Riflessioni

AVETE DETTO LOTTA DI POPOLO? – Il populismo, questo sconosciuto

Il populismo non ha come obiettivo la restaurazione di una società del passato o di un sistema, non guarda all’Ancien Régime, non è reazionario.

Il suo traguardo è la resurrezione di una moralità perduta, di un tipo di vita sano e perbene.

Sono i valori tradizionali (la Famiglia, la Patria…) che ne illuminano il percorso.

L’impegno di lotta contro le oligarchie cosmopolite, contro il capitale apolide e plurilingue, contro le ingerenze e le manipolazioni di poteri e potenze estranei va di pari passo con la mobilitazione delle masse.

di Giuseppe SpezzaferroGiornalista

L’accusa di “populismo” rimbalza un giorno sì e l’altro pure da uno scranno all’altro e da un media all’altro. Chi la pronuncia, carica la parola di tutto il disprezzo possibile affinché sia chiara l’offesa. 

Attualmente “fascista” e “populista” se la battono alla grande per il primo posto nelle invettive di politicanti e loro supporter. Ma c’è una differenza. Il Fascismo ha una identità ed un percorso storico che il politologo e lo storico possono dettagliare nonostante le pregiudiziali ideologiche. Un antifascista militante riconosce che il Duce era Benito Mussolini e lo condanna alla damnatio perpetua. Per il fascista il Duce è figura sacra. Per il populismo non c’è né una identità, né un capo. L’uso dispregiativo del termine è una variante imposta al significato originario. Anche la collocazione nella geografia politica è molteplice: sia a “destra” che a “sinistra” sono nati e vivono movimenti populisti.

Definizioni

Una ricerca attenta porta ad una sola conclusione: l’anatema contro il populismo fu scagliato dall’intellighenzia marx-leninista e, come tante altre parole, è entrata nel linguaggio corrente come una parolaccia. Basta leggere il dizionario Battaglia (edizione 1986), che spiega:

«Populismo, sm. Stor. Movimento culturale e politico sorto dopo la metà del sec. XIX fra gli intellettuali russi che propugnavano l’emancipazione delle classi diseredate, in particolare dei contadini e dei servi della gleba, e il miglioramento delle loro condizioni di vita, insieme con vaste riforme dell’ordinamento politico e burocratico zarista, da perseguire con un’opera capillare di studio socioculturale delle popolazioni agricole, di educazione e di proselitismo, o anche, secondo una corrente estremista, con azioni violente, culminate nel 1881 con l’uccisione dello zar (e la repressione poliziesca e l’evoluzione delle idee socialiste e marxiste disgregarono nella sua dimensione politica il movimento, il quale però sopravvisse come atteggiamento sentimentale, e sotto tale aspetto, con il suo interesse per la vita degli umili, influenzò la letteratura e l’arte; a livello politico-ideologico Lenin e il comunismo sovietico polemizzarono duramente con le concezioni del movimento, pur recependone di fatto alcuni aspetti, per cui il termine assunse nella cultura marxista-comunista una forte connotazione negativa)».

In ambito politico, il Battaglia spiega: «Atteggiamento politico favorevole al popolo (…) adulando il popolo come depositario di tutte le virtù sociali e come vittima del cinico egoismo e dell’amoralità dei ceti dominanti, formulando proposte politiche atte a gratificare il desiderio di rivalsa da parte dello stesso popolo, ma non idonee a incidere efficacemente sui complessi problemi che pone la società moderna…».

Sul dizionario Gabrielli (edizione 1989), leggiamo:

«Populismo (pl. -smi), sm. Nome generico di vari movimenti politici e letterari (imitanti quello originario russo della seconda metà dell’Ottocento) tendenti ad avvicinare le classi colte alle masse popolari».

Sul dizionario Palazzi (edizione 1965) la parola non c’è. All’epoca, l’epiteto “fascista” pronunciato con odio era più che sufficiente. E il populismo era risparmiato (spesso perché ignorato).

Ludovico Incisa di Camerana (ambasciatore e sottosegretario agli Esteri nel governo Dini) nella voce che compilò per il Dizionario di politica (edizione 1990) scrisse: «Possono essere definite populiste quelle formule politiche per le quali fonte precipua d’ispirazione e termine costante di riferimento è il popolo considerato come aggregato sociale omogeneo e come depositario esclusivo di valori positivi, specifici e permanenti».

