Riflessioni

L’IMPRESA DI PREMUDA – Uomini, macchine, coraggio

L’impresa di Premuda ebbe grosse ripercussioni sul morale austro-ungarico, tanto che nel restante corso della guerra, la Kriegsmarine non compì più nessuna operazione navale, asserragliando le proprie navi nei porti. 

I siluri di Rizzo, con quest’azione, fecero svanire l’elemento sorpresa e troncarono la missione nemica sul nascere, costringendo la flotta austriaca a rinunciare definitivamente all’ambizioso progetto. 

L’azione di Premuda convinse inoltre definitivamente gli alleati a lasciar cadere la questione relativa all’istituzione dei comandi navali in Mediterraneo lasciando il totale controllo dell’Adriatico all’Italia.

di Gian Piero Joime Docente universitario di Economia Ambientale

MAS – Motobarca Armata Silurante – MEMENTO AUDERE SEMPEROsare l’inosabile

Il 10  giugno del 1918 nel mare adriatico al largo dell’isola di Premuda il comandante Luigi Rizzo e il guardiamarina di complemento Giuseppe Aonzo, rispettivamente a bordo del MAS 15   e del MAS 21, affondarono la corazzata austro-ungarica  “Szent Istvan”. 

È passato un secolo. Non un secolo breve, per citare  Hobsbawn , a giudicare dal contenuto e dallo stile di questa incredibile impresa, contenuto e stile dei quali è difficile intravvedere una qualche traccia in questi tempi moderni, apparentemente dominati da altri spiriti.

La vita dei protagonisti, le tecnologie, lo spirito dell’azione, l’umiltà e il distacco dall’effimero danno l’impressione di un tempo lontanissimo, di un secolo millenario.

Credo che la storia di questi uomini di poche parole  su queste piccole barche veloci mentre navigavano e combattono all’alba nei pressi di un’isoletta dalmata, possa darci il senso del 1918.

1. GLI UOMINI

Luigi Rizzo nasce  a Milazzo, in provincia di Messina, l’8 ottobre 1887 e cresce in una famiglia di  marinai; a otto anni è già a bordo della barca comandata dal padre, nel  1905   ottiene la licenza d’onore all’Istituto Nautico di Messina conseguendo il diploma di aspirante al comando di navi mercantili, si imbarca come mozzo sul veliero “Speme”, parte da Genova per Buenos Aires, dove rischia il naufragio nelle vicinanze di Capo Horn. Dopo successive esperienze a bordo della Siciliano e della Livietta, nei primi mesi del 1912 diviene Capitano di Lungo Corso e il 17 marzo assume il grado di Sottotenente di Vascello di complemento della Riserva Navale nella Regia Marina. 

Nel 1912 lavora per la Commissione Europea del Danubio nel Mar Nero e merita una medaglia per il suo eroismo per aver salvato, al comando di una pilotina, un piroscafo da sicuro affondamento.

Nell’estate del 1914 rientra in Italia perché richiamato alle armi prima alla Maddalena e poi, come istruttore, a Venezia. L’ingresso  in guerra  lo porta a richiedere di entrare in azione ed è allora che inizia la sua storia di “affondatore”, il soprannome con il quale sarà conosciuto.

Si distingue prima nella difesa marittima di Grado, ottenendo una medaglia d’argento al valor militare, poi, trasferito a bordo della nuova componente navale dei MAS, per la partecipazione ad audaci missioni di guerra per le quali merita due medaglie d’oro al valor militare, tre d’argento e la promozione a Tenente di Vascello per meriti di guerra.

Nel dicembre del 1917 gli viene conferita la prima medaglia d’oro al valor militare per l’affondamento, sempre a mezzo di siluri lanciati dal MAS da lui comandato, di Nave “Wien”, un’unità corazzata austriaca posizionata nelle acque del porto di Trieste.

Nel febbraio 1918 è protagonista della “Beffa di Buccari”, un’azione all’interno del sistema difensivo austriaco che risolleva lo spirito delle forze armate italiane dopo la disfatta di Caporetto. Poi l’azione di Premuda per la quale viene insignito della seconda medaglia d’oro al valor militare.

