. Un esercizio molto difficile, riuscito alla Merkel ma non al governo Scholz, che non sembra all’altezza della situazione. 

Se la Germania si mostrerà cedevole verso Mosca, perderà gran parte della sua stessa base economica, mentre, se si allineerà con i falchi, ci rimetterà sul piano energetico e sul peso centrale che aveva assunto trattando a lungo da privilegiata con la Russia. Il risultato di fronte a quest’impasse è che a Berlino hanno iniziato a comportarsi in maniera poco “tedesca”, ovvero a promettere senza manetenere e a tenere il piede in due staffe, ma non avendo la stoffa per farlo, arrancano. 

Riesumando la Dottrina Schaüble, si è però lanciata la Zeitenwende (Cambiamento d’epoca) che prevede un forte riarmo. Il problema è che, ad oggi, in Germania c’è un cavallo di Troia di Mosca e Tel Aviv: si tratta delle strutture mai disarticolate della Stasi che si sono infiltrate fino ai massimi livelli e di cui si dovrà venire prima o poi a capo se si vuol sperare in una vera svolta europea.

La Francia ieri, oggi e domani

La Francia è corsa ripetutamente ai ripari. A differenza di Berlino, Parigi prospettava fino allo scorso febbraio, per bocca di Macron in persona, la “morte cerebrale della Nato” e suggeriva intese strategiche con Mosca. Inseguendo il cosiddetto asse Parigi-Berlino-Mosca (congelato dal Cremlino nel 2006 e poi ripudiato decisamente dal 2011 e soprattutto dal febbraio 2022), la Francia in passato ha più volte aiutato Putin in Ucraina, non solo imponendo il Protocollo di Minsk (svantaggioso per Kiev), ma sostenendo anche i secessionisti del Donbass con molti mezzi (e armi). Armi che smise d’inviare solo quando i russi la pugnalarono alle spalle in Mali.

Con la crisi di febbraio 2022, Macron ha però avuto la prontezza e la fermezza di reagire ai colpi bassi sferrati da Putin e cambiare segno ai rapporti con Mosca, inviando notevoli aiuti militari a Kiev (in particolare i formidabili cannoni Cesar) e anche volontari professionisti più o meno mascherati. Ha poi rafforzato l’azione inviando carri armati Leclerc in Romania e caccia Rafale in Lituania.

In Francia il dibattito strategico nei think tanks che contano è fittissimo. Si noti che tutte le componenti (neogolliste, atlantiste, neutraliste) convergono sui dati oggettivi. I quali partono dalla considerazione che è la Russia che ha voluto la guerra (lì nessuno, neppure gli ambienti strategici pro-russi, si sono inventati delle argomentazioni pretestuose per giustificare l’ignominia moscovita). Tutti convergono su dei dati essenziali. 

Il primo è che l’intera politica francese fin dall’avvio della Quinta Repubblica si è basata sull’utilizzo della Russia come contrappeso nelle trattative con gli americani, cosa, oggi, resasi complicata. La seconda è la necessità di sfruttare per contrasto l’occasione fornita dalla folle guerra russa, ovvero reinterpretare il progetto di sovranità europea con un progetto industriale-finanziario europeo patrocinato dalla Ue e complementare alla Nato. Il terzo è che, per fare tutto ciò, si deve stabilizzare l’Europa dell’est, rassicurandola seriamente. Il quarto è che si deve puntare sull’indipendenza dell’Europa rispetto alla dialettica Usa-Cina e porsi come “potenza di equilibrio”  nell’Indo-Pacifico.

La Russia, vittima di se stessa

Pacificare con la Russia prima o poi lo vogliono tutti, ma si rendono conto che dopo l’aggressione di febbraio, i ricatti africani e la follia dell’annessione dei territori occupati, questo è diventato improbo. Peraltro la Russia è in caduta libera come player globale, ed è questa la motivazione individuata come spiegazione della mossa disperata di febbraio da Andrey Kortunov (dell’entourage di Igor Ivanov, l’architetto del Parigi-Berlino-Mosca). 

Nel 2016 lo stesso Putin ammise il fallimento russo nella sfida di modernizzazione e di differenziazione dell’economia: quando aveva preso in mano le redini del Paese, la sua economia dipendeva del 46% dalle esportazioni di gas e petrolio, ma la sfida di non dipendere più esclusivamente da questo, di non essere cioè più un petrolstato, è stata persa irrimediabilmente, perché la dipendenza è salita al 60%.

L’utilizzo della “clava” per rientrare in gioco però non sta funzionando molto, visto che le aperture a Cina e India per sopperire al calo delle vendite ad ovest è assolutamente insufficiente, né il gap può essere colmato prima di sette anni, sempre che, una tantum, una pianificazione russa vada a buon fine…

L’Europa prova a spezzare le proprie catene

In Europa si lavora per il futuro: troppo distratti dalle cialtronerie mediatiche e dalle beghe politiche interne, ben pochi hanno notato che lo scorso 1 settembre si è tenuto a Praga il primo incontro di un organismo informale, non molto gradito agli americani. Si tratta della Comunità Politica Europea (Cpe), promossa da Parigi, intesa come un luogo d’incontro e di organizzazione esterno al cerchio Ue. Un po’ come lo Sco per Russia e Cina. Al primo incontro hanno partecipato 44 Stati, ovvero 17 oltre ai membri Ue. Tra questi l’Ucraina, il Regno Unito e la Turchia. Il proponimento è di creare un luogo di intese, organizzazioni, accordi politici, commerciali e diplomatici che consenta di non restare ingessati nelle pastoie di Bruxelles e che, oltre a rafforzare la Ue, fornirebbe lo strumento per ricucire le relazioni di pace. Il luogo ottimale per una ripresa di relazioni, sia pur a lunga scadenza, con la Russia di domani.

L’occasione per l’Italia

Le cose, insomma, si muovono ben diversamente da come parrebbe in superficie. E ci sono non poche carte da giocare, in particolare per l’Italia.

Se si deve ammettere che la Francia sta operando con un’intelligenza politica notevole, anche a copertura dell’attuale “rozzezza” tedesca, perché una strategia di fuoriuscita vincente dalla crisi abbia esito è però necessario per Parigi (per non parlare di Berlino) l’intervento attivo – non come sponda ma perfino come volano – di Roma che può capitalizzare almeno due peculiarità

Da una parte, il suo storico atlantismo, che si è concretizzato nel non aver manifestato alcuna volontà d’indipenenza europea, è un dato che può rassicurare Londra e Washington e ridurne la volontà di attrito. Dall’altra, il fatto che il nuovo governo sia guidato da una Premier che vanta ottimi rapporti con Visegrad, dalla Polonia anti-russa all’Ungheria ballerina, può facilitare come nessun altro un avvicinamento tra l’est europeo e la coppia franco-tedesca, guardata oggi con sospetto per il comportamento nel Donbass.

Le sfide di domani sono aperte e possono rilanciare prepotentemente l’Italia, come non accadeva da tempo.

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