Cultura del lavoro o del tempo libero? I decenni passati hanno invertito spesso i fattori, deumanizzando la filosofia del lavoratore. Ecco come potrebbe l’IA subentrare e migliorare i processi. Purché si parta dalla consapevolezza di aver vissuto un consumismo pressoché totalizzante.

Il tema del rapporto tra Intelligenza Artificiale e lavoro è complesso e andrebbe affrontato su vari livelli di analisi, quali occupazione e mercato del lavoro, aree attualmente coinvolte e prospetticamente interessate, qualità e sopravvivenza dell’attività umana come fino ad oggi concepita.

La stessa Unione Europea ha preparato un regolamento in materia di IA, denominato “AI ACT”, che fornisce una definizione legale della suddetta, ricomprendendo “ogni sistema software progettato per operare con vari livelli di autonomia che può, per obiettivi espliciti o impliciti, generare risultati come previsioni, raccomandazioni o decisioni che influenzano ambienti fisici o virtuali

D’altro canto il Ministro del Lavoro, in una sua recente audizione, ha affermato che “L’utilizzo dell’IA permette di immaginare una società ed un mondo del lavoro in cui è necessario coniugare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e la salvaguardia dell’occupazione e dei diritti dei lavoratori.

Da una analisi seppur superficiale sull’utilizzo della Intelligenza Artificiale si evincono innanzitutto attività correlate a risolvere problemi complessi, dalla ricerca scientifica al mercato azionario, dalla robotica alla giustizia, passando per l’industria e le auto a guida autonoma. Inoltre lo sviluppo della IA generativa, permette di sviluppare capacità atte a riprodurre forme di creatività proprie dell’Uomo, rendendola particolarmente dotata di caratteristiche capaci di dispiegare effetti sul mercato del lavoro.

In termini di impatto occupazionale, dopo una gara a dare i numeri più contrastanti e contraddittori, si tende ad affermare come sia più corretto riferirsi a “cambiamenti” del mondo del lavoro, piuttosto che ipotizzare bilanci allarmistici sul numero di posti di lavoro che le nuove tecnologie creeranno o faranno disperdere.

Certamente alcuni settori in cui si è non solo ipotizzato, ma realizzato un intervento diretto ed esclusivo della I.A devono essere attentamente monitorati e valutati. Ad esempio la selezione del personale in caso di assunzione o di promozione. Una IA che agisca senza la dovuta trasparenza potrebbe nascondere processi discriminatori contro alcune categorie di lavoratori. In effetti, conseguenze di questo genere sono state evidenziate anche in altri settori.

Negli States, l’utilizzo della I.A. per irrogare pene fino a tre anni di carcere, ha evidenziato pregiudizi razziali nei confronti delle componenti afroamericane o ispaniche, mentre in Olanda un simile utilizzo per l’erogazione di aiuti e sussidi alle famiglie disagiate ha determinato un elevato numero di revoche degli stessi, in quanto assolutamente ininfluenti rispetto ad un valutabile miglioramento delle loro condizioni di vita.

In questo senso l’UGL esprime le sue perplessità, specie i rappresentanti delle categorie maggiormente interessate, come la Federazione UGL Telecomunicazioni, che ritiene urgente un Codice Etico Europeo per l’Intelligenza Artificiale e la stessa UE nella proposta di regolamento, citato in precedenza, inserisce questi processi proprio tra quelli considerati a maggiore rischio e sui quali vengono imposti agli sviluppatori maggiori obblighi di trasparenza.

Se il dato reale sul mercato del lavoro in termini occupazionali non è facilmente valutabile, si può tuttavia, con buona approssimazione, indicare quali siano i settori maggiormente coinvolti. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ritiene, in una sua recente analisi, che la maggior parte dei lavori e delle industrie siano solo parzialmente esposti all’automazione, con probabilità di essere integrati piuttosto che sostituiti. “L’impatto maggiore della nuova tecnologia non si tradurrà nella riduzione di posti di lavoro, ma piuttosto in potenziali cambiamenti nella loro qualità , in particolare per quanto concerne l’intensità del lavoro nelle mansioni ripetitive”.

Inoltre viene fatta una importante distinzione tra Nazioni ad alto reddito, dove circa 5,5% dell’occupazione totale è potenzialmente esposto agli effetti di automazione della tecnologia, e paesi a basso reddito dove il conseguenziale impatto risulta essere del tutto marginale. Possiamo quindi affermare come il problema sia, in effetti, una preoccupazione principalmente caratterizzante le maggiori economie mondiali, termo restando i possibili benefici, riguardanti anche i paesi in via di sviluppo, a condizione che l’impiego delle nuove tecnologie venga coniugato con politiche ragionate.

Certamente l’innovazione tecnologica non può essere affrontata con derive luddiste, tuttavia non va sottovalutata la novità del fenomeno, che presenta sottotraccia, ma non troppo, un attacco allo stesso lavoro umano. Infatti, parafrasando Asinov, Vogliamo diventare soltanto un bel giardino, curato come un ospizio di lusso, oppure tornare ad essere i protagonisti della storia? “, la nostra riposta è scontata, tuttavia non si può non evidenziare che non si deve difendere e sostenere solo il lavoro tout court , ma salvaguardare il lavoro umano, governando le innovazioni tecnologiche con approccio proattivo, senza subirle apaticamente, con fatalismo deterministico.

Troppo spesso, in passato, si è accettata una interpretazione negativa del lavoro, a fronte della esaltazione del tempo libero, che ci vede in realtà subire le conseguenze di un consumismo totalizzante, mentre si deve obbligatoriamente riaffermare la cultura del lavoro, l’umanesimo del lavoro come elemento distintivo dell’essere umano.

Ettore Rivabella

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