Finita la guerra, nel 1919, partecipa all’impresa di Fiume, dove ricopre anche la carica di Comandante della flotta del Quarnaro, e l’anno dopo lascia il servizio attivo con il grado di Capitano di Fregata.

Il Guardiamarina Giuseppe Aonzo  nasce  a Savona il 24 maggio 1887 in una famiglia di marinai e maestri d’ascia. A 7 anni  la sua prima esperienza di mare sul brigantino “Andreina”, poi a bordo di navi come “Maria Madre”, “Antonietta Accame” e “Aretusa”. 

Nel 1907 si arruola nel Compartimento Marittimo di Savona. Il 1 gennaio del 1908 è nominato allievo timoniere, nel maggio dello stesso anno timoniere e nell’ottobre è nominato sottocapo timoniere.  Il 12 novembre 1908 è posto in congedo illimitato, ma ritorna a bordo nel giugno del 1911 dopo aver conseguito la nomina a Scrivano, cioè aspirante ufficiale di coperta presso l’Istituto Nautico Leon Pancaldo di Savona.

Grazie alla nomina a Scrivano si imbarca sul vapore “Noli” e fa continue rotte tra Dakar, nel nord dell’Africa, e Norfolk, negli Stati Uniti. Nel 1913 ritorna in Italia per preparsi e sostenere gli esami per il conseguimento della patente rilasciata dal Ministero della Marina Italiana.

Una volta nominato Capitano di Lungo Corso, riprende il mare prima come Ufficiale in seconda e poi come primo Ufficiale, ma lo scoppio della Prima Guerra mondiale determina la mobilitazione generale e il Comandante Aonzo viene chiamato alle armi.

Nominato capo timoniere di 2ª classe viene destinato all’imbarco in una delle navi della Regia Marina. Nel giugno del 1916 viene trasferito presso la base navale di Venezia in una squadra che resterà per sempre nella storia navale della Marina: la flottiglia MAS. Qui assume il comando di motosilurante antisommergibile.

La flottiglia Mas è senza dubbio la più piccola ma anche la più insidiosa unità da guerra della Regia Marina. Durante gli anni della Grande Guerra il Comandante Aonzo partecipò ad ardite perlustrazioni e pazienti agguati nei quali emerse la sua grande capacità ed esperienza.

2. LE MACCHINE: I MAS

Le prime unità operative risalgono alle fasi iniziali della prima guerra mondiale, quando il cantiere navale veneziano SVAN (acronimo per Società Veneziana Automobili Navali) fornì alla Regia Marina i suoi primi mezzi speciali denominati MAS, acronimo di Motobarca Armata SVAN. Le prime due unità, MAS 1 e MAS 2, furono completate nel giugno 1915.

La Regia Marina si era interessata ai motoscafi siluranti già a partire dal 1906 quando venne avviata la definizione di un progetto per una «barca torpediniera mossa da motore a scoppio», com’era definita all’epoca, capace di raggiungere una velocità massima di venti nodi e con una lunghezza di circa 15 metri. Tale progetto rimase sulla carta fino al 1914. Lo scoppio della guerra diede nuovo impulso: alla fine del 1914 la Regia Marina prendeva contatti con alcune ditte statunitensi vagliando contemporaneamente due progetti italiani, quello della Maccia Marchini e quello della SVAN, che porterà poi ai modelli di serie ordinati per la prima volta il 16 aprile 1915.

Questi modelli furono successivamente prodotti anche da cantieri di altre società, come l’Isotta Fraschini e la FIAT. L’acronimo MAS passò a significare Motobarca Armata Silurante, in seguito Motobarca si trasformò in Motoscafo. L’acronimo “MAS” ebbe  anche in altre definizioni, fra le quali Motum Animat Spes, e quella di Gabriele D’Annunzio, che vi fece aderire, come si legge nei suoi Taccuini, il motto Memento Audere Semper.

D’Annunzio, che fu nell’equipaggio dei tre MAS che effettuarono la Beffa di Buccari, ebbe sempre una particolare simpatia per il nascente gruppo degli incursori della Marina e la sua influenza a livello politico gli consentì di propugnarne a più riprese il potenziamento. In ogni caso, il vero merito alla prosecuzione delle imprese dei MAS e del loro sviluppo dal punto di vista tecnico è da attribuire all’allora capo di Stato Maggiore della Marina, Paolo Thaon di Revel, che intuì subito il potenziale offensivo dei MAS.  Al momento dell’armistizio di Villa Giusti le industrie italiane avevano dato alla luce 419 esemplari di MAS, 244 dei quali entrarono in servizio prima dell’ottobre 1918.

