Economia & FinanzaSpeciale Covid19

CASA E BOTTEGA – Lo smartworking tra risparmio energetico, rischi e opportunità

Lavoro agile e/o telelavoro: siamo di fronte ad una nuova sfida per il mondo del lavoro.

È necessario sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, senza farci guidare dalla paura.

di Salvatore Recupero – Giornalista pubblicista, laureato in Scienze Politiche

Uno degli effetti della pandemia è stato quello di aver dato un nuovo impulso allo smartworking. Una scelta obbligata che è nata dalla paura del contagio. Milioni di persone hanno stravolto le proprie abitudini: la sfera privata si è mischiata a quella lavorativa. Questo ha consentito a tanti di continuare a lavorare anche durante il lockdown. Prima di analizzare i rischi e le opportunità di questo fenomeno è bene fare una distinzione giuridica tra telelavoro e smartworking. 

Telelavoro: il cartellino si timbra da casa

Il telelavoro è regolato dall’Accordo Quadro europeo (1) stipulato il 16 luglio 2002 da cui deriva l’intesa interconfederale del 9 giugno del 2004: “Ai sensi dell’art.1, comma 1 di tale accordo, il telelavoro costituisce una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto in cui l’attività lavorativa che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa viene regolarmente svolta al di fuori della stessa”. 

In sintesi, il telelavoro deve essere svolto su base volontaria, e l’azienda è tenuta a fornire al dipendente tutto ciò che gli serve per svolgere la sua mansione. I turni, però, sono sempre quelli dettati dal datore di lavoro con la differenza che in questo caso il caso la timbratura del cartellino è virtuale. Quest’accordo firmato a Bruxelles fu accolto bene dalle parti sociali in Italia. Le opportunità erano e sono tante. Il telelavoro apporta benefici alle imprese e alla pubblica amministrazione modernizzando l’organizzazione del lavoro. Allo stesso tempo questo strumento permetterebbe (il condizionale è d’obbligo e poi vedremo perché) ai dipendenti di conciliare l’attività lavorativa con la vita sociale aumentando il tempo libero. Un’idea che piace a tanti perché sfrutta le possibilità insite nella società dell’informazione. Il telelavoro, migliorando la qualità di vita dei lavoratori, offre alle persone disabili più opportunità per entrare nel mondo del lavoro. 

Bisogna tuttavia sottolineare che il telelavoro tradizionale vincola il lavoratore a svolgere le sue mansioni da casa e l’azienda trasferisce le medesime responsabilità del posto di lavoro nella casa del dipendente. L’ufficio, in pratica, si sposta in salotto. Sullo smartworking è o meglio dovrebbe essere tutt’altra cosa.

Smartworking: quando il lavoro diventa agile

Il lavoro agile (2) (o smartworking) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. Inoltre, cresce notevolmente la produttività del lavoratore. Con lo smartworking, il famoso cartellino non si timbra, neanche in maniera virtuale. 

La definizione di smartworking, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone). 

Questo tema è stato dibattuto in molte sedi. Vale la pena ricordare ciò che è stato detto all’ultimo Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini (3). Vediamo perché. Nella città romagnola si sono confrontati molti manager di grandi aziende che, seppur con sfumature diverse, hanno sottolineato l’importanza dello smartworking. Secondo Marco Ceresa, Amministratore delegato di Randstad (multinazionale olandese che si occupa di ricerca, selezione e formazione di risorse umane) lo smart-working è ormai una certezza che continuerà in futuro, con ricadute positive sul fronte della produttività. “Nel 2016 in Ranstad siamo partiti con lo smartworking per diminuire l’inquinamento per gli spostamenti e per migliorare la vita dei lavoratori. All’arrivo del Covid eravamo tecnologicamente pronti, anzi la nostra produttività è aumentata”, ha spiegato Ceresa. “Questo fa capire che lo smartworking continuerà in futuro. Occorrerà investire in baby sitter e disinvestire negli spazi per gli uffici. Bisogna avere molta fiducia nei propri lavoratori anche per aumentare la produttività”. 

