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IL MOLOCH ETERNO – La nuova normalità tra Le Bon e Platone

Il dominio sui corpi e sulle anime dipende, ed è di continuo corroborato, dalla volontaria insipienza, scambiata per vera conoscenza, e acquiescenza acritica.

È la rappresentazione, costruita a tavolino da abili ingegneri sociali, a sostituire il mondo reale.

E tale rappresentazione, sempre cangiante, allo stesso modo delle pallide immagini osservate dagli schiavi di Platone, viene ad essere l’oggetto di analisi, teorie, dibattiti, discussioni senza fine e senza senso autentico.

di Giuseppe Scalici – Docente di storia e filosofia 

Moloch è quel demone maligno che esige continui estremi sacrifici per la sua sopravvivenza. Da dominatore spietato.

Risulta particolarmente complicato, se non impossibile, distinguere oggi i contorni di una realtà oggettiva, ben delineata, valida per ogni soggetto conoscente, che non sia non l’esito di rappresentazioni mistificanti che ad arte ad essa realtà si sostituiscono. 

La società postmoderna, liquida come si usa affermare con espressione ormai inflazionata, è del tutto avulsa, in fondo per sua stessa ammissione, da coerenti e originarie Visioni del Mondo, da riferimenti a Idee o ad Ideali d’ordine eterno, non ristretti nei vincoli di una bassa materialità edonistica. Ammettendo, peraltro in modo fraudolento come andremo a vedere, la liceità di opinioni, scelte morali, stili di vita e di pensiero anche difformi fra loro, offre la prosopopea di una libertà individuale realizzata in modo pieno e compiuto all’interno di un quadro democratico e liberale.

È stato, giustamente, più volte affermato che l’epoca nostra vive la dimensione di una antropologia del tutto diversa rispetto a quella che ha determinato il tessuto connettivo di momenti storici che si vogliono superati per sempre. Lo constatiamo a vari livelli. In questa sede ci soffermeremo soltanto su uno dei molti aspetti che potrebbero essere presi in considerazione: il mondo dell’informazione, della comunicazione e dei suoi riflessi nell’interiorità dell’individuo.

Isolati ma dispersi nella folla

Partiamo da un presupposto che ci sembra irrinunciabile se pensiamo all’orizzonte geopolitico nostro: concetti e Weltanschauung ancestrali sono visti alla stregua di ciarpame di cui sbarazzarsi in nome della dichiarata centralità di un tipo umano, l’individuo, inteso quale ricettacolo di  istintualità anelanti alla perpetuazione di diritti e libertà di bassa levatura.

In un testo ormai classico, risalente al 1895, La psicologia delle folle, Gustav Le Bon sosteneva la differenza qualitativa fra l’agire dell’uomo singolo e quello delle masse, dettato da stimoli elementari, passionalità passeggere quanto instabili, gusto per l’eccesso, suggestionabilità adolescenziale. L’uomo nella folla, secondo il sociologo francese,  che tanti lettori di alto livello  ebbe anche in Italia tra le due guerre mondiali, tende a mettere in atto azioni e comportamenti, non importa se criminali od eroici, che assolutamente mai avrebbe fatto propri trovandosi ad agire da solo. E questo al di là di ogni considerazione logico-razionale. Ci sembra che nella nostra epoca l’individuo tenda ad agire, anche se isolato e soggetto di una vita scollegata rispetto alla società di cui fa parte, come se si trovasse fra la folla: mira all’immediato, reagisce a stimoli indotti in modo primitivo, segue semplici e sgangherate parole d’ordine abilmente orchestrate da altri, senza mai porsi quale elemento critico in grado di distinguere ciò che è rilevante e fondamentale da ciò che artatamente viene imposto come essenziale da quelli che possono essere definiti “persuasori occulti”. Si allude, in primo luogo all’informazione, che libera e indipendente non è, ammesso che lo sia mai stata, la quale, attraverso la cosiddetta agenda setting stabilisce a priori quali debbano essere i temi di irrinunciabile portata e quale la loro gerarchia. 

