Riflessioni

PER UN’ESTETICA DEL RITORNO – Sonno e risvegli formali nella cultura europea

Guardare a ciò che, della cultura europea, è pervenuto fino a noi nella fase che precede la modernità, quindi dal Rinascimento al secolo successivo alla guerra dei trent’anni, vuol dire osservare una lunga stagione che racchiude, da un lato, la summa e la rivisitazione del pensiero classico, dall’altro lo compie e prepara la stagione della modernità. 

diPietro Falagiani –  Collaboratore presso la cattedra di Estetica dello Spettacolo dell’Università degli Studi di Milano, produttore esecutivo musicale

Siamo ancora capaci di vedere cosa ci rende unici? La domanda sull’unicità culturale europea è, probabilmente, la più necessaria di tutte. Senza una risposta ad essa la comprensione delle altre culture è, ovviamente, impossibile: così come non possiamo davvero aprirci all’altro senza conoscere noi stessi, nessun dialogo culturale può avvenire senza un ritorno a tratti differenzianti che nulla hanno a che fare con le conoscenze accademiche ed enciclopediche ma che esprimono una forza inconscia, un’aura non enunciata in forma sistematica che circonda e permea l’uomo pre-moderno. Solo attingendo ad essi potremo ricongiungerci al nostro destino, se mai ne avremo uno al di fuori di una lenta evaporazione dal sonno al nulla.

Hic et nunc

Guardare a ciò che, della cultura europea, è pervenuto fino a noi nella fase che precede la modernità, quindi dal Rinascimento al secolo successivo alla guerra dei trent’anni, vuol dire osservare una lunga stagione che racchiude, da un lato, la summa e la rivisitazione del pensiero classico, dall’altro lo compie e prepara la stagione della modernità. Questa fase è stata in seguito interpretata in base a categorie ad essa estranea, che hanno steso un velo di sonno sulla nostra unicità che si estende fino ai nostri giorni.

Nulla, infatti, è più lontano dalla comprensione dell’uomo antico delle categorie estetiche moderne di bello (1), di gusto individualistico (2) e di genio creativo (3). Riguardo alla lacerazione tra la modernità e il modo tradizionale di vivere gli eventi estetici Walter Benjamin, nell’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, descrive la caduta di quella che chiama ‘aura’ dell’opera d’arte tradizionale e coglie il nesso tra la diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione della sua epoca, che sono la radio e la fotografia, e l’incrinarsi della fruizione estetica antica e della comunicazione tradizionale. L’aura può essere definita, quindi, come “l’unicità di un istante di apparizione temporale, incompatibile con i bisogni sviluppati dalla società moderna” (4), infatti “anche nella più perfetta riproduzione manca qualcosa, l’hic et nunc dell’opera d’arte, la sua esistenza unica in un luogo particolare” (5). La riproducibilità tecnica orienta, quindi, non soltanto la produzione artistica, che diviene funzionale ad essa, ma anche la comunicazione politica e la propaganda ne sono profondamente permeate, si pensi, ad esempio, al comizio del primo Novecento o al ruolo svolto dalla cinematografia nella costruzione del consenso nella società di massa.

Uno straordinario esempio dell’aura di unicità del qui e ora, nella cultura europea che precede la modernità, è il veto, posto da Urbano VIII, alla riproduzione del Miserere di Gregorio Allegri al di fuori della Cappella Sistina. La partitura, gelosamente custodita tra le mura vaticane non poteva, infatti, essere copiata o portata al di fuori di esse, pena addirittura la scomunica, e la prassi esecutiva ne trasfigurava la sobrietà della forma scritta, rendendo l’opera, eseguita sempre a luci spente, ogni volta diversa e irripetibile.

Tra gli aspetti caratterizzanti della produzione artistica antica, la funzione comunitaria, quella rappresentativa e quella teoretico-retorica hanno un ruolo predominante. Esse si legano strettamente all’integrità dell’aura estetica e ben esprimono il ruolo sociale, formativo e gnoseologico che la fruizione estetica aveva assunto nella cultura tradizionale europea.   

La funzione comunitaria è la regola in base alla quale ogni fase dell’esistenza individuale, ogni giorno dell’anno spirituale, e persino i momenti più significativi di una giornata, dovevano essere scanditi da eventi fruitivi socialmente condivisi come il teatro, le danze di corte, la musica serale, le manifestazioni allegoriche e i concerti celebrativi di eventi sacri o profani. Per rendere tutto ciò possibile, venivano incaricate stabilmente figure preposte a organizzarli, con grande dispendio di risorse da parte di principi e commercianti. 

