Economia & Finanza

METAMORFOSI – Il Capitalismo nell’era del debito non è più se stesso

Dimostrata l’inefficacia del socialismo reale come sistema di gestione dell’economia, il modello capitalista, uscito vincitore dallo scontro con il comunismo, ha finito per subire, in un processo di iperbolica accelerazione, una vera e propria mutazione genetica.

La numerosità e la gravità delle crisi succedutesi nel tempo, hanno finito per dimostrare come la crisi non costituisca, affatto, un incidente di percorso lungo il corso della storia economica del capitalismo. Anzi, ne incarna un elemento strutturale e «necessario» alla sopravvivenza del capitalismo stesso. 

Le politiche a sostegno dell’economia e del settore finanziario, messe in campo da Banche Centrali e Governi, hanno spostato il debito dal settore privato a quello pubblico, gettando le basi per la futura “bolla delle bolle”: quella del debito.

La riorganizzazione per grandi spazi economici alla quale stiamo assistendo, ridisegna non solo le mappe geopolitiche del pianeta ma rimette in discussione l’intero impianto del capitalismo per come è stato, sinora, conosciuto. 

di Daniele LazzeriScrittore, saggista, pubblicista, ricercatore

Limite filosofico

Il dibattito filosofico sul destino del capitalismo impegna, da decenni, alcuni tra i più accreditati studiosi a livello internazionale. La vulgata comune tende, invece, a far risalire l’unica critica di un certo spessore al pensiero capitalista alle opere degli stracitati (ed altrettanto poco letti) Karl Marx e Friedrich Engels, così come dei loro più recenti epigoni. In realtà, un approccio all’analisi sulla possibile «fine del capitalismo» è oggetto di studio e di osservazione anche da punti di vista radicalmente diversi rispetto al passato. In Italia, gli scritti di Emanuele Severino e Umberto Galimberti in questo campo, hanno fornito un contributo qualificato alla critica del capitalismo per come è stato, sinora, conosciuto, mettendo in discussione il suo rapporto con lo «spirito delle Tecnica». «La tecnica spazzerà via il profitto. Il capitalismo ha due chances: o persegue il suo scopo, che è il profitto, e allora distrugge la terra; oppure, per salvare la terra che è la fonte del suo profitto deve servire la tecnica, la quale se ne infischia del profitto. Il capitalismo dovrà dunque servire due padroni, il profitto e l’ecologia. Ma per quel tanto che serve l’altro padrone, riduce il profitto» (U. Galimberti E ora? La dimensione umana e le sfide della scienza). Esaminato da una prospettiva filosofica, dunque, il progresso della Tecnica si qualifica come principale nemico per la sopravvivenza stessa del modello capitalista, il quale, perseguendo l’unico scopo che è quello del profitto, incontra un limite invalicabile nelle divergenti esigenze provenienti dalla Tecnica stessa.

Limite ideologico

«L’ideologia guida del XXI secolo – ha sostenuto il Ministro dell’Economia italiano Giulio Tremonti – è il Mercatismo che ha avuto come predecessore l’Illuminismo, suo antenato commerciale e calcolatore». Il Mercatismo è, sostanzialmente, la sintesi di Comunismo e Consumismo, ben descritta dalla formula «from Marx to Market». Un’ideologia nuova che ha creato il pensiero unico, l’uomo a taglia unica, in un mercato che si vuole unico. È in questo contesto che si sviluppata la cosiddetta tecnofinanza, l’ingegneria applicata ai prodotti ed agli strumenti finanziari. Il golem del mercato ha finito, dunque, per soppiantare il regime capitalista classico, generando una nuova concezione ideologica tanto osannata quanto pericolosa. Fallite o annientate, le ideologie del Novecento sono state prontamente sostituite da un modello di organizzazione economica e sociale, rispetto al quale non sono ammesse critiche di sorta. Uno strisciante totalitarismo materialista di origine economica, guidato dalla finanza e dalle oligarchie internazionali al suo servizio. 

Limite economico

Ma il regime capitalista sta affrontando anche il «redde rationem» con se stesso. Dimostrata, infatti, l’inefficacia del socialismo reale come sistema di gestione dell’economia, alla fine della Guerra Fredda e con il dissolvimento dell’Unione Sovietica, il modello capitalista, uscito vincitore dallo scontro con il comunismo, ha finito per subire, in un processo di iperbolica accelerazione, una vera e propria mutazione genetica. Spogliatosi della veste tradizionale di capitalismo produttivo e di risparmio, così come concepito già nell’Ottocento, con l’inizio degli anni ’90, si è progressivamente trasformato, prima nel capitalismo dei consumi e successivamente, nella fase precedente alla crisi internazionale del 2008, in capitalismo del debito. Quest’ultimo, si è caratterizzato per la forza prorompente e selvaggia con la quale ha stravolto i mercati internazionali, determinata dalla leva sul debito senza limiti. Il turbo-capitalismo, agevolato nella sua evoluzione dal processo di globalizzazione e dalla progressiva apertura delle frontiere commerciali ha ben presto assunto la veste di tecno-capitalismo anche grazie alla diffusione su scala globale delle nuove ingegnerie finanziarie, quelle che hanno ideato i titoli derivati e le «scommesse finanziarie».

