IL LAVORO CHE NON NOBILITA L’UOMO – Orientamenti per una legge sulla certificazione etica del prodotto
La globalizzazione ha effetti deleteri sulle nostre imprese che subiscono la concorrenza di quelle dei Paesi privi di leggi sociali e soprattutto li ha sui nostri lavoratori, condannati alla disoccupazione o a subire condizioni di lavoro che avevamo superato da quasi un secolo.
Il lassismo e l’attendismo infettano la piaga. E’ possibile intervenire pretendendo regole che garantiscano la dignità dei lavoratori e che, in mancanza della loro osservanza, vietino la commercializzazione dei prodotti il cui basso costo, che si taduce in concorrenza selale per le nostre imprese, si deve allo sfruttamento incontrollato delle maestranze.
di Marco Stella – Insegnante di Lingua e Cultura Italiana presso la Berlitz Idiomas di Rio de Janeiro.
Vietare la commercializzazione dei prodotti che provengono da Paesi che non rispettano la dignità del lavoratore è una misura necessaria per salvaguardare le imprese ed i lavoratori italiani.
La tutela delle imprese italiane e dei lavoratori italiani dovrebbe esser una priorità da parte di una classe politica interessata alla salvaguardia dei cittadini.
È noto a tutti che da oltre un decennio la rapida globalizzazione economica non sia accopagnata da una tanto celere globalizzazione etica, fattore che da certi punti di vista ha riportato parte dell’umanità indietro di un secolo. Se molti Paesi avevano già raggiunto il benessere economico, uno Stato sociale soddisfacente e degne leggi del lavoratore – grazie sopratutto a ciò che ancora era rimasto delle vecchie strutture corporative e dell’economia mista di mercato – oggi tutto ciò si sta sgretolando.
La globalizzazione economica ha permesso, a Paesi arretrati sul piano delle garanzie sociali e rispetto per la dignità del lavoratore, di entrare liberamente nel mercato. Ciò è avvenuto a scapito dei lavoratori dei Paesi di più recente industrializzazione, condannati a ulteriori decenni di sfruttamento e a scapito delle imprese e lavoratori italiani penalizzati da concorrenza sleale. Uma risstretta oligarchia internazionalista ne esce invce avvantaggiata.
E’ palese che la respondabilità di questo fenomeno sia dovuto all’irresponsabilità, o peggio ancora al tradimento, di tutti quei politici che lo hanno favorito anche solo com il lassismo, lasciando così spogliare sia il nostro lavoratore sia il nostro imprenditore della propria dignità.
Siamo a un bivio
A questo punto si è di fronte ad un bivio: da una parte c’è la strada che porterebbe alla riaffermazione nazionale della nostra economia, che richiede misure di tutela del mercato nazionale per salvaguardare il lavoratore italiano e le imprese italiane; dall’altra parte c’è la completa e totale deregolamentazione economica che pretenderebbe di lasciar liberi di agire i nostri imprenditori al fine di ritornare ad essere concorrenziali. Una via di mezzo non esiste, perché è la strada che stiamo percorrendo ora ed abbiamo visto essere fallimentare. Escludendo per ovvie ragioni l’alternativa di completa deregolamentazione (anche perché si tratterebbe di azzerare le leggi di tutela del lavoratore e le normative per la sicurezza, favorendo ulteriormente le attuali forze sfruttatrici), resta la via della tutela del mercato nazionale che, ritornando all’incipit, sarebbe in parte applicabile iniziando col vietare la commercializzazione di prodotti che provengono da Paesi che non rispettano la dignità del lavoratore.
Questa imposizione, motivabile da forti giustificazioni etiche, porterebbe cambiamenti nei rapporti economici tra i Paesi; il primo effetto potrebbe esser una sorta di ritorsione nei confronti degli imprenditori italiani che lavorano in casa loro da parte di quelli che non hanno una legislazione adeguata alle nuove esigenze.
Certifcazione
Lo stesso risultato potrebbe essere ottenuto allora non con il divieto della vendita di prodotti provenienti dai Paesi che non rispettano le norme, ma dei prodotti di quelle imprese che non godono di una certificazione corrispondente alle esigenze richieste. Potremmo completare il quadro esigendo ad esempio la certificazione QSA+E che è composta dalla certificazione che regolamenta la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (BS OHSAS 18001) quella che definisce la qualità (UNI EN ISO 9001) quella sull’ambiente (14001) e la SA8000 che deriva direttamente dalle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Con questa certificazione si garantirebbe che l’azienda che intenda esportare in Italia rispetti i diritti umani, i diritti dei lavoratori, non faccia lavorare i minori e garantisca sicurezza e salubrità sul posto di lavoro. Questi paletti sarebbero sufficienti a sbarrar la strada ai prodotti fabbricati dalla maggior parte delle imprese di quei Paesi che con la loro concorrenza sleale stanno fortemente danneggiando i nostri lavoratori e le nostre imprese.
Tratto da “Polaris – la rivista n.6 – FLUSSI E RIFLESSI” – acquista qui la tua copia