Riflessioni

PURCHÉ NON SIA SOLO IUS MURMURANDI – Il mezzo che non chiarifica il fine

L’ipotesi che il populismo possa avere una funzione terapeutica per la democrazia liberale, limitando l’astensionismo e la sfiducia nelle istituzioni, contraddice sia chi vede nelle derive populiste un pericolo per la democrazia e un’anticamera per nuove forme di dittatura sia chi, al contrario, attribuisce ad esse un potenziale rivoluzionario.

Al contrario, le derive populiste assolverebbero a una funzione sedativa, più che sediziosa, così come l’inasprimento del dibattito politico e la radicalizzazione del linguaggio nei social, ben lontani dall’essere sintomi di autentico distacco dell’elettorato dai valori democratici o della conquista del diritto ad esprimere un dissenso, non sarebbero altro che valvole di sfogo sapientemente usate dalle poliarchie.

di Pietro FalagianiCollaboratore presso la cattedra di Estetica dello Spettacolo dell’Università degli Studi di Milano, produttore esecutivo musicale

La figura di Caio Marzio Coriolano, così come essa si delinea nella vita plutarchiana e nel Coriolanus di Shakespeare, anticipa gran parte delle controversie che dalla seconda metà dell’Ottocento sorgeranno nel pensiero politico contemporaneo in merito all’uso strumentale del dissenso di massa, che nei secoli successivi, con l’imporsi dell’opinione pubblica, verrà prevalentemente interpretato come un mezzo per l’affermazione di un’élite piuttosto che libera espressione popolare rispetto all’operato di un regime politico. Nonostante le invettive di Coriolano contro i tribuni della plebe possano essere interpretate, superficialmente, come una critica alla democrazia in generale o come una reazione alle lotte politiche per ottenere un riconoscimento dei diritti plebei da parte del patriziato, emergono anche con chiarezza, dal suo apparato argomentativo, passaggi cruciali nella comprensione del fenomeno populista, ben lontani da un gretto reazionarismo.

Coriolano evidenzia due aspetti: da un lato l’elezione dei tribuni, “teste vuote (1)”, è illegittima, rompe un patto di suprema obbedienza non solo all’assemblea ma al bene della propria stirpe, dall’altro, essendo avvenuta durante la secessio plebis, “quando era legge non il giusto, ma l’inevitabile (2)”: una vera e propria forma di diserzione, una meschina sottrazione al proprio dovere verso Roma e il suo destino. L’impianto argomentativo di Caio Marzio Coriolano è volto a evidenziare, in piena consonanza con la drammaturgia elisabettiana e con la visione umanista rinascimentale, come merito e ruolo sociale predominante, che dovrebbero essere indissolubilmente legati l’uno all’altro, siano l’unica via per garantire unità e concordia poiché la nascita dell’individuo crea obblighi e le gesta che compie consolidano famiglia e ceto sociale, garantendo il bene comune. 

Machiavelli

Di parere opposto a Coriolano, Machiavelli, che nel IV capitolo del primo libro dei Discorsi spiega come “la disunione della plebe e del senato romano fece libera e potente quella Repubblica” perché la forza di una città è data dal suo potere militare, che per essere aumentato richiede l’estensione del diritto di cittadinanza e la concessione dei tribuni della plebe. La “concordia” di cui parla Machiavelli, che il marxismo bollerà come interclassismo, condannandola in quanto rinuncia alla lotta da parte del proletariato, e il fascismo chiamerà invece corporativismo e socializzazione dei mezzi di produzione, esaltandola proprio come perfezionamento del socialismo e superamento dell’odio di classe, per Machiavelli avrebbe il caro prezzo della debolezza sul campo di battaglia e della rovina, che definisce “il destino di Sparta”. Questa prospettiva assegna, paradossalmente, all’estensione del suffragio un ruolo di funzionalità a un disegno che resta oligarchico e totalitario, accusa di cui oggi, paradossalmente, è oggetto proprio il populismo da una prospettiva democratica e progressista, e ci offre una suggestiva interpretazione della sconfitta dei regimi non parlamentaristi che aspiravano all’unità sociale tra il secondo conflitto mondiale e il 1989 e la sopravvivenza delle liberal-democrazie.

La sostituzione dell’élite

Per autori elitisti come Mosca, Pareto e Michels, che scrivono in un momento storico in cui il suffragio universale e la società di massa si stanno imponendo a livello mondiale, il populismo è un acceleratore privo di contenuti autonomi nella sostituzione di un’élite con un’altra, è uno degli strumenti usati della minoranza organizzata per imporsi sulla maggioranza disorganizzata (3), “un modo che usano i partiti politici per attirare le turbe, per conservare sopra di esse il predominio e sfruttarne la credulità (4)” e non si lega, quindi, a nessuna élite in particolare. Il sostegno a battaglie populiste non riguarderebbe esclusivamente l’aspirazione a instaurare una dittatura ma, senza dubbio, l’adesione a battaglie populiste resta un atto subalterno a una oligarchia, a un soggetto che aspira all’egemonia politica.

