L’Europa? Quasi uno Stato
La sovranità condivisa in mancanza di un potere sovraordinato
Nella Dichiarazione del 9 Maggio 1950 Robert Schuman ha affermato, a proposito della istituenda Alta Autorità per la messa in comune della produzione e la commercializzazione del carbone e dell’acciaio allo scopo di superare le storiche rivalità tra Francia e Germania: “Questa proposta, mettendo in comune le produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace.”
Meno di un anno dopo (18 Aprile 1951) fu creata la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (C.E.C.A.) entrata in vigore il 23 Luglio 1952. “Federazione” significa “Stato federale”. “Stato significa” “potere sovrano” superiorem non recognoscens (espressione di un brocardo latino, comune in ambito di diritto costituzionale, per indicare gli organi supremi dello Stato non sottoposti ad alcun potere superiore).
Per quanto in una federazione, a differenza di quanto avviene in uno Stato rigorosamente unitario, la sovranità sia condivisa fra organismo federale e Stati membri della federazione stessa, con netta ripartizione fra materie di competenza federale e materie di competenza degli Stati membri, la sovranità della federazione non riconosce alcun potere sovraordinato (secondo la celebre definizione formulata da uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, Alexander Hamilton (1757-1804)).
L’Unione fino a un certo punto
Se prendiamo in mano il Trattato sull’Unione Europea (T.U.E., che con il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – T.F.U.E.- costituisce la base giuridica attuale del funzionamento dell’Unione Europea stessa) e leggiamo l’art. 5 paragrafo 3, vediamo che l’Unione non deve intervenire se non nei settori di sua esclusiva giurisdizione (unione doganale, norme in materia di concorrenza per il funzionamento del mercato interno, politica monetaria per i paesi che hanno adottato l’euro come moneta, conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca, politica commerciale comune), a meno che la sua azione non sia da considerarsi più efficace di quella intrapresa a livello nazionale, regionale, oppure locale.
Questo è il principio di sussidiarietà, connesso con il principio di proporzionalità, secondo il quale l’azione dell’Unione non deve andare oltre quanto risulti necessario per il raggiungimento degli obiettivi dei Trattati. Il T.U.E. e il T.F.U.E. (Trattati di Lisbona) sono stati firmati il 13 Dicembre del 2007 ed entrati in vigore l’1 Dicembre 2009.
Il principio di sussidiarietà (e il principio di proporzionalità) sono i principi architettonici degli Stati federali; ma l’Unione Europea non è uno Stato, se non per le sue competenze esclusive – sopra elencate- che non sono, tuttavia, propriamente politiche. L’Unione Europea è quasi uno Stato, dunque.
Tra la dichiarazione programmatica di Schuman e oggi si svolge un processo, l’integrazione europea, come si vedrà, con il sostegno attivo di uno Stato non-europeo, gli Stati Uniti d’America e che è stata realizzata da Stati che appartenevano –e appartengono- all’area egemonica statunitense in funzione anti-russa (anti-sovietica, fino al 1989/91).
Un processo d’integrazione
L’integrazione europea è stata un processo di integrazione dei mercati e dei processi amministrativi, del diritto – nei limiti di quanto era necessario per l’integrazione dei mercati. Fino a oggi, la cessione di sovranità da parte degli Stati costituenti si è mantenuta nei limiti di quello che non potevano e non possono più fare a causa dello sviluppo dell’ “economia multinazionale” in economia globale, all’interno del quadro militare della N.A.T.O., l’organismo guidato dagli Stati Uniti d’America. Essa va considerata come l’esito occidentale della Seconda Guerra Mondiale e dopo l’implosione del blocco russo-sovietico, anche come l’esito occidentale della Terza Guerra Mondiale (o “Guerra Fredda”).
La moneta unica stessa (adottata da 20 Stati membri, per ora) è l’esito di un complesso di disposizioni volte a creare un’area di stabilità monetaria in Europa (dopo il fallimento del “serpente monetario europeo”(1972-1974) e la non completa riuscita del Sistema Monetario Europeo, 1979-1998, accordo monetario dotato di una unità di conto comune, l’ECU). Tuttavia, i sistemi fiscali degli Stati membri non hanno messo capo a un sistema fiscale europeo, il sistema dei prezzi è rimasto variabile da Paese a Paese, il Welfare variabile da Paese a Paese e ovunque assai ridotto nel tempo.
Il sistema della produzione di leggi europee attraverso il cosiddetto “triangolo istituzionale” (Commissione Europea, Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, Parlamento Europeo) è attualmente limitato pressoché alle esigenze del mercato integrato.
