Riflessioni

UN PROBLEMA TRANSNAZIONALE – L’Italia e l’Unione Europea

L’erosione del Welfare, la precarizzazione crescente del lavoro e l’aumento della disoccupazione, la forbice in crescente allargamento tra salari, pensioni e costo della vita, fenomeni tutti di matrice transnazionale mettono l’Italia in una posizione di estremo rischio dal punto di vista della coesione sociale e, in conseguenza, dell’ordine pubblico.

Si potrebbe dire che occorrerebbe anche per la coesione sociale un Fondo salva-Stati, garantito dal bilancio degli Stati membri e dal bilancio comunitario e in grado di lanciare un Welfare europeo a sostituzione dei malati Welfares nazionali, soprattutto di quello italiano.

di Francesco IngravalleProfessore universitario e saggista

Atlantismo, europeismo e Italia

Da sessant’anni l’Italia ha scelto la strada dell’integrazione nell’UE. L’Italia: i governi espressi dalla maggioranza degli elettori italiani. Governi di centro, di centro-sinistra, di centro destra, della prima e della cosiddetta “seconda repubblica”. Certo, espressione di ali diversamente orientate in virtù di divergenti interessi transnazionali della medesima classe sociale cui in modo diverso l’elettore qualsiasi ha affidato la gestione dei propri interessi – reali o immaginari non importa.

Il contesto dei rapporti di forza è, fin dal principio quello statunitense. Avrebbe potuto essere diversamente? No, per la semplice ragione che gli U.S.A. hanno vinto la guerra, occupato l’Italia cospargendola di loro basi militari. Anche l’adesione dell’Italia alla N.A.T.O. rientra nella logica della sconfitta – quale che sia il nostro giudizio sui vincitori e sui vinti. 

Non diversamente vanno le cose se si considera l’intero processo dell’integrazione economica europea dalla C.E.C.A. alla C.E.E., sino all’implosione del blocco del “socialismo reale”: senza “atlantismo” niente integrazione europea – questo il verdetto quasi unanime degli storici dell’integrazione europea. Ma non è soltanto il quadro risultante dai rapporti di forza militar-politici: questo è il quadro che risulta dalla storia ben più complessa delle insufficienze economiche e finanziarie del vecchio modello dello Stato-nazione messo in crisi dal conflitto 1939-1945 e dal corrivo emergere degli Stati continentali sulla scena della lotta per il potere geoeconomico prima ancora che geopolitico. L’Italia appartiene all’area statunitense; e questa appartenenza viene “declinata” in modo diverso a seconda che il Presidente degli U.S.A. appartenga al Partito Democratico, oppure al Partito Repubblicano: il Centro-Destra in Italia è più consonante con gli orientamenti del Partito Repubblicano statunitense, il Centro-Sinistra lo è con gli orientamenti del Partito Democratico.

La fine della guerra fredda e l’evoluzione della C.E.E. a Unione Europea ha sensibilmente modificato la realtà post-1945, l’esigenza di creare, comunque, un’area di gestione autonoma dei problemi del continente europeo non poteva evitare che l’Italia si trovasse a fare i conti con un approfondimento dell’integrazione europea reso necessario dall’urgenza di gestire razionalmente il “post-socialismo” nell’Europa Orientale. Ma approfondire l’integrazione equivaleva a fare i conti con il potenziamento della sovranazionalità crescente delle decisioni prodotte dalla Unione Europea. E non c’è dubbio che, sotto questo profilo, nell’ultimo quindicennio, i governi di centro-Sinistra siano risultati più funzionali dei governi di Centro-Destra, arroccati su posizioni di arcaico atlantismo o di intergovernativismo decisamente fuori tempo (la crisi finanziaria dovrebbe aver tolto a ognuno ogni illusione: da un punto di vista funzionale l’Unione Europea è la cinghia di trasmissione delle politiche finanziarie ed economiche caldeggiate dal Fondo Monetario Internazionale che richiedono un aumento dell’integrazione europea). Il ritmo costante dell’allargamento dell’Unione giunto a 27 Stati sembra dettato dall’esigenza di allargare le aree controllabili finanziariamente.  