La numerosità e la gravità delle crisi succedutesi nel tempo, hanno finito per dimostrare come la crisi non costituisca, affatto, un incidente di percorso lungo il corso della storia economica del capitalismo. Anzi, ne incarna un elemento strutturale e «necessario» alla sopravvivenza del capitalismo stesso. Alan Greenspan, ex Presidente della Federal Reserve (Fed), la Banca Centrale degli Stati Uniti d’America, è stato costretto a ravvedersi e a cambiare la sua posizione su molti fattori. Il «mago», come veniva definito ai tempi d’oro della Fed, definiva semplicemente «turbolenze» gli scossoni subiti dall’economia e dai mercati finanziari prima dell’arrivo della crisi attuale, tanto da dedicare a queste riflessioni anche un libro dal sintomatico titolo «L’era della turbolenza». Oggi, gli errori compiuti dallo stesso Greenspan nel gestire le crisi del passato, attraverso l’utilizzo smisurato della leva monetaria, sono sotto gli occhi di tutti. La politica espansiva posta in essere dalla Fed, infatti, a partire dal 2000, a seguito dello scoppio della bolla legata ai titoli tecnologici, ha generato altre bolle, in particolare quella immobiliare. L’abuso degli strumenti derivati e dei titoli strutturati ha fatto il resto, cagionando gravi danni a tutto il sistema economico e mettendo in seria discussione tutto l’impianto del liberalcapitalismo. 

La bolla delle bolle: il debito

Il debito pubblico americano ha superato la soglia di pre-allarme dei 12 mila miliardi di dollari. Il Congresso statunitense, infatti, aveva fissato un tetto massimo di indebitamento per le finanze pubbliche pari all’80 per cento del Prodotto Interno Lordo del Paese che, nella situazione attuale, pone un limite al debito contratto dal Tesoro Usa pari a 12.104 miliardi di dollari. Da qui il dubbio che sta togliendo il sonno al Presidente Barack Obama: proseguire sulla strada del sostegno all’economia, peggiorando la già compromessa situazione debitoria o trovare soluzioni alternative? Il dilemma non è di facile soluzione. Con un’economia che stenta a ripartire e una situazione finanziaria che non è affatto tornata alla normalità, recidere improvvisamente i cavi di alimentazione pubblici, forniti dal Governo a banche e industrie, rischierebbe di smorzare sul nascere le speranze di una ripresa del circuito produttivo. Così come un ritracciamento della politica monetaria espansiva messa in campo dalla Fed di Ben Bernanke, toglierebbe l’ossigeno al boccheggiante sistema del credito, ponendo in serio dubbio sia la continuità nell’erogazione dei finanziamenti alle attività produttive, sia la stessa sopravvivenza di molte istituzioni bancarie ancora impantanate nella palude finanziaria degli asset tossici.

Il braccio di ferro in corso tra i membri del cosiddetto G2 (Usa e Cina) si caratterizza per il difficile mantenimento di equilibri multipli, che hanno generato i presupposti dell’attuale crisi. Il denaro ricavato dalle esportazioni a basso costo cinesi, infatti, viene continuamente reinvestito da Pechino in titoli di stato americani (circa un terzo del debito pubblico Usa è in mani cinesi) e mai come in questo momento gli Stati Uniti abbisognano della certezza di trovare sempre un sottoscrittore ad ogni nuova emissione per sostenere il proprio debito pubblico. Allo stesso modo anche la Cina abbisogna della certezza di avere compratori occidentali in grado di assorbire l’ingente mole di prodotti che escono dalle fabbriche del Dragone e si trova di fronte alla necessità di far partire anche i consumi domestici.

Ora, le politiche a sostegno dell’economia e del settore finanziario, messe in campo da Banche Centrali e Governi, hanno semplicemente spostato il debito dal settore privato a quello pubblico, gettando le basi per la futura “bolla delle bolle”: quella del debito. L’indebitamento in capo agli Stati è divenuto, ormai, insostenibile e dimostra l’incapacità del capitalismo di tener fede alle proprie fondamenta. L’iniziativa privata, il modello del «meno Stato e più Mercato» hanno evidenziato la fallacia di tutto il meccanismo e nuove forme di governo dell’economia si rendono, urgentemente, necessarie.

La riorganizzazione per grandi spazi economici alla quale stiamo assistendo, come la nascente Comunità Economica Eurasiatica e l’omologo accordo doganale in Estremo Oriente, ridisegna non solo le mappe geopolitiche del pianeta ma rimette in discussione l’intero impianto del capitalismo per come è stato, sinora, conosciuto. Analoghe iniziative provengono da molti Paesi, cosiddetti emergenti, miranti a spodestare il dollaro quale valuta di riferimento per gli scambi commerciali, proponendo una nuova Bretton Woods. Un nuovo sistema monetario internazionale in grado di surclassare la potenza egemone rappresentata dagli Stati Uniti. All’orizzonte, dunque, si comincia ad intravedere un’autentica rivoluzione sistemica destinata ad abolire le antiche oligarchie capitaliste e a redistribuire gli equilibri di potere nella gestione delle relazioni internazionali.

Tratto da “Polaris – la rivista n.1 – LA PRIMA VERA” – acquista qui la tua copia

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