Riflessioni

SIAMO IN CRISI O IN DECADENZA? – Come uscire da ambedue

L’economia, tecnicizzata nella/dalla finanza, si è fatta totalità piegando alla propria logica la politica con le sue istituzioni, divenendo macchina-Stato, determinando la morale e financo l’estetica.

E noi rinunceremo a riconquistare una più matura “imago mundi” e con questa a mettere a punto valori di scala superiore che diano senso alla stessa immagine?  

Allora se è crisi è anche decadenza.

di Mino Mini – Architetto

La domanda non è, come sembra, un mero artificio retorico. Nasce dalla considerazione che il primo termine indicherebbe la rottura di un equilibrio preesistente e ciò implicherebbe una scelta su quale condizione porre in atto per ristabilirlo. Il secondo termine, invece, denuncerebbe una condizione di perdita di orientamento, di smarrimento di valori, di indebolimento della volontà e capacità di riscatto prodromica della caduta in una situazione di regresso civile. Nel primo caso ci troveremmo in una fase temporanea superabile ricostituendo la condizione di equilibrio interrotta; nel secondo caso, invece,ci troveremmo nella necessità di compiere un vero e proprio salto evolutivo per uscire dal processo di regressione.

Una degenerazione cartesiana

La condizione attuale, quella che stiamo vivendo e chiamiamo crisi, riguarda l’economia ovvero un aspetto settoriale dell’esistenza. Se di quest’ultima avessimo una concezione organica ed il nostro fosse, di conseguenza, uno Stato organico, la crisi sarebbe semplicemente un punto di flesso, preludio ad un cambiamento di segno verso l’alto (positivo) o verso il basso (negativo), di un processo ciclico continuo. Non ci sarebbe rottura dell’equilibrio, ma solo esigenza di controllo del processo.  Viviamo nella modernità, degenerazione della cartesiana concezione fisicalistica del mondo ad opera della tecnica e quindi non esistono, purtroppo, Stati organici, ma solo Stati totalitari.

Non stiamo bestemmiando, ma azzardando una conclusione sulla scorta di quanto affermato da Edmund Husserl nel suo “.La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale”.

Dalla separazione dualistica in res cogitans e res extensa derivante dalla concezione fisicalistica della natura introdotta da Cartesio, era scaturita la scomposizione della totalità del mondo in parti componenti e la nascita di scienze settoriali per lo studio di tali parti, ciascuna con una propria logica autoreferenziale basata su una concezione di progresso lineare.
Logica che per applicarsi allo studio fisicalistico della natura – la res extensa di cui fa parte anche l’uomo come oggetto – doveva servirsi della “mathesis universalis” formalizzante. Doveva, cioè, matematizzare il mondo, ridurlo a formule matematico-fisicalistiche che fossero pure e particolari sotto il profilo della razionalità e tali da essere assunte quali costanti delle “leggi funzionali della natura fattuale”

Nacquero così sul piano intellettuale – quello della a tematizzazione – tante “nature” quante erano le discipline e tante “leggi funzionali” che dovevano considerarsi leggi della natura stessa. Alla progressiva sostituzione della natura naturans – quella vera, per capirci – con la natura  matematizzata, mancò a quest’ultima la caratteristica fondamentale della totalità. La concezione fisicalistica aveva creato una macchina artificiale frutto della somma delle sue singole componenti, ma non aveva realizzato la condizione che rendeva la natura una totalità: l’organicità. La natura che era stata smontata in tante parti aveva proprietà che quest’ultime non possedevano e che andarono perdute con la scissione in parti componenti.

Il dramma della modernità

Ed è qui che nasce il dramma della modernità. Dal fatto che le diverse scienze, ammantate della loro purezza logica e votate all’inflazione del proprio particolare, non avevano elaborato una matematizzazione di grado superiore atta a ricreare l’organismo smontato. La linearità della loro concezione non consentiva altro che una somma di parti. Andava, inoltre, considerato “l’influsso della tecnicizzazione” – come lo denominò Husserl – che ha portato all’occultamento di senso. Per capirci: in un processo di conoscenza allorché il procedimento di matematizzazione formale si traduce in formule, il processo conoscitivo si arresta, si cristallizza  –  per così dire – e si tecnicizza. Le formule diventano applicazione pratica e impositiva di quelle “leggi funzionali” della natura frutto della matematizzazione lineare della parte. Ma essendo la realtà organica e non lineare, funziona in modo assai più complesso di quanto non sia espresso dalle “leggi funzionali” della natura artificiale per cui è necessario, affinché tali leggi risultino efficaci, forzare la realtà ad adattarsi alle stesse.

Organico non è lineare

Ecco come si è formato il totalitarismo di cui dicevamo: un aspetto settoriale – ad es. l’economia – tramite formule impositive costringe un organismo civile a modellarsi sulle “leggi funzionali” della parte in questione trasformandosi in macchina governata dalla tecnicizzazione. 

E’, appunto, la situazione che stiamo vivendo. L’economia, tecnicizzata nella/dalla finanza, si è fatta totalità piegando alla propria logica la politica con le sue istituzioni, divenendo macchina-Stato, determinando la morale e financo l’estetica. Ma come abbiamo ripetutamente espresso, la realtà è organica e ciclica in quanto compresenza di tradizione e divenire, ovvero di permanenza e mutamento. La forzatura totalitaria dell’economia che, invece, è lineare entra in conflitto con la ciclicità provocando, di conseguenza, la crisi del funzionamento della macchina-Stato.

Siamo arrivati, infine, al momento della risposta alla domanda iniziale: siamo in crisi o in decadenza?

Se restringiamo la nostra visuale all’economia sotto la specie finanziaria, la risposta è: siamo in crisi. Mentre il vecchio mondo è in forte cambiamento e le tavole dei valori che lo reggevano sono state infrante dal nichilismo accettare questa risposta significherebbe accettare il totalitarismo economicista. Rinunceremmo, cioè, a riconquistare una più matura “imago mundi”  e con questa a mettere a punto valori di scala superiore che diano senso  alla stessa immagine. 

In parole più stringate: se è crisi è anche decadenza.

Se, al contrario, puntiamo a rielaborare una nuova e più matura “imago mundi”, occorrerà fare di nuovo appello alla ragione, ma ad un livello intellettuale più elevato. Occorrerà mettere a punto quella “mathesis universalis” formalizzante di grado superiore che la modernità non fu in grado di elaborare e che appare essere il nostro destino di civiltà.

Intellettualmente parlando si tratterà di compiere un salto evolutivo per portarci fuori dal ciclo della decadenza  e dalla crisi.

Tratto da “Polaris – la rivista n.9 – CRISI: COMBATTERLA O SUBIRLA” – acquista qui la tua copia

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