Si trattava di motoscafi di circa 18,7  metri di lunghezza per 4,7 di larghezza, derivati dai natanti turistici, ai quali venivano applicati apparecchi per il lancio di siluri; imbarcazioni di questo tipo dovevano servire a moltiplicare la potenzialità offensiva navale. Non si investiva, come si era fatto fino ad allora, in poche potentissime navi da guerra, ma si realizzavano molti piccoli, agili, economici natanti, la cui funzione era quella di attaccare le navi nemiche come velocissimi “lanciasiluri”, sfruttando l’effetto sorpresa. Il concetto si dimostrò efficace e questi mezzi riportarono diversi successi sotto il comando di Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci, fra i quali l’impresa di Pola.

Oltre ai MAS, da cui derivò poi il nome del reparto, gli anni della Prima Guerra Mondiale videro l’impiego di altri mezzi più vicini a quelli poi effettivamente impiegati nella Seconda Guerra Mondiale; tra questi il barchino saltatore e la torpedine semovente.

3. UOMINI MACCHINE E CORAGGIO

L’incursione nel canale di Fasana

Data la continua inattività della flotta austro-ungarica nel mare Adriatico, il Capo di Stato Maggiore Thaon di Revel continuò a pensare di colpire le navi nemiche direttamente entro i loro porti. Una volta comunicate le sue intenzioni ai sottoposti, il capitano di vascello Morano Pignatti nell’estate del 1916 si fece avanti con una proposta per il siluramento di una nave nemica più volte individuata dai ricognitori nel Canale di Fasana, non lontano da Pola: una torpediniera avrebbe preso a rimorchio un MAS e da Venezia si sarebbe avvicinata all’obiettivo contribuendo in seguito ad abbassare le ostruzioni che impedivano l’accesso al canale; una volta fatto questo il MAS sarebbe dovuto entrare nel varco per affondare l’imbarcazione nemica, quindi avrebbe dovuto far ritorno alla “nave-madre” che, con la protezione di un cacciatorpediniere, si sarebbe subito diretta alla città di partenza.

L’idea venne approvata da Thaon di Revel e subito cominciarono i preparativi in vista della missione. Il MAS 20 venne dotato di nuovi e più silenziosi motori elettrici, mentre nella torpediniera venne installato un meccanismo che mediante due grandi pesi fissati vicino alla prua era capace di abbassare le reti di ostruzione poste all’ingresso del canale. Nella notte tra l’1 e il 2 novembre il cacciatorpediniere Zeffiro, la torpediniera e il MAS 20 (comandati rispettivamente da Costanzo Ciano, Domenico 

Cavagnari e Ildebrando Goiran) erano pronti a salpare comandati da Pignatti, che aveva preso posizione nello Zeffiro.

Una volta arrivato al punto prestabilito il comandante Cavagnari manovrò abilmente la sua nave riuscendo ad abbassare in poco tempo le ostruzioni (formate da catene e cavi d’acciaio); immediatamente il motoscafo oltrepassò il varco, dove si posizionò il marinaio scelto Michelangelo De Angelis munito di lanterna con la quale avrebbe dovuto segnalare al MAS dove dirigersi per trovare facilmente l’uscita. Goiran navigò indisturbato lungo il canale in cerca di un bersaglio valido finché attorno alle ore 3:00 avvistò la sagoma del piroscafo Hars (7.400 t); Cavagnari lanciò prima un siluro e poi, non udendo nessuno scoppio, fece altrettanto con il secondo, ma neanche questo raggiunse il bersaglio a causa delle doppie reti protettive poste dagli austro-ungarici attorno all’imbarcazione. Non potendo più fare altro avendo esaurito le munizioni, il MAS volse la prua verso l’uscita recuperando il marinaio che li aspettava, e raggiunse lo Zeffiro poco tempo dopo.