Gramsci

Una correlazione diretta tra populismo e dittatura compare nell’articolo Il popolo delle scimmie del 1921, in cui Gramsci, citando una novella di Kipling, afferma che “la piccola borghesia si è definitivamente dimostrata nella sua vera natura di serva del capitalismo, incapace di svolgere un qualsiasi compito storico: il popolo delle scimmie riempie la cronaca, non crea la storia, lascia traccia nel giornale, non offre materiale per scrivere libri (5)”. Da questa prospettiva emerge un’idea di dittatura come regime d’emergenza necessario al capitalismo per trasformare il suo abito politico e preservarsi indenne in una fase di forti contrasti internazionali. Anche da questo punto di vista, il populismo non sarebbe la causa di una trasformazione politica antidemocratica in sé, bensì uno strumento tattico, volto alla creazione di un consenso politico verso una nuova forma di capitalismo, resa necessaria da un mutamento di scenario. Ricordiamo, tuttavia, che l’interpretazione del fascismo come fenomeno reazionario e del populismo come uno stadio transitorio verso di esso non era assolutamente scontata in quegli anni: basti pensare che la Reggenza del Carnaro, sostenuta anche da irredentisti come Cesare Battisti e da sindacalisti rivoluzionari come Filippo Corridoni, fu la prima a riconoscere la repubblica sovietica e che lo stesso Lenin riconobbe la funzione dell’arditismo popolare di acceleratore delle contraddizioni della borghesia e delle istanze rivoluzionarie, censurando il settarismo delle segreterie comuniste e socialiste italiane per non aver saputo infiltrare e prendere la direzione del movimento (6)

Ius murmurandi

L’interpretazione dello scenario politico di Robert Dahl, in parte derivata dall’approccio elitista, concepisce la lotta politica democratica come scontro tra poliarchie (7) e ammette che il populismo non sia esclusivamente una minaccia ma possa avere anche un effetto di consolidamento della democrazia liberale americana, in quanto elemento inclusivo e mobilitante di stratificazioni sociali marginali, abitualmente tagliate fuori dal dibattito politico e dall’opinione pubblica, quindi pericolose per la stabilità del sistema (8). Da questa prospettiva, l’ipotesi che il populismo possa avere una funzione terapeutica per la democrazia liberale, limitando l’astensionismo e la sfiducia nelle istituzioni, contraddice sia chi vede nelle derive populiste un pericolo per la democrazia e un’anticamera per nuove forme di dittatura sia chi, al contrario, attribuisce ad esse un potenziale rivoluzionario. Al contrario, le derive populiste assolverebbero a una funzione sedativa, più che sediziosa, così come l’inasprimento del dibattito politico e la radicalizzazione del linguaggio nei social, ben lontani dall’essere sintomi di autentico distacco dell’elettorato dai valori democratici o della conquista del diritto ad esprimere un dissenso, non sarebbero altro che valvole di sfogo sapientemente usate dalle poliarchie, qualcosa di simile allo ius murmurandi, il diritto di mugugnare, di brontolare e lamentarsi degli ordini ricevuti, che veniva concesso ai marinai dalla Repubblica di Genova a fronte di una riduzione della paga.

1. Coriolanus, p. 909, Milano 1987.

2. ibidem

3. Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino, Dizionario di politica, p.350, Milano 1976. 

4. Gaetano Mosca, Elementi di scienza politica, p. 313, Torino, 1923.

5. A. Gramsci, “Il popolo delle scimmie” in: L’ordine nuovo, 26 aprile 1921, cfr. S. Colarizi, Gramsci e il fascismo in: F. Giasi Gramsci nel suo tempo, Roma 2008, vol. 1, pp. 344-45.

6. Lo stesso Amedeo Bordiga, fondatore del Partito comunista italiano, tra il 1940 e il 1942 dichiarava a un agente della polizia politica sotto mentite spoglie di sperare in una vittora dell’Asse per sferrare il colpo mortale alla Gran Bretagna, potenza egemone definendo Mussolini “un rivoluzionario che è sempre stato contro la democrazia e contro la plutocrazia, che paralizzano la vita delle nazioni”. Cfr. R. Festorazzi, Bordiga, il leninista che sperava nell’Asse, Agorà, in: Avvenire, martedì 9 agosto 2016.

7. Cfr.R. A. Dahl – C.E. Lindbom, Politics, economics and welfare, Chicago 1953 e Democracy and Its Critics, Yale 1989. 

8. Cfr. Cristobal Rovira Kaltwasser, The ambivalence of populism: threat and corrective for democracy, Taylor & Francis online, 2012.

Tratto da “Polaris – la rivista n.22 – POPOLI SOVRANI” – acquista qui la tua copia

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