Per le aziende, del settore privato come di quello pubblico, il lavoro agile è estremamente conveniente. I costi fissi calano perché diminuiscono i consumi elettrici legati all’utilizzo di postazioni informatiche, l’illuminazione degli uffici e la climatizzazione.  Permettere ai propri dipendenti di lavorare da casa o anche solo di gestire gli straordinari in telelavoro significa risparmiare sensibilmente sulla spesa corrente e sulla manutenzione delle strutture. Cambia in meglio anche il modo in cui l’organizzazione si interfaccia con le risorse umane, a patto naturalmente di sviluppare i giusti strumenti per la gestione dei team virtuali e ottimizzando i canali digitali. Gli sportelli fisici dell’ufficio HR possono essere sostituiti da contact center e piattaforme di social business network che, se opportunamente implementate su soluzioni di intelligenza artificiale, diventano sempre più efficienti grazie all’introduzione degli assistenti virtuali.

La produttività cresce e diminuisce anche l’assenteismo. Questo vale anche nella Pubblica amministrazione anche se in questo caso c’è un maggiore scetticismo nei confronti dei cambiamenti. 

Lavoro agile e Pubblica amministrazione

Nella fase pre-covid 19 la Legge 124/2015 conosciuta anche come Riforma Madia ha introdotto per la prima volta lo smartworking nella Pubblica Amministrazione. L’obiettivo era quello di far lavorare con modalità di lavoro agile, almeno il 10% dei dipendenti pubblici entro 3 anni. I risultati ottenuti sono stati piuttosto scarsi: non sono state specificate le risorse e le misure di accompagnamento a disposizione. A luglio di quest’anno dopo aver navigato a vista per quattro mesi si apre una nuova fase del lavoro agile nel settore pubblico. 

Se il decreto-legge n. 18 del 17 marzo (“decreto cura Italia”) aveva stabilito che, sino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, il lavoro agile fosse la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nella PA (4), il decreto rilancio (art. 263) ora richiede alle amministrazioni di adeguare la propria operatività alle esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali: a tal fine, fino al 31 dicembre 2020. I pubblici uffici organizzano il lavoro e l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario, applicando il lavoro agile al 50% del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità. Cessa, inoltre, di avere effetto alla data del 15 settembre la disposizione per la quale veniva limitata la presenza del personale per assicurare esclusivamente le attività indifferibili e che richiedessero necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, ponendo ufficialmente termine a quello che è stato definito smartworking d’emergenza. Per i restanti mesi dell’anno, dunque, un dipendente su due torna stabilmente in ufficio, attraverso un mix di flessibilità dell’orario e di lavoro agile e adeguandosi alle vigenti prescrizioni in materia di tutela della salute, posto che il termine dello stato di emergenza resta al momento fissato al prossimo 31 luglio. Il lavoro agile nella pa ha seguito l’andamento della diffusione del virus.  

Per questo non c’è stata alcuna rivoluzione culturale. Lo smartworking è stato come una mascherina chirurgica, che dopo la fase acuta della pandemia è stata messa da parte. Nelle aziende (almeno in quelle più grandi) il discorso è diverso. Vediamo perché.

Lo smartworking nelle grandi aziende

Nelle grandi società, come abbiamo detto sopra, lo smartworking sta riscuotendo grandi successi: due aziende su tre implementeranno questo modello di lavoro anche quando l’emergenza Covid sarà finita. Anche se bisogna ricordarci che la situazione è molto fluida per cui fare delle previsioni è molto difficile. Alcuni dati, però, confermano che in futuro ci saranno meno grandi uffici e più spazi virtuali su cui operare. Facciamo qualche esempio. In Tim, che ha raggiunto con i sindacati due accordi che regolano fino alla fine del 2021, il nuovo uso dello strumento, almeno fino a metà ottobre ci saranno 36mila smart worker. Nel frattempo la società sta predisponendo le sedi in vista dei rientri. L’adesione allo smart working sarà volontaria, ma dato lo slancio di questi mesi è ragionevole ipotizzare una grande adesione dei lavoratori. Vodafone da settembre ha attuato un piano di graduale rientro, per un tempo non superiore al 20% dell’orario di lavoro. Illimity prevede di fare tornare le persone occupando il 50% degli spazi, mentre Pirelli, in Bicocca ha un tasso di ricorso al lavoro da remoto pari in media al 75%.