Le basi giuridiche del rapporto Italia-Unione Europea

L’impostazione che sorregge l’adesione italiana all’Unione Europea è dualistica; questo significa che l’ordinamento statale va considerato distinto dall’ordinamento internazionale e quindi non si può deteminare alcuna gerarchia tra le norme interne e le norme esterne. Su questa base risulta formulato l’art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana che è la base giuridica dell’adesione dell’Italia alle organizzazioni internazionali (e l’Unione Europea è un’organizzazione internazionale, sia pure sui generis). Il principio del primato del diritto comunitario enunciato nella celebre sentenza della Corte di Giustizia della C.E.E. Costa contro ENEL del 1964, in base al quale in caso di contrasto tra una norma di diritto comunitario e una norma nazionale si deve lasciare inapplicata quest’ultima viene ricavato da una concezione monistica con primato del diritto internazionale del rapporto fra diritto internazionale e diritto nazionale. C’è, dunque, una contraddizione fra i presupposti su cui si fonda l’art. 11 della Costituzione italiana e i presupposti del funzionamento giuridico dell’Unione Europea. Contraddizione risolta dalla Corte Costituzionale la quale ha stabilito che in presenza delle condizioni previste dall’art. 11 “è consentito stipulare trattati con cui si assumano limitazioni di sovranità ed è consentito darvi esecuzione con legge ordinaria.” I Trattati sono stati recepiti con leggi ordinarie e la “copertura” fu individuata proprio nell’art. 11 (“L’Italia […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”). Nessuna influenza giuridica ha avuto, però, il referendum costituzionale del 1989 che poneva agli elettori italiani il quesito sulla opportunità di trasformare le Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento e che pure ottenne un risultato favorevole (l’88,1% dei voti espressi). Non hanno avuto migliore sorte alcune proposte di modifica della Costituzione per disciplinare i rapporti con l’Unione Europea emerse in seno alla Commissione bicamerale istituita nel 1997.

La soluzione europea dei problemi nazionali non più risolvibili dallo Stato-nazione

L’Italia è soltanto uno dei casi di impatto distruttivo a livello “locale” della transnazionalizzazione dell’economia tipica della globalizzazione crescente. Un Paese certamente all’avanguardia nella (relativa) tutela dei diritti sociali, con un Welfare State non esageratamente attraversato dalla corruzione, in cui il clientelismo partitocratico (della maggioranza e dell’opposizione) funzionava, per dirla cinicamente, da volano della vita economica e sociale all’ombra della Pubblica Amministrazione e compensava la cronica (anche allora) instabilità degli esecutivi, non poteva di certo dirsi un paese gravemente infelice. Crollato il sistema di Jalta, liquidata la corruzione politica ormai inutile, essendo venuto a mancare il nemico (il “comunismo”), i vincoli in materia di finanza pubblica suonarono certamente più rigidi in un sistema che andava perdendo la “flessibilità” del recente passato. Con l’ingresso dell’Italia nell’area euro l’esigenza di rigore dei conti pubblici ha spinto a sacrificare gli investimenti nella pubblica istruzione, nella ricerca e nella sanità a esigenze di politica estera richieste perentoriamente dalla partnership della N.A.T.O. Ciononostante la fluttuante economia italiana del dopo-Jalta, all’arrivo della crisi maturata nel 2008, si è trovata relativamente al riparo, collocata com’essa è nell’area dell’euro e sottoposta meno del previsto agli effetti destabilizzanti della speculazione sui mercati finanziari: la sua situazione non è attualmente separata da un baratro da quella della Grecia e dell’Irlanda i cui sistemi finanziari sarebbero andati a fondo senza l’intervento del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea, ma, per lo meno, ci sono spazi di manovra.

L’erosione del Welfare, la precarizzazione crescente del lavoro e l’aumento della disoccupazione, la forbice in crescente allargamento tra salari, pensioni e costo della vita, fenomeni tutti di matrice transnazionale mettono l’Italia in una posizione di estremo rischio dal punto di vista della coesione sociale e, in conseguenza, dell’ordine pubblico. Si potrebbe dire che occorrerebbe anche per la coesione sociale un Fondo salva-Stati, garantito dal bilancio degli Stati membri e dal bilancio comunitario e in grado di lanciare un Welfare europeo a sostituzione dei malati Welfares nazionali, soprattutto di quello italiano. Per tutelare l’ordine pubblico, in prospettiva, non basta salvare i sistemi finanziari, occorre salvare anche i sistemi sociali, soprattutto quello italiano. Una strategia puramente nazionale, su questo piano, è impossibile, perché la cause della crisi sono transnazionali; la fragilità istituzionale italiana, anche recentemente patente, consiglia di procedere con la maggiore rapidità possibile sul piano di un’azione concertata a livello europeo per gettare le basi di un Welfare continentale.

Tratto da “Polaris – la rivista n.5 – RESETTARE L’ITALIA” – acquista qui la tua copia

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