È esperienza comune notare come tutti i notiziari riportino i medesimi fatti, con analisi spesso identiche, utilizzando anche le medesime immagini. Si tende così a determinare un orizzonte al cui interno schierarsi, al pari di tifoserie da stadio, fra favorevoli e contrari rispetto ad un medesimo problema. In questo modo il singolo accetta la logica di fondo voluta, diventando, consapevolmente o meno non importa, parte organica al circolo mediatico stesso. Ma chi controlla ed organizza pro domo sua l’informazione?

Deep State e necessario nemico riequilbratore

Per esprimerci in termini semplici, un tempo si parlava di “sistema”, poi di “poteri forti”. Oggi si preferisce l’espressione “deep State”, ovvero Stato profondo, non palese, non sotto gli occhi dei comuni mortali. Qui il discorso si farebbe troppo lungo ed esula dai limiti del presente intervento: basti accennare al fatto che tale dimensione occulta, in cui convivono finanza speculativa apolide, criminalità organizzata, forze del “progressismo globalizzante, umanitario e solidarista”, lobbies varie, Chiese etc, è in grado di condizionare pesantemente, attraverso i governi e, appunto, i mezzi d’informazione (meglio sarebbe dire mezzi di scientifica e continua mistificazione della realtà) ogni tipo di decisione politica che, per volere usare terminologie ormai obsolete, dovrebbe, invece, derivare, almeno in Occidente, dalla sovranità popolare. Del resto tutto ciò fa parte della post-democrazia, luogo in cui un’opinione pubblica, ammesso che ancora esista, ha diritto di cittadinanza soltanto se si conforma in modo pedissequo al pensiero dominante imposto dal deep State stesso,e quindi, per definizione, giusto, equo e, soprattutto, conforme ad un pensiero che si vuole dominante ed è spacciato quasi fosse un dato di natura.
Chi non si conforma è comunque necessario a garantire l’equilibrio voluto: è un nemico dell’umanità, un odiatore seriale, un bersaglio da tenere sempre vivo e da colpire quando necessario. Tutto ciò distoglie l’attenzione da quanto realmente sta accadendo a livello mondiale: la volontà di potenza e di totale controllo da parte delle forze apolidi cui si faceva riferimento e di tutto quel complesso mondo di  volenterosi utili idioti al loro servizio.

Sembra che l’uomo contemporaneo viva volontariamente il modo d’essere descritto da Platone nel VII Libro della Repubblica. Schiavi incatenati nel buio profondo di una caverna trascorrono la vita di fronte ad immagini illusorie che vengono fatte passare per realtà effettiva. Per loro la verità è semplicemente ciò che viene  presentato. Nessuno mette in dubbio il valore oggettivo della messa in scena di cui sono vittime e, insieme, complici. Ma uno degli schiavi riesce a liberarsi e a rendersi conto che il mondo autentico si trova al di fuori della spelonca. Torna così dai compagni di sventura e tenta di spiegare loro che la vita nelle tenebre dell’ignoranza e dell’illusione non è la vera vita, ma una continua apparenza di entità fittizie: non viene creduto, ma emarginato quasi fosse un folle visionario.

Come gli schiavi di Platone, gli individui di oggi non mettono in dubbio che la “realtà” in cui si trovano sia l’unica possibile e accettabile e non quella voluta e imposta da altri soggetti, il cui dominio sui corpi e sulle anime dipende proprio, ed è di continuo corroborato,  dalla volontaria insipienza, scambiata per vera conoscenza, e acquiescenza acritica dei primi.

È la rappresentazione, costruita, potremmo dire per non scomodare il concetto kantiano di “sintesi a priori”, a tavolino da abili ingegneri sociali, a sostituire il mondo reale. E tale rappresentazione, sempre cangiante, allo stesso modo delle pallide immagini osservate dagli schiavi, viene ad essere l’oggetto di analisi, teorie, dibattiti, discussioni senza fine e senza senso autentico.

