Economia & Finanza

IL SECONDO SALTO DI WERNER – Il vero potere non si mostra in pubblico

La fondamentale differenza tra l’approccio classico e quello neoclassico riguarda la questione del potere: gli economisti neoclassici ritengono che economia e politica siano domini separati dell’agire umano; l’economia è dotata di leggi proprie ed immutabili contro le quali è vano, anzi controproducente, agire.

Per gli economisti classici invece il potere gioca un ruolo centrale.

di Antonio Bovo Operatore finanziario e docente di corsi master

Otto e venti, prima campana (stonata)

La teoria economica che viene insegnata sin dalla prima ora nelle aule delle università italiane, soprattutto in quelle dove l’influenza anglosassone è più forte, fornisce una visione conciliante. In realtà un piccolo approfondimento di storia del pensiero economico è sufficiente per ricavare le distanze incolmabili tra diverse interpretazioni dei fenomeni economici, rispetto ai fondamenti del problema economico e circa la natura stessa della disciplina detta “Economia Politica”.

La riposante immagine di teorie che si succedono combinandosi armoniosamente e conducendo a vette di conoscenza sempre più alte nasconde profonde gole entro le quali risuona l’eco di parole spesso vuote di concetti, mercato, concorrenza, equilibrio, e fratture dove le dogmatiche sicurezze della teoria sprofondano.

Semplificando, si può proporre uno schema come il seguente che evidenzia le contrapposizioni più evidenti sulla base dei criteri indicati:

ScuolaClassicaMarginalista
MetodoInduttivoDeduttivo
ConcezioneScienza socialeScienza naturale
ApproccioCompetitivoCumulativo

Scuola

Storicamente sono state individuate due scuole di pensiero.

La prima, detta classica, alla quale vengono ricondotti autori come Smith, Ricardo, Marx e più recentemente Sraffa e Sylos-Labini, concepisce il sistema economico come “il susseguirsi di circuiti di produzione, scambio, consumo, in una visione a spirale” nella quale questi circuiti costituiscono fasi di un processo di crescita (1).

La seconda, detta marginalista, “offre l’immagine di un corso a senso unico che porta dai fattori della produzione ai beni di consumo” (2).

In sintesi le differenze tra le due scuole, seguendo l’impostazione data da Roncaglia, riguardano la definizione del problema economico (analisi delle condizioni che garantiscono il funzionamento di un sistema economico in un caso, utilizzo ottimale delle risorse scarse per soddisfare i bisogni e i desideri degli individui nell’altro), la concezione del valore (basata sulla difficoltà di produzione per i classici, sulla valutazione dell’utilità marginale per i marginalisti), il concetto di equilibrio (fondamentale nella scuola marginalista per garantire le condizioni di ottimale utilizzo delle risorse, mentre riveste un ruolo limitato nella scuola classica), il ruolo dei prezzi (indicatori di difficoltà di produzione o di scarsità rispetto ai desideri dei consumatori), la teoria della distribuzione del reddito (risolta all’interno della soluzione di equilibrio dai marginalisti, problema autonomo nei classici).

Da notare che la scuola viene chiamata Neoclassica per sottolinearne la continuità con la scuola Classica, mentre le differenze sono almeno pari alla continuità (3). Più corretto sarebbe definirla Marginalista, perché basata sul concetto di utilità marginale, o Soggettivista, considerato il ruolo centrale che in essa riveste l’individuo.

Metodo

La principale critica che Richard Werner (4) muove agli economisti contemporanei è di adottare un approccio assiomatico che conduce a modelli completamente sganciati dalla realtà. Il metodo dell’assiomatizzazione consiste nel formulare un insieme preciso di assunti di base espressi in termini formali, nell’esprimere il problema e il risultato in termini formali: è un metodo “figlio” del deduttivismo poiché quest’ultimo si fonda sull’idea che la teoria si costruisce all’inizio, non alla fine dell’analisi di un fenomeno.

All’opposto, Werner suggerisce di ritornare al metodo induttivo nello studio dell’Economia, che consiste nel pervenire alla stesura di una legge scientifica a partire dall’osservazione di un fenomeno. 

Infatti, se da un lato le regole del metodo deduttivo si adattano bene alle scienze naturali, si rivelano invece inadeguate nelle scienze sociali, venendo meno una serie di presupposti come la ripetibilità in laboratorio.

Alcune assunzioni tipiche degli economisti “assiomatici” appaiono poi palesemente infondate, ad esempio la nozione di perfetta informazione di tutti gli operatori del mercato.

Se l’economia è una scienza sociale il metodo deduttivo produce modelli formalmente rigorosi ma poveri di concretezza, troppo stringenti e del tutto privi di realismo.

