Ago Magnetico

Comunicazione e postdemocrazia: perché comprendere la centralità del linguaggio

Chiariamo la centralità del linguaggio nel mondo odierno per addentrarci meglio nella esegesi dei tempi politici. Postmodernità senza visione del mondo? O è essa stessa la Visione par excellance?

Il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han, in un recente saggio intitolato Infocrazia1, sostiene che il controllo sui mezzi di informazione/comunicazione garantisce all’apparato dominante, in altri termini alle oligarchie sovranazionali del capitale finanziario, un potere potenzialmente illimitato sugli individui.

Individui isolati, atomizzati, che vengono bersagliati continuamente da messaggi e informazioni mai neutri, ma volti a determinare un tipo umano sottomesso, dai comportamenti prevedibili, funzionale alle logiche consumistiche del mercato globale.

La fase storica in atto, definibile come “post-moderna”, “post-democratica”, “liquida”, non sostiene alcuna Visione del mondo: è, nella sua sostanza profonda, nichilistica, appiattente, autoreferenziale.

In tale contesto assume una importanza centrale il linguaggio e il suo controllo. Uno scenario in cui il singolo si sente libero e in potere di interagire con le dinamiche in corso affidandosi non a progetti di largo respiro, ma utilizzando i “social media” che hanno soppiantato i tradizionali mezzi di informazione: quotidiani, periodici, televisione etc.

Per conseguenza, il “virtuale” tende a sostituire il “reale”, così come l’espressione verbale, tende a sostituirsi all’essere concreto.

Come è noto, siamo sommersi da continue informazioni: da un costante rumore di fondo che rende assai problematico distinguere il vero dal falso. Dati sovrabbondanti, paradossalmente, equivalgono ad assenza di dati.

Non a caso prevale la cosiddetta post-verità: vero è ciò che viene, attraverso il linguaggio, proclamato come tale. E chi detiene il dominio costruisce a priori l’orizzonte cui conformarsi, spacciandolo per naturale, universale e necessario.

Tutto ciò ricade nell’orbita del procedere sofistico: chi meglio utilizza lo strumento dialettico fa prevalere anche l’argomento in sé più debole. Ogni dibattito, dunque, risulta irrilevante. Così come ogni opinione non conforme al Diktat dell’Apparato dominante è destinata o a essere fagocitata rapidamente dalla rete, o a rafforzare, per assurdo, l’Apparato stesso, che piega al suo volere la stessa sfera della politica, ridotta ormai a mera cassa di risonanza, con qualche variante di pura facciata.

Il ceto politico ha perduto la propria egemonia: si limita ad eseguire ordini che provengono da quei “poteri forti” che sostanziano lo “Stato profondo”, il livello che permane stabile nel variare delle contingenze esteriori.

Dominare la comunicazione significa dunque dominare, senza violenti mezzi repressivi, il pensiero accettabile, l’ambito concettuale e simbolico, il comportamento, e dunque esercitare un’egemonia totalitaria su masse informi di uguali. Di schiavi che si sentono liberi.

Sembra che il mondo contemporaneo porti a pieno compimento la distopia delineata da George Orwell col suo 1984. Concetti come “neo-lingua”, “psicoreato”, “psicopolizia” dovrebbero essere familiari a tutti, anche se vengono interpretati come “normalità” da condividere e accettare in modo prono e acritico.

Siamo dunque in un vicolo cieco? Certamente sì, se non saremo in grado di osservare col necessario distacco la situazione generale. Giustamente Guido Taietti in Stregoneria politica (Manuale di comunicazione politica non convenzionale)2, mette in rilievo la sproporzione incommensurabile tra i mezzi che l’Apparato ha a disposizione e quelli di cui possono disporre singoli individui o piccole comunità che ancora ragionano in termini di politica e di comunità d’intenti.

E dunque, per veicolare contenuti di rottura dello status quo è necessaria un’opera di conoscenza delle tecniche, di propaganda e marketing, messe in atto dalle oligarchie dominanti, per poter agire non in termini di mera opposizione-negazione, non essendo possibile uno scontro “alla pari”, ma sfruttando al massimo quei meccanismi che la rete consente. Una sorta di conflitto di lunga durata portato avanti da minoranze molto motivate interiormente e tecnicamente preparate.

Secondo Byung-Chul Han, dal quale siamo partiti, “infocrazia” si contrappone a “democrazia”, tanto quanto la post-verità alla verità. Tuttavia, a noi sembra che la natura profonda dell’utopia democratica sia perfettamente realizzata proprio nel qui e ora.

Risulta pertanto necessaria, oltre alla presa d’atto della dimensione massificante, mistificatoria e nichilista della situazione in atto, una Volontà di superamento saldamente ancorata al Mito, al Sacro, all’Originario. Risulta necessaria un’autentica autodeterminazione del proprio destino, senza deleghe nei confronti di altri soggetti.

Giuseppe Scalici

1 Cfr. la traduzione italiana a cura di F.Buongiorno, Torino, Einaudi, 2023.

2 Altaforte Edizioni, 2021.

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