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L’ECOLOGICAL ECONOMICS – In opposizione alla logica globalista

Emerge subito che, mentre l’Ecological Economics contrasta in modo stridente con i diktat dell’agenda globalista, la recente ondata di ambientalismo adolescenziale e plastic-free, che fa tanto chic, schiva accuratamente, all’insegna del politically correct, i temi scottanti ed evita di mettere in discussione i punti della stessa agenda.

di Antonio BovoOperatore finanziario e docente di corsi master

La Politica Economica si compone di quattro linee di azione principali: politica fiscale (spesa pubblica, imposte e debito pubblico), politica monetaria (emissione di moneta), politica industriale e politica internazionale (scambi commerciali e finanziari). Lungo tali linee di azione, i tradizionali obiettivi della Politica Economica, crescita illimitata del Prodotto Interno Lordo (PIL) e, in subordine, piena occupazione, hanno funzionato, più o meno bene, fino a quando l’ambiente poteva essere considerato infinito rispetto alla dimensione del sistema economico.

La sempre più condivisa consapevolezza che una crescita quantitativa infinita è impossibile in un ambiente finito ha fatto sorgere una branca dell’Economia, nota come Ecological Economics, che valuta qualsiasi obiettivo di politica economica sotto tre punti di vista e fissa i vincoli per le azioni conseguenti:

  • scala (dimensione fisica del sistema economico in relazione all’ecosistema);
  • distribuzione (ripartizione delle risorse tra gli individui);
  • efficient allocation (ripartizione delle risorse tra diversi beni e servizi).

Emerge subito che, mentre l’Ecological Economics contrasta in modo stridente con i diktat dell’agenda globalista, la recente ondata di ambientalismo adolescenziale e plastic-free, che fa tanto chic, schiva accuratamente, all’insegna del politically correct, i temi scottanti ed evita di mettere in discussione i punti della stessa agenda.

Dal punto di vista della dimensione del sistema economico (problema di scala) balza all’evidenza il fenomeno della crescita abnorme e incontrollata della popolazione mondiale (moltiplicatasi di quattro volte in meno di un secolo), che rende improcastinabile il ricorso a pratiche di contraccezione, in particolare nei continenti che registrano un tasso di natalità esorbitante (Africa, Asia, America del Sud). Il sovrappopolamento è anche all’origine delle migrazioni selvagge, rispetto alle quali la posizione dell’Ecological Economics è assai critica: “La globalizzazione erode i confini nazionali per scopi economici (libero mercato e non controllata immigrazione). La conseguenza è la tragedia dei beni comuni.” Lo stolido buonismo mainstream e le convenienze politiche hanno messo invece all’indice il tema del sovrappopolamento, scomparso dai radar del dibattito politico e rimpiazzato al più dagli studi sull’alimentazione del futuro (alghe, insetti, cibo OGM), per la gioia delle multinazionali.

Ambiente e Debito

Nell’ottica dell’Ecological Economics, inoltre, la creazione di debito pubblico ha impatto negativo sull’ambiente: a causa della maturazione di interessi, il debito mostra, infatti, una crescita di tipo esponenziale che confligge con il delicato equilibrio lineare dell’ecosistema. Logiche di compatibilità ambientale suggerirebbero, quindi, di ricorrere alla stampa di moneta (non a debito) per finanziare gli investimenti, misura considerata, invece, eretica dagli epigoni della globalizzazione e assente nel dibattito degli ecologisti à la page.

Dal punto di vista della equa ripartizione delle risorse tra individui (distribuzione), è noto che la cattiva distribuzione della ricchezza produce depauperamento dell’habitat naturale (oltre a una lunga serie di ulteriori conseguenze negative che esulano da questo contesto): si è consolidato, invece, con l’avvento della globalizzazione, il trend di concentrazione della ricchezza che ha raggiunto livelli senza precedenti nella storia (nel 2016 l’1% della popolazione detiene oltre il 50% della ricchezza mondiale, livello mai conosciuto prima). Strumento principale di questa concentrazione sono i paradisi fiscali, la cui esistenza non ha alcuna ragione economica, ma rispetto ai quali non si è a conoscenza di crociate ambientaliste condotte nelle forme di traversata atlantica su yacht a vela o altro.

Infine, dal punto di vista dell’efficient allocation, le devastazioni provocate dalla delocalizzazione, che alimenta uno smodato traffico di merci, spesso scadenti e sostanzialmente inutili, e gli assurdi sprechi prodotti dal cosmopolitismo idiota del traffico aereo e crocieristico, trovano solo qualche timida e del tutto apparente critica degli ecologisti di maniera che, per indole e formazione, amano la massificazione dei prodotti e le magnifiche opportunità di contatto offerte dal turismo vacanziero e à la Erasmus.

Si può agevolmente concludere che l’Ecological Economics identifica in tutti gli aspetti caratterizzanti della globalizzazione (logiche esponenziali della crescita, movimenti esplosivi di merci, capitali e persone) ricadute deleterie per l’ambiente. L’azione di contrasto alla globalizzazione, che ha illustri precursori nei critici del mondialismo e importanti prosecutori nell’Ecological Economics, è stata prima denigrata e delegittimata e ora sostituita da un innocuo “ambientalismo dalla faccina contrita” che compiace l’animo esangue dei radical chic, senza disturbare i progetti e le manovre oscure degli oligarchi.

Tratto da “Polaris – la rivista n.23 – PER UN AMBIENTALISMO FUTURISTA” – acquista qui la tua copia

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