Nonostante Pola fosse l’unica grande base dell’Adriatico, nonché centro del Comando Marina, la flotta austro-ungarica non abbandonò le sue posizioni neanche per tentare un’azione vendicativa. Già dopo un anno dall’entrata in guerra la Marina italiana era riuscita a paralizzare la controparte nemica, costretta alla fonda nei suoi porti per timore di perdere le proprie navi.

L’affondamento della corazzata Wien 

Nell’agosto 1917 la marina austro-ungarica dislocò due corazzate, la Wien e la Budapest, nel porto di Trieste per appoggiare dalla costa, se necessario, l’Esercito Imperiale Austro-Ungarico nella sua avanzata in territorio italiano.

La Marina italiana, che aveva alcuni cannoni 381 mm/40 AVS a Grado, e il Regio Esercito, che allora comandava anche l’aviazione militare, avrebbero potuto attaccare le due navi da battaglia nemiche, ma il pericolo di danneggiare Trieste obbligò a 

trovare un’altra soluzione, che si concretizzò nell’usare due MAS per svolgere il delicato compito. L’esito infausto della battaglia di Caporetto ritardò le operazioni italiane di qualche mese, ma dopo la metà del novembre 1917 Morano Pignatti, lo stesso ideatore del forzamento del Canale di Fasana, mise a punto un piano di attacco che prevedeva l’utilizzazione di due torpediniere e due MAS, il numero 9 e 13. Il 9 dicembre il gruppo di natanti italiani salpò da Venezia alle ore 17:00 

raggiungendo verso le 22:45 il punto stabilito per il rilascio dei MAS (portati fin qui a rimorchio dalle torpediniere). Il MAS 9, pilotato da Luigi Rizzo, e il 13, guidato dal sottufficiale Andrea Ferrarini, navigarono silenziosamente fino alle ostruzioni che impedivano l’accesso al porto recidendo le funi metalliche grazie a una cesoia, quindi entrarono nel vallone di Muggia in cerca delle corazzate da affondare. Una volta individuate, i due comandanti si divisero e alle ore 2:32 vennero lanciati i siluri, seguiti poco dopo da quattro esplosioni: due provenienti dalla Wien dovute al MAS di Rizzo, e due da una banchina vicina alla Budapest, mancata di poco da Ferrarini.

Senza perdere tempo i due motoscafi diressero verso l’uscita dove incontrarono le torpediniere che li riportarono a Venezia.

La Wien ora giaceva a 15 metri sotto il livello del mare,  ma stavolta, diversamente che dopo l’attacco al Canale di Fasana, la marina austro-ungarica tentò un’azione di forza bombardando due volte Cortellazzo, senza procedere a ulteriori manovre.

La Beffa di Buccari

I nostri MAS operavano in modo da sorprendere il nemico, attaccarlo quando prendeva il mare e incutergli timore tanto da farlo restare ridossato all’ancora nelle rade dei suoi porti.

Nella notte tra il 10 e 11 febbraio salparono, dal canale della Giudecca, a Venezia, scortati da una squadriglia di cacciatorpediniere, tre Mas diretti sulla costa istriana allora appartenente all’Austria – Ungheria, dove erano alla fonda unità nemiche, per compiere quella che la storia avrebbe tramandato come la beffa di Buccari.

A quell’impresa, a pochi mesi dalla disastrosa rotta di Caporetto, parteciparono il Mas 94, al comando di Andrea Ferrarini; il Mas 95, al comando del tenente di vascello De Santis, e il Mas 96, comandato da Costanzo Ciano, che aveva al suo fianco Luigi Rizzo e Gabriele D’Annunzio, uno dei trenta audaci che parteciparono all’azione all’interno del sistema difensivo austriaco. I tre Mas lanciarono due siluri verso le navi all’ancora ma soltanto uno colpì il bersaglio, poiché gli altri cinque erano esplosi contro le reti protettive e rientrarono ad Ancona.

Pur non ottenendo risultati concreti, quell’azione risollevò lo spirito delle forze armate italiane dopo la sconfitta di Caporetto. Connesso a quell’episodio la storia legata al motto del MAS: Memento Audere Semper che in quella circostanza fu coniato da 

Gabriele D’Annunzio. Prima della partenza, il timoniere del Mas 96, Angelo Procaccini, aveva scritto, su una tavoletta posta sul timone, la frase latina «Motum Animat Spes», La speranza anima il movimento, ma, D’Annunzio evidenziava il bisogno di «pensare a qualcosa di più forte, di più energico» per l’acronimo Mas e nacque il più celebre «Memento Audere Semper», Ricordati di osare sempre.

