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METTI GRETA NEL MOTORE – Le ecotasse non ridurranno l’inquinamento ma finanzieranno la ristrutturazione

L’idea che le grandi case automobilistiche asiatiche, tedesche e, in misura minore, americane e francesi, perseguono è quella di un’umanità che nel prossimo ventennio, dotata esclusivamente di auto elettriche e ibride, praticherà in modo sistematico la logica dello share and go.

Ma per poter accettare questa “socializzazione” dei mezzi privati è fondamentale che questi ultimi siano in grado di rispondere in modo soddisfacente alle aspettative richieste.

di Orientamenti & Ricerca

L’Occidente intero è attraversato da manifestazioni ecologiste ad opera di studenti accortisi di colpo che la terra è in pericolo. Benché la questione ambientale, sepolta con la seconda guerra mondiale, sia tornata di moda già negli anni settanta, solo adesso i governanti nazionali e sovranazionali, dall’Onu al Papa, sembrano scoprire il problema a cui hanno dato il volto di Greta, una ragazzina svedese che sembra l’incarnazione del Progetto Gaia.

Si tratta di una sollecita sensibilità comune o risponde a dei precisi interessi?

Un radicale cambiamento della concezione dell’auto

Nel 2018 Matthias Müller, amministratore delegato, affermava all’assemblea soci della Volkswagen “È iniziata una partita nuova, con nuovi trend, nuove tecnologie, nuove alleanze”.

Si riferiva ad un “processo di transizione energetica” che cambierà la geografia delle materie prime.

Possiamo dire che si tratta della risposta tedesca all’avanzata asiatica nel settore.

Un settore in cui non tutti i marchi possono sopravvivere e nella quale, per farlo, la Toyota intende “trasformarsi da compagnia produttrice di automobili in una mobility company, perché dovrà fornire servizi di trasporto di ogni tipo, dalla produzione di auto, alla connettività, al car sharing, alla produzione di batterie”.

Siamo in presenza di un progetto di radicale cambiamento di vita nella relazione uomo/automobile. Un progetto radicale imposto dall’aumento degli utenti, dalla limitatezza delle fonti di petrolio e dalla politica assertiva della Cina che, in questa ristrutturazione, si è gettata a capo fitto.

L’idea che le grandi case automobilistiche asiatiche, tedesche e, in misura minore, americane e francesi, perseguono è quella di un’umanità che nel prossimo ventennio, dotata esclusivamente di auto elettriche e ibride, praticherà in modo sistematico la logica dello share and go. Ma per poter accettare questa “socializzazione” dei mezzi privati è fondamentale che questi ultimi siano in grado di rispondere in modo soddisfacente alle aspettative richieste.

E non si tratta solo della velocità di crociera ma dei tempi di ricarica che sono, al momento, paralizzanti.

Con le batterie agli ioni di litio sembra si sia in grado di risolvere il problema. Tuttavia è necessario costituire un’infrastruttura mondiale di colonnine di ricarica che riducano i tempi elefantiaci rendendoli analoghi a quelli del rifornimento di benzina.
Su questo progetto si trovano in posizione avanzata e in competizione tra loro Porsche, Bmw e Tesla.
Le cose non sono però così semplici, perché l’utilizzo futuro delle colonnine di ricarica rischierebbe di creare sovraccarichi e black out di ampia portata che paralizzerebbero letteralmente le città. Ergo è necessario un investimento poderoso che le case automobilistiche non possono permettersi, ma che può essere fornito da ecotasse globali.

I cinesi hanno in mano l’iniziativa

La State Grid Corporation of China è il secondo gruppo mondiale per fatturato (350 miliardi di dollari). Oggi è in grado di costruire quasi tutti i componenti per le reti UHV – per la trasmissione di energia ad altissima tensione – sia in corrente alternata che continua, nonché tutte le componenti (trasformatori, interruttori ecc) del mercato mondiale. La sua rete ha già messo piede in Europa e prevede di costruire 21 centrali nel corridoio sino-pachistano. In Africa conta di agire incontestata.

Comprensibile che gli altri players, guidati dalla Germania, meditino di contenere l’offensiva cinese.

Questo comporta una serie di conseguenze, alcune già in atto.

Intanto la nuova contesa geopolitica interesserà i Paesi produttori di litio e cobalto, indispensabili per la costruzione delle batterie del futuro. La Cina il litio lo ha in casa, idem gli Usa.

Il litio si trova in abbondanza in Argentina, Cile, Bolivia, Australia; il cobalto in Congo Kinshasa, Canada, Australia, Brasile, Cuba, Nuova Caledonia, Zambia e Marocco. La Cina ha in casa anche il cobalto, e così la Russia.

Il capitale occidentale

Stare al passo con i tempi significa non lasciar scappare via i cinesi.

Sicché gli occidentali, seguendo l’iniziativa della Volkswagen, intendono colmare il ritardo.

La casa tedesca, entro il 2025, progetta di mettere sul mercato 50 modelli elettrici e 30 ibridi. Ragion per cui pone al centro lo sviluppo della tecnologia delle batterie, pari a quasi un terzo del costo di produzione del veicolo.
Alla Volkswagen fa seguito, più o meno, l’intero capitalismo europeo. Altrettanto fa quello nordamericano.
Di che cifre parliamo? Una prima stima prevede 360 miliardi di dollari nei prossimi sei anni, ma una stima globale prevede almeno mille miliardi da investire.

Le ecotasse serviranno a questo. Che poi le auto elettriche inquineranno meno del diesel è tutto da comprovare. Ma la tendenza storica esige questa ristrutturazione.

Tratto da “Polaris – la rivista n.23 – PER UN AMBIENTALISMO FUTURISTA” – acquista qui la tua copia

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