Intellettuali e politici: un corpo intermedio

Tornando al tema dell’informazione, ma meglio sarebbe dire della disinformazione o della manipolazione delle coscienze, è agevole, guardando il fenomeno con distacco, constatare delle tattiche costanti messe in atto per garantire il primato delle conventicole dominanti, siano esse quelle apparenti, siano esse quelle reali. Tendono tali tattiche ad un effetto di distrazione, attraverso la diffusione di notizie irrilevanti o idiote (eventi della casa reale britannica, pettegolezzo etc.) o foriere di paura e disagio (razzismo diffuso, fascismo serpeggiante, omofobie varie, persecuzione dei migranti etc.). Tutto ciò in sintonia con lo scientifico e vile occultamento di altre situazioni invece reali che, con ogni evidenza, è meglio censurare o considerare “fake news”.

Rifacendoci ancora al Le Bon, le masse hanno bisogno di essere guidate, per cui è preferibile utilizzare, come già si notava, un linguaggio povero, semplicistico, riduttivo, che veda la prevalenza del significante (la parola stessa) sul significato (l’oggetto che essa designa), che si basi  non sul ragionamento e la logica, ma  sull’emotività e il sentimento.

 L’assunto è che dominare il linguaggio equivalga a dominare lo stesso pensiero e, quindi, ogni   forma di atteggiamento critico e di comportamento conseguente. L’ideale è la creazione di un’opinione pubblica anestetizzata, prevedibile e pronta a farsi guidare da chi è in grado di influenzare e suggestionare sia a livelli di mode e abitudini, sia a livello di visioni generali. Ciò è ben compreso da coloro che controllano l’informazione egemonica nel mondo occidentale e non solo. Alludiamo, a titolo d’esempio, alla umanitaria e progressista (ovviamente) Bill Gates Foundation, in grado di lanciare parole d’ordine, favorevoli, tra l’altro, alla denatalità e alle vaccinazioni indiscriminate, che mettere in discussione costituirebbe eresia agli occhi della nuova Inquisizione dei Giusti.

Ciò conferma che, nel nostro mondo, intellettuali, politici illuminati, giornalisti a la page, sacerdoti lungimiranti, filantropi vari, costituiscono, utilizzando metodologie da guerra psicologica, una sorta di “corpo intermedio”, una cinghia di trasmissione fra chi detiene il potere reale e le masse da indottrinare, coartare, ipnotizzare, drogare nel corpo, nell’anima e nello spirito.

Qualcuno potrebbe affermare che la “rete”, con i suoi “social media” offra la possibilità di evadere dalla gabbia esistenziale in cui le autoproclamate élites cui abbiamo fatto riferimento, ci hanno rinchiuso. Ma è del tutto illusorio. Anzi risulta essere funzionale al sistema dominante. Tutto in rete è controllabile e controllato: dissentire attraverso tastiere è, in fondo, accettare la “logica imposta” e pagarne le conseguenze: a stabilire il “giusto” e l’obbrobrio sono i gestori delle varie piattaforme politicamente corrette. Al limite la presenza dei cosiddetti odiatori rafforza quello stesso status quo che si vorrebbe a parole distruggere attraverso Facebook, Instagram etc.

Missione primaria di colui che un tempo J.Evola definiva “uomo differenziato” dovrebbe essere quella dell’evasione consapevole, operando in primo luogo nella propria interiorità, da quel carcere che ci viene imposto e presentato quale natura eterna ed immutabile.

Per diverse ragioni la nostra epoca di dissoluzione, negando con enfasi tutto ciò che ci ha preceduto, si pone come un nuovo inizio, ma, come si è tentato di vedere, all’interno di coordinate predefinite. Ne consegue che, al limite, si squaderna un campo d’azione sterminato e potenzialmente fecondo che deve riguardare, in prima istanza, la riscoperta della nostra natura profonda, quella stessa che Moloch vorrebbe offerta in sacrificio.

Tratto da “Polaris – la rivista n.24 – NuovAnormalità” – acquista qui la tua copia

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