Dal punto di vista tattico-operativo l’azione fece emergere la totale mancanza di coordinamento nel sistema di vigilanza costiero austriaco e le numerose lacune difensive presenti, che resero possibile questa audace azione dei marinai italiani. 

Tuttavia le navi, protette dalle reti, non riportarono alcun danno materiale. L’impresa costrinse il nemico a un maggiore impegno di energie in nuovi adattamenti difensivi e di vigilanza e comunque ebbe una pesante influenza negativa sul morale austriaco.

Ma l’impresa di Buccari ebbe una grande risonanza in Italia, in una fase della guerra in cui gli aspetti psicologici stavano acquistando un’incredibile importanza. D’Annunzio ebbe un ruolo fondamentale nella reclamizzazione dell’impresa perché il suo messaggio lasciato nelle tre bottiglie ebbe grande diffusione e contribuì a risollevare il morale dell’esercito impegnato sul Piave:

«In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia».

Per l’Italia, che si stava riorganizzando dopo il disastro di Caporetto, l’eco della riuscita nell’impresa fu notevole e rinvigorì lo spirito dei soldati e della popolazione. 

L’entusiasmo avrebbe raggiunto il culmine pochi mesi dopo con il famoso Volo su Vienna.

4. L’IMPRESA DI PREMUDA

Il 10 giugno 1918, il comandante Luigi Rizzo a bordo del  MAS 15 e  il guardiamarina Giuseppe Aonzo sul MAS 21 sono al largo della piccola isola dalmata di Premuda. Alle ore 3.15 del mattino gli italiani avvistano “…una grande nuvola di fumo nero all’orizzonte”. Non riuscendo ancora a distinguere il tipo di navi, ed escludendo che si possa trattare di unità italiane, il capitano di Corvetta Rizzo  che si tratti di cacciatorpediniere avversari in esplorazione. Il  comandante italiano ordina di prevenire la minaccia avvicinandosi di nascosto alle navi avversarie, per attaccarle di sorpresa e aprirsi la strada del ritorno combattendo.

Il 10 giugno 1918 il MAS del comandante Rizzo e del guardiamarina Aonzo troncano sul nascere le ambizioni della flotta navale austroungarica. 

L’azione di Premuda infatti non trae importanza solo dalla sua straordinaria eroicità, sottolineata anche dagli entusiastici commenti dell’ammiraglio David Beatty, comandante in capo della Gran Fleet, ma soprattutto dai suoi effetti militari, strategici e politici.

I siluri che colpirono e affondarono la Santo Stefano frustrarono ogni possibilità di successo del piano austriaco: l’ammiraglio Horty rinunciò all’operazione in corso e ritirò le unità navali. Il piano mirava a rompere lo sbarramento del canale di Otranto per colpire il grosso della flotta italiana alla onda nel porto di Taranto, ed aprire così un varco verso il mediterraneo meridionale; se questa operazione avesse avuto successo le conseguenze militari, politiche ed economiche per l’Italia sarebbero state gravissime.

Le corazzate austriache Tagethoff e Santo Stefano lasciarono in gran segretezza il porto di Pola e scortate da una decina di cacciatorpediniere si diressero verso il Cattaro, per unirsi alla Viribus Unitis e alla Prinz Eugen. 

Nel frattempo il 9 giugno erano partiti da Ancona per una missione nel medio Adriatico il MAD 15 e il MAS 21 . Fino alle 02:00 del giorno 10 i due MAS dovevano stazionare fra Guiza e Banco di Selve in prossimità dell’isola di Premuda per accertare la presenza di sbarramenti di torpedini; al termine di questa fase dovevano rimanere in agguato fino all’alba per ricongiungersi alle torpediniere d’appoggio.  Ma i ritardi accumulati dal gruppo austriaco comportarono che, alle 03:15, le unità austriache attraversarono la zona di pattugliamento dei due MAS, che a quell’ora stavano dirigendo da Lutestrago al punto di riunione con le torpediniere.