L’Eni e il “lavoro agile”

Il direttore delle risorse umane dell’Eni (per gli anglofoni Human capital & procurement coordination director) Claudio Granata in un’intervista al Corriere della Sera (5) ha fatto un bilancio sullo smartworking durante il lockdown e ha annunciato i programmi del gruppo non solo per l’autunno ma anche per il dopo vaccino. 

Il gruppo di San Donato Milanese aveva già utilizzato modalità di lavoro agile in maniera massiccia (circa 4.500 persone) per il settore commerciale. Inoltre Granata ricorda che a quest’ultimi vanno aggiunti “350 impiegati che in base ad esigenze specifiche (neogenitorialità, particolari patologie, familiari disabili) ne avevano fatto richiesta. Tutto ciò prima del lockdown ovvero di quando, il 26 febbraio a Milano e il 5 marzo a Roma, abbiamo chiuso gli uffici nel giro di sole 24 ore”. 

Una sperimentazione di massa che permesso di far lavorare da remoto “Ventunomila addetti nel mondo di cui 15 mila in Italia. Grazie a questa repentina dislocazione- spiega il dirigente dell’Eni- siamo riusciti ad azzerare il rischio di generare casi di Covid positivi. E nel giro di pochissimo tempo abbiamo fornito ai nostri dipendenti che non li avevano 3.800 laptop per lavorare da casa. Uno sforzo incredibile messo in atto in giorni molto difficili”. L’esperimento è destinato a proseguire considerando anche il grande aumento di produttività. Ora bisognerà vedere come continuerà quello che accadrà dopo la fase sperimentale. Granata non si sbilancia e spiega che: “Molto dipenderà dagli scenari esterni che ci saranno forniti dalle autorità sanitarie ma in un’ipotesi di convivenza con il Covid con tassi di diffusione come quelli visti a giugno-luglio pensiamo a un rientro negli uffici del 40% circa della forza lavoro”. 

Smartwoking: non è tutto oro quello che luccica

Finora abbiamo mostrato il bicchiere mezzo pieno di questo fenomeno. Ora bisogna osservare l’altra faccia della medaglia. Intanto, iniziamo a dire che con lo smartworking non sempre diminuisce il tempo dedicato al lavoro. Anzi il fatto che non ci si debba spostare per molti significa passare molte più ore davanti al proprio pc. Vediamo perché.

Una ricerca LinkedIn, pubblicata da La Repubblica (6), tira le somme dopo due mesi di lavoro in remoto. Su un campione di 2 mila lavoratori il 21% fatica a staccare la spina, il 36% arriva a finire. Il 48% ammette di lavorare almeno un’ora in più al giorno: ossia circa 20 ore (quasi 3 giorni) in più al mese. Inoltre, la ricerca ha rivelato che il 22% dei lavoratori si è sentito spinto a rispondere più rapidamente e ad essere disponibile online più a lungo del normale. Spesso si inizia la giornata in anticipo, lavorando dalle 8 alle 20.30, mentre il 24% è ora solito terminare la giornata lavorativa anche dopo le canoniche 8 ore. Se il dipendente non è più un pendolare per raggiungere può sacrificare qualche ora in più del suo tempo A questo si aggiunge il desiderio di dimostrare ai propri capi che si merita il proprio lavoro: il 16% si sente preoccupato che il datore di lavoro lo licenzi, o che l’azienda vada in malora. 

Cifre confermate da Bloomberg: in media la giornata lavorativa dura da una a tre ore in più, si fanno più riunioni e si mandano anche più mail, almeno 8 al giorno fuori dall’orario di lavoro. 

È cresciuto, di conseguenza lo stress da lavoro. Secondo una ricerca di Monster.com soffrono di burn out due lavoratori su tre, ovvero il 69% dei lavoratori, il 20% in più rispetto ai mesi che hanno preceduto il lockdown. Tutto nasce dall’incapacità di disconnettersi dal lavoro, di avere orari precisi come quando si andava in ufficio. 

A questo punto ci si chiede come interviene il sindacato? Purtroppo, in ordine sparso pensando alle elezioni o al numero di tessere. Tuttavia, ci sono delle lodevoli eccezioni. 

