Economia & Finanza

È COSÌ LIBERO IL MERCATO? – Un oligopolio mondiale quasi monopolista

La concorrenza globale sta producendo ineguaglianze sociali sempre più spiccate e concentrazioni sempre più accentuate.

I 4/10imi del controllo sul valore economico di tutte le società trans-nazionali è detenuto attraverso una complicata ragnatela di rapporti azionari incrociati da sole 147 società, le quali hanno quasi completo controllo di se stesse.

E’ allora forse sbagliato considerare queste gruppo “core” di aziende come una sorta di super-entità collegata strettamente all’interno della rete globale delle aziende?

di Vittorio De Pedys –  Ex banchiere d’investimento, docente universitario a Torino, Milano, Roma

I lettori di Polaris ricorderanno che ci siamo occupati dell’importante fenomeno della concentrazione nel numero d’apertura della rivista. In quello studio, cui rimandiamo (1), evidenziammo come la legge di Pareto  detta del 20/80 e scoperta agli inizi del ‘900, sia all’opera in maniera molto potente nei tempi attuali, in particolare nel campo dell’accentramento del potere e dei mezzi finanziari in poche mani, attraverso la globalizzazione. 

La nostra tesi è che mentre la legge di Pareto è comunque entro certi limiti un ineliminabile tratto di natura, l’applicazione sistematica di politiche liberiste, globaliste e basate sul capitale da parte dei  governi occidentali ha causato un’aberrazione di tale inclinazione a livelli patologici. La patologia si è progressivamente aggravata dal secondo dopoguerra ad oggi.
E’ dimostrabile, dati alla mano, che la globalizzazione ha come effetto diretto maggiori, e non minori, disuguaglianze.

A titolo di esempio, uno fra gli innumerevoli, vi sono nel mondo circa 1000 persone che hanno disponibilità economiche, finanziarie e politiche tali da influenzare approssimativamente metà della popolazione del pianeta.

Il presente articolo si occupa di  scavare su alcuni aspetti meno noti, che si nascondono subdolamente dietro il mantra neo-liberista della superiorità occidentale del libero mercato.

Cresce la disuguaglianza

Del problema si è accorto anche l’OCSE, denunciando nel suo ultimo rapporto che al momento le disuguaglianze nei redditi dei Paesi occidentali non sono state mai così forti negli ultimi 25 anni. Qualche recente dato ufficiale sull’Italia: nel 2010 il reddito medio del 10% della popolazione più ricco è stato di euro 49.300, una cifra dieci volte superiore alla media  del 10%  più povero, che è stato di euro 4.877. Tale rapporto nel 1995 era di 8 a 1:  il divario si è ampliato. E non solo: la quota del 1% più ricco della popolazione sul totale dei redditi e passata dal 7% del 1980 al 10%  nel 2008 e quella dello 0.1% più ricco dal 1.8% al 2.6% . Nello stesso periodo l’incremento medio annuo dei redditi più bassi è stato dello 0.2% e quello dei redditi più elevati del 1.1% . Il prelievo fiscale marginale sui redditi più alti è sceso dal 72% del 1981 al 43% del 2010. Tutto ciò conferma le nostre tesi  ed evidenzia un’ incapacità governativa di correggere questi andamenti tramite politiche pubbliche.

Passando dal macro al micro, appuntiamo la nostra attenzione sugli attori del mercato economico, che sottendono al fenomeno della concentrazione. Uno lavoro recente e pionieristico (2) ha studiato oltre 43.000 compagnie trans-nazionali dell’area OCSE, analizzandone fino a 100.000 legami di proprietà . I legami sono di due tipi: il primo (OUT) rappresenta il numero di aziende in cui un determinato azionista (molto spesso una società) detiene azioni,  e può essere considerato una misura di diversificazione di portafoglio. Il secondo (IN) consiste nel numero di azionisti che possiedono azioni in una determinata azienda, e si può considerare come una misura di frammentazione del controllo.

Le considerazioni che seguono sono basate sui dati rivenienti dallo studio citato. Questa complessa struttura di rapporti mostra un gruppo di società “core” strettamente interconnesse, molto limitato rispetto all’ampiezza sia del campione che dei rapporti. In particolare i 737 top detentori hanno l’80% del controllo sul valore totale del campione delle società.
Studiando un fattore statistico ή di varie misure di concentrazione appare che il controllo è distribuito in maniera più diseguale dello stesso valore di concentrazione della ricchezza. Scavando ulteriormente appare che i 4/10imi del controllo sul valore economico di tutte le società trans-nazionali è detenuto attraverso una complicata ragnatela di rapporti azionari incrociati da sole 147 società, le quali hanno quasi completo controllo di se stesse.
E’ allora forse sbagliato considerare queste gruppo “core” di aziende come una sorta di super-entità collegata strettamente all’interno della rete globale delle aziende?