Un’alta diplomazia commerciale
La storia dell’integrazione europea è un esempio di alta diplomazia commerciale che ha messo capo a una identità continentale economica, amministrativa, procedurale e giuridica, a un sistema di governo di cui sono “signori” gli Stati membri (pur con diverso peso reale, economico), fondato su un organo tecnocratico, la Commissione (nominata con supervisione degli Stati membri e del Parlamento Europeo) che propone le leggi europee, su un organo diplomatico (il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea) e su un organo eletto a suffragio universale (il Parlamento Europeo) che codecidono sulle proposte della Commissione.
Abbiamo, dunque, la connessione dinamica e la cooperazione tra logica tecnocratica (Commissione Europea), logica diplomatica (Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea) e logica democratica (Parlamento Europeo). Il “triangolo istituzionale” opera nel quadro di quel vertice dei Capi di Stato e di Governo che è il Consiglio Europeo e che è, nel concreto, l’autore dei Trattati.
Quasi uno Stato, dunque: perché, pur avendo un mercato unico, pur avendo per 20 suoi Stati su 27 una moneta unica e il primato del diritto comunitario sui diritti nazionali, l’Unione è priva di una politica unica di sicurezza, giustizia e affari interni, perché è priva di una politica estera. Eppure l’Unione Europea interviene in circa il 14% degli scambi mondiali di merci; nel 2021 l’Unione Europea ha contribuito al commercio mondiale per 4300 miliardi di euro; gli scambi interni all’Unione, nel 2021, ammontavano a 6786 miliardi di euro.
Quasi uno Stato, l’Unione Europea è incastonata in una sfera egemonica militare ed economica guidata da un altro Stato di proporzioni sub-continentali, gli Stati Uniti d’America. Quasi uno Stato, perché la moneta di 20 suoi Stati è regolata da un organismo, il Sistema Europeo delle Banche Centrali, con la Banca Centrale Europea, che opera sulla base delle indicazioni del Fondo Monetario Internazionale (di cui sono creditori tutti gli Stati dell’Unione), istituzione a guida statunitense) con scarsa autonomia.
I sintomi del disagio
Nell’ultimo quinquennio, in particolare, si sono affermate in non pochi paesi europei maggioranze o forti minoranze che potrebbero avere come motto “meno Europa possibile.” I colpi assestati dalla globalizzazione, la crisi del Welfare, l’impoverimento progressivo dei lavoratori europei (94,6 milioni di persone vivono sulla soglia di povertà, tra cui 13 milioni di italiani, come si apprende da euronews.it (12 Giugno 2024).
Si potrebbe rilevare che sono 700 mila in meno rispetto al 2022, ma su una popolazione complessiva di 448,4 milioni di persone la quantità è rilevante) hanno orientato, nel sub-continente, un numero rilevante di votanti (il 50,74% degli aventi diritto, rispetto ai dati delle prime elezioni europee con il 61,99% dei votanti) verso il sovranismo e il populismo, con diffusa ostilità, in questi due orientamenti di opinione, nei confronti di qualsiasi realtà sociale abbia l’aspetto di “élite”, generalizzato in un rifiuto della competenza tecnico-scientifica, quale essa sia; fenomeno non soltanto europeo e non soltanto di oggi.
Tom Nichols nel volume La conoscenza e i suoi nemici. L’èra dell’incompetenza e i rischi per la democrazia (2017) scrive: “Non soltanto a un crescente numero di profani mancano le conoscenze di base, ma questi respingono gli elementi probatori e si rifiutano di apprendere come elaborare un’argomentazione logica. In tal modo, rischiano di gettare via secoli di sapere accumulato, e di indebolire pratiche e usi che ci permettono di sviluppare nuove conoscenze” .
Di fronte a questo quadro, aggravato dalla guerra russo-ucraina, dall’emergenza umanitaria dei flussi migratori (generati dalle guerre non meno che dal cambiamento climatico) e dalla risorgente guerra in Palestina, gli orientamenti meno europeisti, per quanto non anti-europei, si accontentano di un’Europa come area di libero scambio regolata dai rapporti di forza tra gli Stati membri; vale a dire di un’Europa non-politica.
Il nome di “Europa delle patrie” designa sostanzialmente questi orientamenti, nello loro varietà. Soltanto ristrette minoranze, per lo più trasversali rispetto alle diverse sigle politiche europee, propongono, per il futuro dell’Unione, lo Stato federale europeo.
Le domande che attendono risposta
Perché l’Unione Europea, che è quasi uno Stato, dovrebbe diventare uno Stato federale?Europa, quasi uno Stato? Ma che cosa le impedisce, date le strutture decisionali e la loro dinamica procedurale, di diventarlo?Europa, quasi uno Stato? E con quale posto effettivo nella dinamica anarchica dei rapporti internazionali?