Isola: quando il sindacato fa proposte all’avanguardia

Nel 2012 Ugl Telecomunicazioni propose a Telecom Italia un progetto chiamato I.S.O.L.A acronimo di Io Sono On Line Attivamente (7). Senza entrare nel dettaglio, otto anni or sono il colosso delle telecomunicazioni passò dalla piattaforma Desktop a quella Laptop. Da computer fisso al portatile, per essere più chiari. Questo offriva ai dipendenti la possibilità di lavorare in qualsiasi contesto sfruttando tutti i servizi messi a disposizione dall’azienda stessa. Con un portatile, uno smartphone aziendale e una rete adsl era possibile lavorare su tutto il territorio italiano. 

Le nuove opportunità che nascevano dallo sviluppo tecnologico in seno all’azienda furono colte dal sindacato guidato da Stefano Conti. L’Ugl giocò d’anticipo e sfruttò i cambiamenti tecnologici dell’azienda per dar vita ad un interessante modello per gestire il lavoro in remoto.  

Vediamo in breve di che si tratta. Il dipendente (dopo aver sottoscritto il modulo di adesione per il lavoro a distanza) si collega all’intranet aziendale e scelta la tipologia di telelavoro potrà parteciparvi a partire dal mese successivi. 

Il progetto è suddiviso in tipologie diverse di telelavoro, che possono essere scelte in base alle proprie categorie di appartenenza. La sede del lavoratore è denominata Home e le altre sedi scelte Visitor. Il lavoratore, che ha aderito al telelavoro da telecentri, si collega con il sito intranet dove, dopo aver acceduto con le proprie credenziali cerca delle postazioni di lavoro non occupate nella sede più vicina alla propria. Uno schema utile per le neomamme che, secondo questo progetto, potevano farne richiesta a partire dalla fine del periodo di astensione obbligatoria fino ai 24 mesi di vita del bambino. 

In questo modo, i lavoratori ne guadagnano sul tempo degli spostamenti casa-ufficio e rispettiva diminuzione dello stress da lavoro correlato (qui c’è la possibilità di alternare la presenza in ufficio da quella in remoto). Non possiamo anche trascurare il risparmio del consumo dei carburanti (con la conseguente riduzione nell’atmosfera di gas di scarico). Insomma, grazie a questo modello organizzativo si realizza una reale applicazione del principio della Responsabilità Sociale d’Impresa.

Il lavoro agile è uno strumento che va sfruttato per migliorare la nostra vita. Non va associato alla paura del Covid. In caso contrario, avremo effetti disastrosi sulla psiche dei lavoratori. 

La paura fa più male del Covid

Come abbiamo detto all’inizio, il lavoro da casa è stata una scelta dettata dal panico. Il dipendente in questi mesi si è sentito solo in immensa bolla di sapone che poteva scoppiare da un momento all’altro. 

La paura unita alla solitudine ha fatto il resto: solo ciò che è virtuale nell’epoca del Covid è pulito. Lavorando on line non entriamo in contatto con gli altri e non corriamo il rischio di ammalarci. Questo sentire comune sta diventando più dannoso della pandemia. La paura è il nostro vero nemico. Per non morire di Covid abbiamo trasformato la nostra casa in bara da cui uscire come zombie solo in caso di estrema necessità.

1. Accordo Quadro Europeo sul Telelavoro – stipulato a Bruxelles il 16 luglio 2002 tra CES, UNICE/UEAPME e CEEP – (Traduzione italiana concordata tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil il 20 gennaio 2004)

2.Definizione di Smartworking Sito del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx

3.La pandemia e lo smart-working. Un nuovo mondo del lavoro è già qui? Francesco Gnagni Formiche.net 19, agosto, 2020

4. Presidenza del Consiglio dei Ministri IL MINISTRO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CIRCOLARE N. 3/2020 Alle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. 165/2001 Oggetto: indicazioni per il rientro in sicurezza sui luoghi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. http://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/Circolare_n_3_2020.pdf

5.Al lavoro da casa (uno su tre): Eni alla rivoluzione permanente di Dario Di Vico Corriere della Sera 01, settembre 2020

6.Che effetto fa lo smart working? Stress, ansia e almeno un’ora di lavoro in più al giorno La Repubblica 14, maggio, 2020 

7.Progetto I.S.O.L.A. Io sono on line attivamente Ugl Comunicazioni Roma 17 Maggio 2012

Tratto da “Polaris – la rivista n.24 – NuovAnormalità” – acquista qui la tua copia

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