Concezione

A seconda che si concepisca l’Economia Politica come scienza sociale o come scienza naturale si manifesta una tensione irresolubile tra il requisito del rigore e il realismo delle assunzioni.

“In quanto riflessione sulla società l’Economia Politica è una disciplina umanistica, con una dimensione storica essenziale … In quanto scienza l’economista può essere spinto ad adottare regole metodologiche ricalcate su quelle delle scienze esatte” (5).

Da una lato vi è il tentativo di costruire un sistema teorico rigoroso basato su concetti formalizzati (modelli di mercato, funzioni di utilità, funzioni di produzione), dall’altro lato si registra il tentativo di rappresentare la realtà economica in armonia con lo sviluppo storico.

Se si adotta “la concezione neoclassica dell’economia come teoria del comportamento razionale, il problema economico di fondo resta lo stesso in ogni società e in ogni epoca” (6): come utilizzare nel migliore dei modi le risorse scarse a disposizione.

Viceversa, per la concezione classica dell’economia politica come scienza sociale, è la natura stessa della scienza economica a mutare nel corso del tempo, in accordo con i cambiamenti della società: diviene quindi necessaria una notevole cautela nel parlare di “progresso” nel campo della scienza economica e in generale conviene “limitarsi a dire che la scienza economica si è adeguata ai cambiamenti verificatisi nella realtà” (7).  

Approccio

Secondo la concezione cumulativa la teoria economica incorpora tutti i contributi storici precedenti: l’analisi degli autori e delle teorie elaborate nel passato non sono quindi necessari per il progresso della scienza.

Al contrario, “la concezione competitiva rifiuta l’idea che il cammino della scienza economica sia un processo monodimensionale, [e prevede i salti di paradigma: ci può essere] progresso all’interno di un paradigma così come nella sequenza storica di paradigmi” (8), ma l’idea di progresso diventa sicuramente più imprecisa (9).

“Il vero potere non si mostra in pubblico” (10)

L’affermazione del marginalismo come teoria economica dominante e del suo corollario di assiomi e concetti impone di interrogarsi sulle ragioni di tale successo.

E la ragione più rilevante è di carattere politico: sin dalla sua comparsa nella seconda metà dell’800 “una teoria che espelleva dall’economia, in quanto scienza, ogni considerazione di carattere sia sociale sia politico, venne accolta con favore negli ambienti accademici e borghesi … Il problema economico diventa non più lo sviluppo economico ma l’allocazione di risorse date fra usi alternativi; … il comportamento umano è riducibile al calcolo razionale teso alla massimizzazione dell’utilità; … scompaiono dalla scena i soggetti collettivi, le classi sociali dei classici [ed emerge solo l’individuo]. L’economia viene assimilata alle scienze naturali, diventa astorica, poiché le leggi dell’economia sono universali ed eterne” (11).

La fondamentale differenza tra l’approccio classico e quello neoclassico riguarda la questione del potere: gli economisti neoclassici ritengono che economia e politica siano domini separati dell’agire umano; l’economia è dotata di leggi proprie ed immutabili contro le quali è vano, anzi controproducente, agire.

Per gli economisti classici invece il potere gioca un ruolo centrale.

Ed è nella teoria dei salari e della distribuzione del reddito che la differenza tra l’impostazione classica e quella neoclassica diventa stridente, presentandosi come elemento determinato dai rapporti di forza nel primo caso e come soluzione automatica dei meccanismi di mercato nel secondo.

Ma dietro il simulacro del mercato di concorrenza perfetta “che tutto sa e tutto fa” si nascondono decisori occulti.

Bibliografia

Cassetti M., 2001, Concorrenza, valore e crescita: modelli di economia classica, FrancoAngeli.

Roncaglia A., 2009, La ricchezza delle idee, Laterza.

Roncaglia A., 2009, Lineamenti di economia politica, Laterza.

Werner R., 2005, New Paradigm in Macroeconomics, Palgrave Macmillan.

1. Roncaglia (2009).

2. Sraffa, citato in Roncaglia (2009).

3. Sono forme lessicali degne di una bilingua orwelliana.

4. Werner (2005).

5. Roncaglia (2009).

6. Roncaglia, Lineamenti (2009).

7. “Un progresso scientifico in senso stretto può essere evidente fra le scienze collaterali dalle quali l’economista trae i suoi strumenti di ricerca, quali la matematica o l’informatica” in Roncaglia, Lineamenti (2009).

8. Roncaglia (2009).

9. Un elemento obiettivo di progresso è costituito dal crescente numero di strumenti analitici a disposizione dei ricercatori ma questi strumenti non vanno confusi con la teoria stessa.

10. Çlirim Muça, Grido contro il potere.

11. Cassetti (2001).

Tratto da “Polaris – la rivista n.3 – GUERRE DI POSIZIONE” – acquista qui la tua copia

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