Editoriale

Accordi di Abramo, la strategia del multiallineamento che coinvolge pure i BRICS

Sullo sfondo del conflitto di Gaza ci sono vari intrecci, sia geoeconomici che legati agli interessi di grandi gruppi. Sono in gioco gli Accordi di Abramo dell’agosto 2020. Si tratta di una dichiarazione congiunta tra Israele, Emirati Arabi e Stati Uniti che prevede il riconoscimento da parte di Emirati, Bahrein, e successivamente Arabia Saudita, dello Stato d’Israele, che, nella proposta di Trump, si estenderebbe all’annessione del 30% della Cisgiordania.

Comporta inoltre degli incentivi negli sviluppi commerciali previsti nella Strategic Agenda for the Middle East, un piano strategico-economico nella regione del Medio Oriente. Qui si apre una partita geopolitica che coinvolge la regione e attraversa i BRICS.

Gli accordi originali di Abramo sono stati firmati dal ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed Al Nahyan, dal ministro degli esteri del Bahrein Abdullatif bin Rashid Al Zayani, dal 45º presidente degli Stati Uniti Donald Trump e dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il 15 settembre 2020 presso la South Lawn della Casa Bianca a Washington.
diplomatiche e piena normalizzazione tra gli Emirati Arabi Uniti e lo Stato di Israele.

Si deve infatti alla mediazione di Pechino l’iniziativa parallela di distensione tra Iran e Arabia Saudita, entrambi inclusi nel BRICS + 6, ma c’è anche l’azione di bilancia americana, palpabile nel “Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa” lanciato al G20 di New Delhi e firmato anche da sauditi, israeliani ed emiratini. Nel gioco a pendolo questi vengono a rafforzare la “collana di diamanti” con cui l’India contrasta la “collana di perle” cinese. Così vengono rispettivamente denominati i rispettivi partners esteri che circondano l’altro player in questa contesa internazionale Pechino-New Delhi che è tra le più importanti.

Nella complessità dei rapporti intrecciati non è agevole stabilire a chi sia più utile la stabilità o l’instabilità israeliana. In ognuna delle cancellerie coesistono linee diverse e perfino opposte che si contrastano e si riequilibrano. Inoltre subentrano gli interessi energetici con i loro effetti a catena.

La guerra in Ucraìna ha ridistribuito le carte energetiche stabilendo un partnerariato oggettivo tra Arabia Saudita, Russia ed Israele. Dal 2016 la Russia è diventata il primo fornitore petrolifero di Tel Aviv. Con i sauditi concorda nell’azione sui mercati per il gioco al rialzo del prezzo del petrolio, grazie a cui, quando esso riesce, finanzia la sua guerra in Ucraìna e favorisce indirettamente lo shale americano.

Tra Mosca e Riyiad il gioco è ben congegnato: nel secondo trimestre dell’anno l’Arabia Saudita ha più che raddoppiato la quantità di olio combustibile importato dalla Russia. Il greggio di Mosca viene usato per alimentare le centrali elettriche e destinare alle esportazioni il petrolio estratto nel paese. Cosa accadrà quando e se gli Accordi di Abramo permetteranno a Riyad di entrare in concorrenza con Mosca a condizioni di favore sul mercato israeliano?

E che dire dei giacimenti di gas che si trovano nei deserti e sui fondali marini?

Il piatto è ricco. La crisi energetica internazionale ha concesso al fondo sovrano israeliano e alle compagnie che operano nelle sue acque territoriali di ricavare ingenti proventi dalla vendita di gas naturale. La scoperta dei giacimenti Tamar e Leviathan aveva già permesso a Israele di ridurre considerevolmente le proprie importazioni energetiche diventando esportatore di gas. Gran parte viene instradato in Egitto attraverso l’East Mediterranean gas pipeline che collega Ashkelon (obiettivo dell’attacco del 7 ottobre) con la città egiziana di Arish.

Dal marzo 2022 esiste una joint venture tra la Israel Electric Corporation e l’emiratina Energroup per lo sviluppo di progetti legati all’idrogeno verde e blu, nell’attuale linea di tendenza dello sviluppo globale. Tra Israele e Marocco dal settembre 2022 è stato siglato un accordo per lo sviluppo dell’energia pulita, un obiettivo per il quale esistono alcune piattaforme di cooperazione internazionale cui Israele partecipa. Tra queste, il Forum del Negev all’I2U2, recentemente costituito con Emirati Arabi Uniti, India e Stati Uniti.

Gli interessi sono molteplici, intrecciati, apparentemente contraddittori, ma soprattutto ingenti. Tutto questo impone la distensione locale ma suggerisce anche ai singoli “azionisti”, politici o commerciali, di scuotere il tavolo se la posta non è distribuita come vorrebbero.

La sfida tra fondamentalisti del Corano e del Talmud si può leggere anche in tutt’altra ottica.

di Gabriele Adinolfi

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