Economia & Finanza

UN’IDEA PARTECIPATIVA – Il bisogno e la possibilità di cambiare registro

La partecipazione come un passo ulteriore, integrativo e di riproposta nel terzo millennio alla ben più nota “socializzazione”.

I suoi principi fondativi, dalla concezione dell’impresa come societas alle implicazioni di natura più economica e di politica industriale.

I modelli sono dei più variegati, passano dalla Mitbestimmung (cogestione) tedesca alla cointeressenza.

di Filippo BurlaLaureato in Scienza ed Economia Politica

Produttività. Un termine negli ultimi tempi al centro della scena nella diatriba sulle relazioni sindacali, sui modelli contrattuali e sulla direzione che a detta dei più dovrebbe prendere lo sviluppo prossimo venturo dell’Italia e dell’Europa tutta.

La querelle ha, per certi versi, tratti molto simili a quanto avvenuto nei primi anni novanta: il pensiero dominante del periodo si muoveva tra privatizzazioni e liberalizzazioni e in queste indicava la via per raggiungere quella fase di equilibrio minata alle fondamenta dalle manovre speculative sulla lira e dall’incombenza degli obblighi fissati da Maastricht.

I risultati li vediamo oggi: un debito pubblico al limite della sostenibilità, un processo di deindustrializzazione sempre più marcato, la crescita continua della disoccupazione con numeri da apocalisse a livello giovanile.

Il che fa pensare che la panacea in realtà non fosse tale, o comunque non fosse ben compreso il significato né la portata delle operazioni portate avanti con solerzia da una classe dirigente votata al tecnicismo più spinto.

La nuova moda

Passata la stagione privatizzatrice e liberalizzatrice, di cui dobbiamo dare atto ai vari governi Berlusconi fin qui succedutisi nell’aver imposto un freno, ora la “corrente” passa sul piano più strettamente aziendale e delle relazioni industriali. La produttività appunto.

Partiamo dalla definizione: la produttività è intesa come la quantità di generico output a fronte di un determinato input produttivo. Il suo aumento coincide dunque con la crescita della produzione a parità di fattori (materie prime, lavoro) impiegati. Le recenti scelte compiute dall’amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne si orientano proprio in questo senso.

Imprese e Sindacati

Filippo Carli, padre del più famoso Guido, nel suo saggio L’idea partecipativa sottolinea più volte come, essendo l’impresa un essenziale corpo intermedio dello Stato, sia al suo interno una vera e propria societas. In quanto tale, non può reggersi se non sul consenso. Il consenso, a sua volta, viene a realizzarsi solo nella misura in cui le forze interne a questa societas riescono ad orientarsi verso un obiettivo comune che, alla base, è anzitutto la sopravvivenza e in secondo luogo lo sviluppo dell’azienda stessa.

E’ a questo punto che, per garantire quanto descritto, entra in gioco la questione della partecipazione.

Nella querelle attorno ai già citati interventi di ristrutturazione interna portati avanti dalla Fiat, la discussione sulla partecipazione si è orientata in larga parte attorno alla rappresentatività, vale a dire la fetta di presenza interna ai nuclei aziendali delle sigle sindacali. Il tema è di piccolo cabotaggio e, cristallizzandosi lungo una direttrice relativa probabilmente a questioni di quartiere nel confronto con le altre sigle, mina un’intera chiave di volta.

Partecipazione tout court

Il punto nodale non è infatti solo quello del confronto, che rimane comunque necessario, tra i delegati degli operai e dei quadri con il management. Il fuoco attorno a cui ruota la vertenza sulla produttività ha infatti un diretto collegamento con il tema della partecipazione. Una partecipazione estesa dagli utili d’impresa al coinvolgimento dei lavoratori tutti alle decisioni aziendali.

I modelli sono dei più variegati, passano dalla Mitbestimmung (cogestione) tedesca alla cointeressenza ma, in ogni caso, seguono una linea rossa che vede l’inclusione di tutti i prestatori d’opera nelle dinamiche più intime della vita d’impresa. La Francia è stata in qualche modo la capostipite delle proposte in tal senso. Già nel 1917 infatti fu varata dal governo di Parigi una legge che introduceva l’azionariato operaio e lo attribuiva non ai singoli dipendenti ma alla loro collettività, costituita azienda per azienda in società cooperativa che spartiva poi tra i soci (obbligatoriamente tutti i lavoratori) la quota-parte degli utili aziendali.

Ratio

Il perchè della partecipazione non è però solo ed esclusivamente di natura reddituale. Un ruolo importante gioca infatti l’aspetto della formazione dei lavoratori: attraverso la partecipazione attiva che vada oltre l’elezione dei delegati e la scelta si/no nei referendum sui contratti decentrati, dà la possibilità di una elevazione degli stessi tramite una sorta di “iniziazione” alle dinamiche di gestione, superando così una contrapposizione frontale dettata soprattutto dalla mancata conoscenza del metodo di formazione delle decisioni prese ai vertici.

Passando invece al lato più strettamente economico, la partecipazione a parte degli utili d’impresa può fungere da elemento catalizzatore per una maggiore fluidità del mercato di riferimento dell’azienda. In altre parole, la questione di ricollega al tema della produzione-quindi della creazione, al pari della distribuzione e prima ancora che della redistribuzione dei redditi da lavoro.

Synthesis

La produttività senza partecipazione rischia di essere un ricatto occupazionale senza prospettive per il futuro dell’industria Italiana. I recenti casi della Fiat di Pomigliano d’Arco e di Mirafiori sono eloquenti in tal senso.

La politica industriale da parte sua non si fa solo con le infrastrutture, e nemmeno solo con un sistema articolato fino all’esasperazione parossistica della palude degli incentivi: si fa anche, e soprattutto, attraverso un coinvolgimento di tutti gli attori della scena.

Il rischio, al contrario, è di perseguire una politica corretta da un punto di vista formale ma alla quale non vengono dati i giusti strumenti per raggiungere l’efficacia che si prefigge.

Tratto da “Polaris – la rivista n.7 – IL FANTASMA DELLA LIBERTÀ” – acquista qui la tua copia

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