E ancora: «Le formule populiste risorgono ogni qual volta si assiste ad una rapida mobilitazione di vasti settori sociali, ad una politicizzazione intensiva al di fuori dei canali istituzionali esistenti».

Più o meno dello stesso tenore, le definizioni del sociologo statunitense Edward Albert Shils, secondo il quale il populismo «si basa su due princìpi fondamentali: la supremazia della volontà del popolo e la relazione diretta tra popolo e leadership».

Per il sociologo britannico Paul Willis, il populismo è «ogni credo e movimento basato sulla seguente premessa principale: la virtù risiede nel popolo autentico che costituisce la maggioranza schiacciante e nelle sue tradizioni collettive».

Interessante la posizione di Antonio Gramsci che scrisse: «Una lista delle “tendenze populiste” e una analisi di ciascuna di esse sarebbe interessante: si potrebbe “scoprire” una di quelle che Vico chiama “astuzie della natura”, cioè come un impulso sociale, tendente a un fine, realizzi il suo contrario». 

Alberto Moravia tirò in ballo la Rivoluzione culturale cinese e denunciò: «Il romanticismo volontaristico e populista di Mao non incontrò alcuna comprensione o solidarietà in Unione Sovietica». 

Pier Paolo Pasolini affrontò la questione dell’identità del populismo in pochi versi: «Se ora dà il suo amore / populista ai poveri, / è perché è fascista; / ma lo stesso amore / populista darà / se sarà comunista: / perché la verità / è ambigua, non mista».

Esclude la lotta di classe

In buona sostanza, il popolo non è una classe né una aggregazione di classi, giacché il populismo esclude del tutto la lotta di classe. E questo fa capire perché i “sinistri” orfani dell’Unione Sovietica colorino di livore e bile le crociate antipopuliste.

Il populismo, a parere dei politologi e dei sociologi, non ha come obiettivo la restaurazione di una società del passato o di un sistema, non guarda all’Ancien Régime, non è reazionario. Il suo traguardo è la resurrezione di una moralità perduta, di un tipo di vita sano e perbene. Sono i valori tradizionali (la Famiglia, la Patria…) che ne illuminano il percorso. L’impegno di lotta contro le oligarchie cosmopolite, contro il capitale apolide e plurilingue, contro le ingerenze e le manipolazioni di poteri e potenze estranei va di pari passo con la mobilitazione delle masse.

Il populismo disprezza gli assetti costituiti perché giudicati la sentina d’ogni male, il ricovero di persone cattive; la sua “filosofia” è l’anti-ideologia. 

I suoi punti di riferimento, le sue icone, sono gli uomini che sintetizzano e rappresentano le virtù popolari: l’Ardito, l’eroico soldato di truppe speciali esaltato dal Fascismo, il contadino-soldato tedesco celebrato da Junger…il descamisado nell’Argentina di Peròn. Scrisse infatti Evita: «descamisado è colui che si sente popolo». Nel libro “La razon de mi vida” (prima edizione italiana nel 1953) Eva Peròn, parlando degli «uomini comuni nemici di tutto ciò che è nuovo», i quali tentarono di contrastare la marcia del Partido Justicialista, racconta: «Non avevano fatto i conti con il popolo. Mai avevano avuto occasione di pensare al popolo, mai avrebbero immaginato che il popolo avrebbe potuto un giorno muoversi secondo la sua volontà e decidere del proprio destino».

Per il populismo, la divisione non è tra le “classi”, né tra la “destra” e la “sinistra”. C’è un popolo e c’è un non-popolo. L’èlite dell’establishment è il non-popolo, e perciò per definizione non può rappresentare il popolo; la vera aristocrazia, l’élite autentica è il popolo.

L’elemento nazionale

Storicamente è possibile anche individuare fenomeni di nazionalpopulismo e populismi rivoluzionari marxisti, ma tra loro non c’è una netta distinzione. Politologi e sociologi sono in generale d’accordo sul fatto che l’elemento nazionale tende a sopraffare nei populismi marxisti la dottrina rivoluzionaria e collettivista, per cui il risultato è lo stesso per ambo i generi: mettere la masse al servizio dello Stato-nazione. Ma questo è un altro discorso.

Tratto da “Polaris – la rivista n.22 – POPOLI SOVRANI” – acquista qui la tua copia

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