Flatus Voci o della postverità
Siamo in presenza dell’inversione normativa e ciò in un mondo, quello del cosiddetto Occidente, che presume di essere il regno della libertà totale d’espressione ma ha inventato la postverità del politicamente corretto
Caratteristica non secondaria dell’epoca attuale, secondo Federico Rampini Suicidio occidentale. Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori, 2021 è un processo strisciante di «inversione normativa». Si tratta dell’imposizione di un ambito veritativo assoluto, incontrovertibile, non soggetto ad analisi alcuna di ordine storico critico.
Questione paradossale in un mondo, quello del cosiddetto Occidente, che presume di essere il regno della libertà totale d’espressione, della affermazione di diritti inalienabili, dell’emancipazione piena, del corpo come della parola, dai retaggi di un fosco passato “patriarcale”, “autoritario” e “fascista”. La postverità del politicamente corretto, come è noto, prevede la demonizzazione e la cancellazione del vecchio paradigma normativo: l’idea di fondo è di fondare un mondo rinnovato e giusto, quintessenza del bene.
Secondo Rampini, la dinamica è analoga alla cancellazione, nei primi tempi dell’era volgare, del paganesimo e del suo ordine sacro, operata dal cristianesimo alleatosi col potere politico di imperatori romani quali Costantino, e, soprattutto, Teodosio, divenendo così detentore di una egemonia, insieme culturale e religiosa, durata per lunghi secoli.
La tendenza Woke Blm
Oggi, tutto ciò che non si adegua all’ideologia radical-progressista di una intellighèntsia illuminata, alludiamo alla tendenza Woke, Blm, ai valori liberatori della costellazione Lgbtqr* etc., deve essere stigmatizzato e represso, sia nei simboli che sul piano pratico. E non ha alcuna importanza che la citata intellighèntsia, priva di qualsivoglia Visione del mondo, così come di strategie di largo respiro, sia minoritaria: a contare sono il sostegno della stampa, dei mezzi di informazione, dei “social” e della sfera politica.
Il fenomeno parte dagli Stati Uniti. Ma, per deduzione, tende ad investire il vecchio continente, avendo questo perduto, dal 1945, ogni forma di reale sovranità, di centralità, di cura per il proprio passato e per il proprio retaggio tradizionale. Ogni tendenza dissolutrice, ogni moda d’oltre oceano viene accolta in Europa, ancorché da minoranze, in modo acritico. E, per chi non si adegua allo “spirito del tempo” vige un inflessibile isolamento, un controllo continuo degno di una “polizia del pensiero” di orwelliana memoria.
Lo abbiamo già sottolineato in altri interventi: viviamo una situazione distopica in cui tutto, alludiamo al dominio delle “narrazioni ufficiali” e della rappresentazione del reale, è precostituito, mistificato. Domina un uso distorto della lingua, impoverita e dalla sintassi approssimativa, i cui termini, spesso stravolti rispetto al significato originario, sono talvolta proibiti, talaltra resi obbligatori. Una sorta di “Neolingua” per la quale schiavitù equivale a libertà; guerra equivale a pace.
Siamo in un nominalismo non dichiarato
Azzardiamo un’ipotesi, restando volutamente a livello sovrastrutturale. L’orizzonte comunemente oggi accettato si fonda sul terreno di un “nominalismo” non dichiarato. Il Regno della quantità, per usare una felice espressione di René Guénon, privilegia i corpi estesi e ponderabili e i loro appetiti primari su ogni altro stato dell’essere. A prevalere è la convenzione e l’apparenza del qui e ora. Tale Regno nega ogni trascendenza, ogni verticalità.
Quelli che la logica definiva “universali” (concetti generali, idee, simboli etc.) altro non sono che emissioni di suono, flatus vocis, per usare la definizione del filosofo medioevale Pietro Roscellino, teorico, appunto, del Nominalismo. Per tale dottrina, termini quali, a titolo d’esempio, “umanità”, “giustizia”, “democrazia” non hanno alcuna sostanza ontologica, sono un nulla, se non semplici suoni.
Per conseguenza, non esistono, di per sé, valori democratici, libertà o giustizia, se non come verbalismi, vibrazioni sonore, fonemi.
Solo realtà individuali irripetibili fanno parte dell’essere. Elementarità e nichilismo dunque. Ma, con astuzia sofistica, il pensiero unico dominante trasforma il convenzionale e il flatus vocis in realtà oggettive, assolute e indiscutibili. Non esistendo la Verità, deve imporsi l’ideologia più forte. Per cui è posto come naturale e necessario esaltare la “democrazia”, i “diritti civili” delle minoranze, l’”antifascismo”, il “giusto” etc., costruendo surrettiziamente un unico mondo condivisibile.
Un presente che si crede eterno
E, da questo punto di vista, risulta opportuno, e doveroso, non soltanto giudicare, ma anche annichilire o riscrivere il passato secondo i dettami dell’egemonia mistificatrice del presente. Di un presente che si vorrebbe eterno E si potrebbero fare svariati esempi.
Se l’ipotesi regge è possibile un’opposizione allo status quo solo a patto di non cadere nelle trappole linguistiche che inducono ad una certa forma mentis, quella dell’individuo-massa indifferenziato sparse ovunque dall’Apparato egemone. E solo a patto, soprattutto, di esercitare un pensiero di ordine critico. Ciò permette una distaccata e serena valutazione delle dinamiche in atto, a livello di mutazione antropologica indotta, in corso d’opera. Senza un atteggiamento del tipo richiamato, ogni forma di “guerriglia culturale” risulta vana, se non controproducente.
Giuseppe Scalici