Europa, quasi uno Stato? Dov’è il soggetto sociale e politico che si faccia promotore nel concreto di questa metamorfosi? Ora, dov’è? Perché, dopo oltre settant’anni di integrazione europea in cui il numero di Stati membri è passato da sei a ventisette, ci troviamo di fronte l’anti-Europa dei sovranisti e dei populisti, l’Europa soltanto verbale di molti liberals e il meno Europa che sia possibile dei neo-conservatori?
A queste domande si tenterà di dare risposte, nella piena consapevolezza della provvisorietà sia delle risposte, sia della prospettiva complessiva che esse richiamano, una, in particolare, in forma di domanda: rispetto all’obiettivo istituzionale di uno Stato federale quale significato ha l’intera storia politico-istituzionale dell’Europa moderna e contemporanea? Qual è il senso concreto dell’obiettivo di uno Stato federale europeo?
La realizzazione dell’obiettivo
Non si dubita che la realizzazione di quest’obiettivo produrrà, se e quando essa avverrà, un’ideologia europea conforme, un “senso comune”, come è accaduto per la formazione degli Stati nazionali tra la fine del Medio-Evo e la prima età moderna. Tuttavia, quello presente non sembra essere il tempo dell’ideologia europea, bensì esso sembra essere il tempo delle linee di ricerca di coloro che si propongono di stimolare, sul piano delle scienze economiche, sociali e politiche, la formazione di una opinione pubblica europea orientata a fare dell’Europa uno Stato federale.
Una simile opinione pubblica non potrà essere legittimata (e, concretamente, non potrà esistere e svilupparsi) che sulla base della dinamica della storia economica, sociale e politica del sub-continente. In altri termini, si auspica lo sviluppo di un sapere unitario che sia in grado di unire politologia, economia politica, scienze sociali, climatologia, diritto, per la creazione di un soggetto storico (l’Europa federale) che faccia del governo sostenibile della biosfera e delle relazioni umane la propria modalità di essere nella storia.
A questo scopo sarà opportuno indagare in primo luogo come sia avvenuta l’integrazione degli Stati membri dell’Unione Europea nel loro percorso dal secolo XIV al secolo XVI e dal secolo XVII al XX secolo (che è stato epoca di disgregazione di Stati e di formazione di nuovi Stati).
C’è una dinamica peculiare nell’integrazione che ha dato luogo agli Stati e che si trova anche nella dinamica dell’integrazione europea? Considereremo, poi, due integrazioni europee a confronto: quella operata dalla Francia bonapartista e quella realizzata dalla Santa Alleanza. Dei soggetti statali vedremo le dinamiche nel periodo 1848-1914 e il legame fra rivendicazione del nazionalismo e sviluppo del capitalismo imperialistico europeo.
Riproponimenti
Prenderemo in considerazione, poi, l’arco di tempo compreso fra il 1914 e il 1945, vale a dire il naufragio, variamente motivato, dei nazionalismi; esamineremo la realtà dell’Europa tedesca (1938-1945) e le varie fasi dell’Europa parte del sistema egemonico statunitense: la C.E.C.A, la C.E.E., l’Atto Unico Europeo, i Trattati, dal Trattato di Maastricht al Trattato di Nizza, al Trattato di Roma del 2004, al Trattato di Lisbona del 2007. Infine: i primi 24 anni del XXI secolo considerati dal punto di vista delle dinamiche più orientate a rafforzare la politicità dell’Unione.
Lo scopo degli articoli che seguiranno non è scientifico; soltanto il metodo utilizzato nel comporli si sforza di esserlo; non si tratta di sottoporre alla comunità dei dòtti un lavoro finalizzato al conseguimento di un titolo accademico. Si tratta di sforzarsi di esaminare la realtà così com’essa è, come avrebbe detto lo storico tedesco Leopold von Ranke (1795-1836); e si tratta di ricordare sempre quanto scriveva lo storico italiano Arnaldo Momigliano (1908-1987): lo storico lavora sul presupposto che sia possibile ricostruire gli eventi com’essi sono accaduti.
Se lo storico incontra il filosofo, il quale gli dimostra che questo non è possibile farlo, allo storico non resta altro da fare che cambiare mestiere. Dalla storia delle istituzioni politiche (in particolare dello Stato, inteso come istituzione delle istituzioni, apparato di apparati), dalla storia dell’integrazione europea, derivano le possibilità di formulare prospettive di un’Europa federale.
L’essenza dell’Europa – direbbero taluni filosofi- consiste nell’insieme dei processi economici, sociali e politici che l’hanno portata a essere quello che è e che possono portarla a essere, grazie a un soggetto politico attivo, quello che potrebbe essere.
Francesco Ingravalle