Le aziende del “core” così interconnesse

Un altro fatto di importanza fondamentale e che forse non sorprenderà i  lettori, è che la maggior parte  di queste società “core” sono società finanziarie. Le banche ed altre istituzioni finanziarie stipulano contratti di finanziamento, crediti e credit derivatives swaps con altre istituzioni finanziarie, generalmente con lo scopo di diversificare il rischio. Se però questa rete di relazioni è densamente interconnessa con rapporti azionari, il rischio sistemico non diminuisce, ma aumenta. Se una banca va in crisi esporta il contagio a tutte le altre. Ne deriva che il problema sistemico é doppio: non solo perché esistono oggi molte banche considerate “too big to fail”, cioè che non ci si può  permettere di lasciare al loro destino, ma anche perché  tali banche sono sottilmente legate le une alle altre in termini di controllo. In ambedue i casi o i regulators sono stati singolarmente ciechi ed impotenti di fronte a questi sviluppi o sono dolosamente parte del problema.

A livello macro, la situazione descritta appare oggi in tutta la sua gravità sistemica con la crisi finanziaria nella quale siamo piombati dal 2007 e dalla quale non si vede ancora via d’uscita. 

Ad un livello micro si possono intuire gli effetti subdoli di forte diminuzione della concorrenza sul mercato. Ciò è stato ampiamente studiato nei settori, ad es., delle aviolinee, dell’automobile, dell’acciaio. In questi comparti la ricerca economica ha rilevato che  anche un piccolo ammontare di relazioni incrociate fra gli attori economici riduce sensibilmente la concorrenza, la qualità e causa prezzi più alti ai consumatori come effetto di cartello, sollevando (talvolta) interventi dell’autorità pubblica di tutela della concorrenza o antitrust. Il fatto che queste aziende del “core” siano così strettamente interconnesse dal punto di vista del controllo ha evidenti effetti di riduzione della concorrenza, di concentrazione di enormi  poteri in poche mani, prezzi più alti, e rischio sistemico addossato alla collettività. Non si registrano peraltro interventi delle autorità antitrust al riguardo e nemmeno giudizi severi delle agenzie di rating sul punto. Quanto c’è di neo-liberista o di “mano invisibile” del mercato in questa situazione? Poco o nulla, il problema è che bisogna scavare parecchio per far emergere la patologia, nascosta com’è dietro la maschera dell’acritica applicazione del “libero mercato”. 

Come ovunque così in Italia

Questa degenerazione tutt’altro che casuale del fenomeno di concentrazione del controllo  è perfettamente osservabile anche in Italia.  Secondo un rapporto dell’Antitrust di due anni fa al Parlamento,   l’80% dei gruppi esaminati (pari al 96% del totale del campione) presentano nei propri organismi di governance soggetti con incarichi in società concorrenti. Non si tratta di  un fenomeno marginale, riguardante solo 1 o 2 esponenti, ma può arrivare a coinvolgere fino a 16 individui. Il numero di persone con posizioni di interlocking directorates, cioè posizioni decisionali e proprietarie intrecciate, e’ di 325 su un totale di 2876 incarichi negli organi di governance dei gruppi analizzati; di questi ben 150 sono svolti in società quotate in borsa.  Come nel caso più vasto delle aziende trans-nazionali di cui si è detto sopra, l’effetto di questo intreccio è sistemico nella riduzione della concorrenza,nell’evitare scalate non gradite , nello scambio di informazioni riservate, nella formulazione di strategie condivise nelle linee di fondo. In una parola nell’esercitare un controllo diretto o indiretto, formale o informale, sull’intera economia.

Scorrendo l’elenco dei primi 50 top detentori di controllo dello studio citato, in calce a questo articolo, si ritroveranno nomi ben noti accanto ad altri conosciuti solo dagli addetti ai lavori. Non ci sorprende né chi siano i “controllori”, né la loro appartenenza al gruppo dei “core”, né che siano tutti anglo-americani, ne’ che siano tutte società finanziarie, investment banks e banche; la verità sconvolgente  che viene alla luce è piuttosto che queste aziende non svolgono i loro affari in maniera indipendente, ma al contrario esse sono tutte legate da un intricata ragnatela di controlli incrociati.

Non serve spendere troppe parole per capire che i signori ai vertici di queste aziende non lavorano per il libero mercato, né per  i loro stakeholders (clienti, azionisti di  minoranza, dipendenti , comunità locali, sistema-Paese, ecc) quanto per mantenere il potere economico in un numero limitato di  mani. Ed appartengono, in maggioranza, alla superclass di cui si parlò nell’ articolo citato di Polaris 1. La dottrina economica  neo-liberista ha già mostrato l’incapacità di ridurre le disuguaglianze sociali che piagano la società moderna; ciò nonostante viene sistematicamente applicata , difesa, ed “esportata” da molte generazioni. Ancor più grave è la sua degenerazione in termini di concentrazione del potere economico e del controllo, fatti entrambi che riducono gli spazi stessi della concorrenza e della libertà. Dal punto di vista della superclass il grande vantaggio è che questo aspetto è così poco conosciuto da non esser né notato né contrastato.

1. vedi Polaris num. 1 , feb. 2010, pagg. 42-47

2. vedi Vitali, Glattfelder, Battiston “The network of global corporate control” ETH, Zurich, 19 sept 2011

Tratto da “Polaris – la rivista n.8 – GLOBAL OCTOPUS OPPURE NO?” – acquista qui la tua copia

 

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