Editoriali

EDITORIALE POLARIS n.2 – Strade d’Europa

L’Europa. Un’area di comune civiltà, un mito che ritorna, un progetto che avanza incerto, simile alla tela di Penelope.

L’Europa delle regioni, delle patrie, dei popoli, dei capitali, delle burocrazie o dei trattati? L’Europa nazione, federazione o concertazione? L’Europa dell’euro.

Da quando quest’ultimo è stato adottato, in contemporanea con l’ascesa asiatica e la ripresa russa, si sono create le condizioni perché l’egemonia americana s’incrinasse e perché il principale alleato-rivale della superpotenza, la Gran Bretagna, si avvitasse su se stesso sia sul piano finanziario sia su quello delle influenze internazionali.

La tendenza globale è oggi di cercare sì una governance mondiale ma anche concertazione tra grandi detentori di sfere d’influenza; il che è una mina per la stessa unità sistemica.

Per la prima volta da molto tempo l’Europa è così potenzialmente restituita ad un ruolo che non sia periferico e semplicemente consumistico.

Seve un’unità politica e giuridica della quale il Trattato di Lisbona vuol essere un abbozzo, discutibile ma significaivo.

In questo scenario la crisi greca, cui non è estranea la finanza Wasp, olre a fungere comunque da acceleratore nel processo delle svendite demaniali e dello smantellamento delle politiche sociali, mette alla prova la coesione e la tenuta finanziaria e politica della Ue fornendo un banco di prova alla sua ascesa politica e alle sue capacità d’influenza. 
Due anni fa, con la crisi georgiana, si era comportata egregiamente; ma i giochi di adesso, strutturali, sono più delicati.

Ed affiora l’evidenza che mentre il partito inglese, formato dalla City ma anche dai suoi commessi nei parlamenti europei e dalla gran parte degli euroscettici, si presenta abbastanza coeso nel sabotaggio, Germania e Francia, che sono le assi portanti della Ue, esprimono logiche ben diverse tra loro nella politica di difesa.

Questo dimostra che, al di là delle importanti e determinanti motivazioni materiali, l’Europa non ha unità e neppure un vero e proprio modello. Ci si chiede addirittura se abbia piena coscienza delle poste in gioco e una chiara visione di sé; se sia cioè in condizioni di assumere un plurimillenario passato e di esprimerlo in un futuro vitale.

L’invecchiamento mentale, la dittatura dogmatica di postulati ideologici di vario genere che fungono da vere e proprie sindromi d’immunodeficienza, la denatalità, tutte queste patologie insieme sembrano annunciare la nostra morte proprio quando le condizioni oggettive ci offrono scenari invitanti; c’è da sperare che non si tratti del classico canto del cigno.

Il fatto tangibile e preoccupante è che ci sono troppa approssimazione, troppa superficialità, troppo poca lungimiranza e troppi preconcetti, pregiudizi e dogmi nell’affrontare le questioni essenziali.

Una riprova palese la si ritrova nelle relazioni internazionali carenti di progetti di sviluppo per i paesi da cui proviene l’immigrazione; il che si ripercuote nella gestione stessa di un fenomeno che ha largamente superato i limiti strutturali e produce disagio, guerra tra poveri e, in prospettiva, l’internazionalizzazione delle classi produttrici con tanto di smarrimento di una memoria comune. Tutto questo rischia di privare a breve le basi sociali europee di ogni consapevolezza di sé, sia in quanto ceti sia in quanto popolo.

Nella sfida demografica lanciata dall’Asia, questo fenomeno d’internazionalizzazione insieme con la denatalità pogressiva possono significare l’uscita definitiva delle nazioni europee dalla storia e persino da qualsiasi condizione economica accettabile.

Insieme al sistema sociale, fiscale e pensionistico, che d’altronde vi sono strettamente legati, dovrebbero quindi rappresentare i punti cardine della politica di amministrazione.

Il dibattito però sfugge le questioni centrali e si limita a concentrarsi sui pur importanti parametri finanziari mentre vengono liquidate frettolosamente con sfide sloganistiche le problematiche di fondo mai affrontate seriamente. 
Va fatto, con semplicità, senza preconcetti, con entusiasmo.

di Gabriele Adinolfi

Tratto da “Rivista Polaris n.2 – STRADE D’EUROPA – estate 2010” – acquista qui la tua copia

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