Albeggia quando Rizzo segnala al guardiamarina Aonzo, comandante dell’altra unità, di prepararsi per l’attacco. Le due piccole siluranti avanzano lentamente, muovendo contro quelle che ritengono un gruppo di torpediniere in esplorazione quando, accorciando le distanze, si avvedono di trovarsi al cospetto della squadra navale da battaglia austriaca.

Il mare è calmo la visibilità limitata da una leggera foschia: gli italiani passano così tra due torpediniere di scorta senza essere visti. I siluri scendono in acqua. La distanza stimata di circa 300 metri.  

Come riferirà il Comandante della Tegetthoff: “Si osservò sulla dritta della Szent Istvan un lampo di luce accompagnato dal tuono di un’esplosione”. Il MAS 15 di Rizzo ha centrato la nave da battaglia Szent Istvan, mentre il MAS 21 lancia le sue torpedini verso la Tegetthoff, che si salverà solo per un difetto di funzionamento della spoletta di un siluro, che la colpisce senza esplodere.

Rapida accostata e rotta di allontanamento inseguiti da un caccia;  Rizzo usa l’unica arma ancora a disposizione sul suo MAS 15 per far desistere l’unità nemica dall’inseguimento, una bomba antisommergibile che esplode a proravia del caccia e ne determina l’allontanamento.

Mentre la Szent Istvan, affonda, i MAS 15 e 21 vittoriosi rientrano nel porto di Ancona. Il Semaforo di Monte Cappuccini, appena avvistati, viste le grandi bandiere issate sui MAS intuì la vittoria e ne diede notizia al Comando Marina di Ancona con il famoso telegramma: “Miglia 15 N–NE, due motoscafi scarichi di siluri ma carichi di onore e gloria dirigono in porto”.

L’azione di Premuda è uno splendido esempio di sintesi tra il coraggio e il genio militare con l’efficienza operativa dei MAS, “armi da adoperarsi senza risparmio e senza tema di sacrifici, quando ricorra il momento bellico opportuno”. (Ammiraglio Thaon de Revel).

Il racconto del comandante Rizzo

Il rapporto del comandante Rizzo sull’azione di Premuda è freddo e distaccato e sembra contraddire nella sua semplicità l’importanza dell’azione.

Il rapporto del comandante Rizzo e’ la rappresentazione della semplicità del gesto eroico. La sola lettura del rapporto da il segno del tempo.

L’azione viene descritta in modo lineare, senza alcuna retorica, con precisione, in pefetta sintonia con lo spirito degli uomini del Mas 15 e del Mas 21, educati al coraggio e animati dal senso della Patria.

Verso le 03,15 avvisto leggermente a poppavia del traverso e sulla dritta un grande nuvola di fumo. Esclusa l’ipotesi che potessero essere le nostre torpediniere, giudicai che cacciatorpediniere e torpediniere provenienti da Lussino fossero venuti a darmi la caccia. Essendo già l’alba non ritenni consigliabile prender caccia perché con l’aumentare della luce i cacciatorpediniere avrebbero facilmente avuto ragione dei due Mas, la cui velocità massima coi siluri si aggira sui 20 nodi.

Decisi perciò di approfittare della luce incerta per prevenire l’attacco, e perciò invertivo la rotta, dirigendo sulle unità nemiche alla minima velocità, onde non far rumore ed evitare i baffi a prua che avrebbero tradito la mia presenza.

Avvicinando il nemico, mi accorsi della inesattezza dell’ipotesi, trattandosi di due grosse navi, scortate da otto o dieci  cacciatorpediniere. Decisi di eseguire il lancio alla minima distanza possibile e perciò diressi in modo da portarmi all’attacco passando tra i due caccia che fiancheggiavano la prima nave. Per scapolare il caccia sulla mia sinistra portai la velocità  da nove a dodici nodi riuscendo, senza essere scorto, a oltrepassare di cento metri la linea dei due caccia e a lanciare i due siluri contro la prima nave ad una distanza di non oltre trecento metri.

