Antropologia Sociale

SENILITÀ – Vecchiezza, scelrosi e poca ambizione

L’Italia è un Paese di vecchi, con la natalità in picchiata e uno scarsissimo ricambio generazionale. Otto aziende su dieci hanno il top management quasi esclusivamente composto da over 60.

Il paragone con altri Paesi sembra imbarazzante. Ma va detto che in essi, specie in quelli anglosassoni, c’è molta più torta da spartire e quindi è più facile piazzare anche altre fasce d’età. Inoltre c’è molta attenzione all’immagine offerta, ma la sostanza è diversa da quel che appare.

 Si pensi ai grandi ricambi generazionali della politica Usa: essi riguardano gli uomini-immagine perché poi i policy-makers sono sempre gli stessi e sono perlomeno ottuagenari.

La gioventù e la vecchiezza non sono poi solo questione anagrafica. In molti nascono già vecchi o accettano di avvizzire togliendosi dalla testa qualsiasi ambizione e qualunque voglia d’innovare.

di Carletto da CisterninoStudioso dell’armamento

Da sempre la nostra compagine sociale richiama ad una struttura che fa capo alla guida dell’ “anziano”.

In Italia quest’attitudine strutturale è portata all’esasperazione: 8 aziende su 10 hanno il Top Management quasi esclusivamente composto da “over 60”, per non parlare dell’ambiente governativo-statale e soprattutto militare, dove l’Ufficiale Subalterno assume ruolo di Segretario Tecnico i cui rapporti vengono pedissequamente corretti a penna rossa, come alle Scuole Elementari; in riunioni di livello internazionale i nostri compatrioti di terza età si trovano spesso a negoziare e dialogare con colleghi stranieri quarantenni. I nostri quarantenni assistono prendendo appunti e facendo fotocopie e tabelline riassuntive. Nel migliore dei casi. Unica eccezione fanno ovviamente coloro che appartengono a categorie di eletti. 

Poca torta e molta esperienza

La letteratura giornalistica tende a giudicare negativamente quest’attitudine, esaltando in contrapposizione l’apertura mentale dei nostri vicini anglosassoni, ma la realtà è ben diversa. In USA ed Inghilterra le posizioni e le cordate di potere sono forti almeno quanto dai noi pur rimanendo a prima vista meno visibili: la torta da spartire è solo molto più grande. Ecco quindi che la nostra reale mancanza di possibilità di emergere diventa il riflesso di una povertà nazionale reale, presente da anni e calcificata in una visione che diventa cultura popolare. 

Cultura improntata sul paradigma. Paradigma secondo cui l’anzianità porta a maggiori capacità di creare strategie vincenti essendo causa di maggiore esperienza professionale. Nella maggior parte dei casi, però, questa esperienza si traduce solo in un maggior numero di contatti esterni e di informazioni. 

I legami con allibratori autorevoli, pur consentendo di carpire movimenti e condizioni al contorno, legano l’iniziativa e la strategia a schemi dettati dalla conservazione delle gerarchie; le decisioni che ne scaturiscono riportano ad un vantaggio collettivo solo a volte, ed in ogni caso di riflesso. La visione retrospettiva del mondo è raramente accompagnata da capacità di prevedere senza condizionamenti dettati da pregiudizio, e non sempre il presente percorre i solchi generati da vicende passate. Soprattutto oggi.

Vecchi anche i giovani

Ma considerato lo scenario solo sotto questo aspetto, si ha una visione parziale del problema. Giovane non è solo il ventenne, oggi si può nascere già vecchi. La Gioventù non è qualità associabile ad una età; è una condizione dello Spirito.

Giovane è colui che vede il futuro come possibilità, che accoglie con entusiasmo la vita, che sa reagire e trae insegnamento dalla sconfitta come fosse una semplice caduta di sella. Giovane è chi ha bramosia di apprendere, che sogna di Altezze e che sa ribellarsi per imporre le proprie visioni.

Partendo da questa semplice considerazione il problema della “vecchiezza italica” non è solo un problema demografico. E’ una realtà sociale conseguente l’involuzione dell’attitudine individualista alla sua forma più bassa e plebea, identificata nell’inseguimento di un miraggio di puro “status”. 

Status inteso come immagine di un obiettivo economico e sociale raggiunto. Status che si manifesta nella prepotenza e arroganza verso il proprio vicino; nell’ abuso gratuito di un potere finto e nelle parate di Generosità Collettiva dei Telethon e delle raccolte fondi in favore dei terremotati in “Burundi”. 

In questo contesto non esiste visione, strategia, decisione. E’ tutto fermo. Qualora vi sia necessità di esprimere contenuti al di là delle apparenze, è tacita regola mantenere un profilo sempre basso, per non uscire dai binari e non essere esposti a pubblica ignominia; in linea con le più raffinate tecniche di bipensiero orwelliano, le stesse idee hanno valore in misura della loro banalità. Si esprimono concetti solo nella certezza che possano essere condivisibili prima ancora di venire espressi.

Chi sa uscire dal guscio della mediocrità intrinseca nell’omologazione, spesso non coglie la responsabilità insita in quel piccolo barlume di luce, e fa sfoggio della propria diversità in modo fascinoso ributtandosi nel mucchio e svendendo sé stesso in cambio di qualche sorriso.

E’ ovvio che si tratta comunque di scelte di comodo: esprimere la propria ambizione in un progetto fattivo, mettersi in gioco al fine di proporsi al di fuori dei confini tracciati, è sempre un rischio. La certezza è nella conseguente solitudine, nella demonizzazione collettiva della propria presunzione. 

Libero arbitrio

Fortunatamente non sempre: il rischio insito nell’iniziativa personale è una costante ad ogni livello essa venga proposta, ma lascia comunque una traccia. Colui che opera per realizzare cambiamenti radicali e non per trarre necessariamente merito o plauso ritrova in quel risultato, per piccolo che sia, il raggiungimento di un obiettivo primario. 

La questione della realizzazione di sé, di emergere e di costruire, rimane sempre e solo una questione di scelta personale. E’ una legge di natura, è libero arbitrio. Il sistema vigente offrirà sempre la possibilità di vita tranquilla senza pretese, spacciandola come un dono; ma si tratta spesso di una gabbia entro cui muoversi. Poi ognuno di noi decide veramente chi essere e se essere soggetto attivo oppure no. 

Tratto da “Polaris – la rivista n.6 – FLUSSI E RIFLESSI” – acquista qui la tua copia

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