I due siluri colpivano la nave e scoppiavano, quello di dritta tra il primo e il secondo ciminiero, quello di sinistra tra il ciminiero poppiero e la poppa. La nave non eseguì alcuna manovra per evitare i siluri. Il cacciatorpediniere alla mia sinistra accortasi del lancio dirigeva per tagliarmi la ritirata riuscendo a evoluzione compiuta del Mas a mettersi sulla mia scia ad una distanza tra i 100 e i 150 metri. Apriva il fuoco con un solo pezzo con colpi ben diretti ma leggermente alti che scoppiavano di prora.

Per evitare la rettifica di tiro non usai la mitragliatrice, e tenendomi il cacciatorpediniere esattamente sulla mia scia lancio una bomba antisommergibile che non scoppiò. Una seconda bomba scoppiò vicino alla sua prua. Esso accostò immediatamente di 90 gradi, ed io con accostata a sinistra ne aumentai la distanza perdendolo di vista.

Il Mas 21 come risulta dall’allegato rapporto del guardiamarina di complemento signor Aonzo, eseguiva l’attacco contro l’altra nave. Il personale dl Mas ha dato prova delle più belle virtù di calma e coraggio sia nell’attacco, sia nell’inseguimento.

Nessun danno ai Mas né alle persone. Alle ore 07,00 entravo in porto”.

La Szent István evidenziò subito dei grossi danni provocati dai siluri del MAS 15; l’acqua penetrò nei locali macchine di prora e di poppa così si dovettero fermare le macchine. Ogni quarto d’ora circa lo sbandamento della corazzata cresceva di circa 1°, e la Tegetthoff provò più volte a prendere a rimorchio la nave, ma solo alle 05:45 riuscirono a passare la prima gomena, quando lo sbandamento aveva raggiunto i 18° circa. In quel momento l’inclinazione subì un improvviso aumento e la cima dovette essere recisa; verso le 06:00 la nave iniziò a capovolgersi, per poi affondare del tutto. Tra gli ufficiali vi furono 1 morto e tre dispersi, tra l’equipaggio i morti furono 13, 72 i dispersi e 29 i feriti.

Effetti di Premuda

L’impresa  di Premuda ebbe grosse ripercussioni sul morale austro-ungarico, tanto che nel restante corso della guerra, la Kriegsmarine non compì più nessuna operazione navale, asserragliando le proprie navi nei porti. I siluri di Rizzo, con quest’azione, fecero svanire l’elemento sorpresa e troncarono la missione nemica sul nascere, costringendo la flotta austriaca a rinunciare definitivamente all’ambizioso progetto. L’azione di Premuda convinse inoltre definitivamente gli alleati a lasciar cadere la questione relativa all’istituzione dei comandi navali in Mediterraneo lasciando il totale controllo dell’Adriatico all’Italia.

A dimostrazione del grande risultato dell’azione dei MAS, il Comandante in Capo della Grand Fleet, l’ammiraglio inglese David Beatty fece giungere all’ammiraglio Lorenzo Cusani, comandante della flotta italiana, il seguente telegramma: «La Grand Fleet porge le più sentite congratulazioni alla flotta italiana per la splendida impresa condotta con tanto valore e tanta audacia contro il nemico austriaco».

A riconoscimento dell’eroismo dimostrato in azione, il capitano Luigi Rizzo venne insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, ma in seguito al suo rifiuto per i suoi ideali repubblicani, l’onorificenza fu commutata in una medaglia d’oro al valor militare; onorificenza che venne assegnata anche al guardiamarina Aonzo. Il 13 marzo 1939 la Marina Militare, allora Regia Marina, decise di celebrare la propria festa in data 10 giugno, in ricordo dell’azione compiuta nel corso della Prima Guerra Mondiale.

Un’altra medaglia al valore del tutto inaspettata e forse ancor più importante arrivò diciotto anni più tardi, nel 1936, quando il Reggente del Regno d’Ungheria, Miklòs Horthy, venne in Italia. Il Reggente ed ex-Ammiraglio dell’Imperial-Regia Marina chiese a Mussolini di incontrare colui che lo aveva sconfitto nel primo conflitto mondiale e, in seguito ad un incontro cordiale, lo insignì della Gran Croce dell’Ordine di Santo Stefano. Lo stesso nome della corazzata affondata da lui a largo dell’isola di Premuda.

Tratto da “Polaris – la rivista n.21 – L’ITALIA DELLE TRINCEE” – acquista qui la tua copia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Language