Emozione condivisa

Un esempio rilevante è la tradizione delle Abendmusiken a di Lubecca, serate musicali inizialmente organizzate in modo abbastanza modesto ma che, con l’arrivo di Buxtehude, ebbero un tale seguito da richiedere la modifica architettonica della chiesa in cui si svolgevano e da rendere necessaria la costante presenza di soldati per sedare tafferugli tra la folla che si accalcava all’ingresso. Le musiche serali di Buxtehude, delle quali, sfortunatamente, non abbiamo tracce testuali scritte, ebbero grande influenza sul giovane Johann Sebastian Bach, che nel 1705 compì un viaggio a piedi di quattrocento chilometri da Arnstadt, assentandosi per quattro mesi dal suo posto di organista “per comprendere vari aspetti della sua arte” (6), come scrisse egli stesso in una lettera pervenuta fino a noi.

L’aspetto fondamentale delle Abendmusiken era la commistione di musica strumentale e corale, solistica e di ensemble, di ispirazione sacra e profana che ispirò, molto probabilmente, le passioni di Bach e la musica lirica e corale nei secoli successivi. Un altro esempio della funzione sociale assolta dall’arte antica è il servizio offerto da Vivaldi presso il Pio Ospedale della Pietà di Venezia nel quale i maschi orfani o provenienti da famiglie che non potevano crescerli venivano avviati a mestieri e le ragazze al canto e alla musica: gran parte delle opere del sacerdote veneziano furono composte in questo contesto.

L’elemento rappresentativo è alla base, ad esempio, dei cicli pittorici a tema religioso o storico, da opere teatrali o musicali o da qualsiasi opera d’arte antica il cui fine ultimo è l’evocazione di eventi ed emozioni inaccessibili su un piano esistenziale. Il carattere rappresentativo della fruizione estetica antica, che emerge con chiarezza, ad esempio, nel genere musicale della Passione o nella drammaturgia elisabettiana, si distingue da quello moderno perché non ha per oggetto la descrizione di eventi vissuti abitualmente dal lettore o dallo spettatore, in cui il fruitore riconosce direttamente aspetti della propria esistenza, al contrario vengono messi in scena eventi e atti fondativi che trasfigurano le emozioni umane, immerse in una luce, storica o religiosa, e le rende assolute, con il fine di intensificare ed elevare le emozioni messe in scena. 

Ritrovare noi stessi

Il carattere teoretico-retorico di un’opera è quello che vede nell’arte una vera e propria scienza che deve estendersi, progredire ed essere impartita nell’educazione individuale. Se è sorprendente pensare che, a causa della fruizione rappresentativa caratteristica della cultura antica, opere teatrali e musicali grandiose sono state eseguite o messe in scena una sola volta e, pur essendo di grande complessità, sono state comprese e apprezzate in un modo radicalmente diverso dal nostro, che siamo abituati al contrario a fruirne ripetutamente, è altrettanto sorprendente che vi fossero opere di grande complessità destinate a un uso privato, domestico, che la loro conoscenza facesse parte dell’educazione delle giovani donne, che avrebbero in seguito avuto modo di allietare, con la loro esecuzione alla spinetta o al virginale, la vita famigliare.

È questo il caso, ad esempio, del Clavicembalo ben temperato o della raccolta di variazioni su un’aria, oggi note come variazioni Goldberg, e il fatto che siano considerate tra le opere di maggior difficoltà esecutiva mai composte rende l’idea della larga diffusione di conoscenze che ai nostri giorni sono riservate a una ristrettissima cerchia di esecutori professionisti.

Un altro aspetto riconducibile alla funzione teoreitico-retorica è quello del risveglio e dell’accumulo formale che si manifesta nel riuso e nell’assemblaggio, in un contesto nuovo, di elementi già esistenti grazie a una vera e propria forma di comunicazione tradizionale sotterranea, che è uno degli aspetti più caratterizzanti e suggestivi della cultura rinascimentale e barocca europea. Se è ben noto che i lavori shakespeariani derivano spesso da testi o rappresentazioni precedenti, il fenomeno della rielaborazione di inni rinascimentali è una costante nella produzione barocca e dimostra come ci sia continuità tra le due epoche.

Anche il riuso di opere precedenti nella produzione dello stesso autore non era nella cultura europea un segno di aridità ma anzi di fecondità creativa. Non è insolito, ad esempio in Bach, che composizioni destinate a ricorrenze e celebrazioni sacre siano aperte e inframmezzate da parti strumentali usate precedentemente, ad esempio, per l’uso profano di accompagnare danze di corte, a scopo didattico.

Nonostante il disfacimento comunicativo in cui siamo immersi, in quanto europei abbiamo molto da trovare in noi stessi. Ciò che è maturato in contesti irripetibili non necessariamente è anche inaccessibile, al contrario può risvegliarsi in una forma nuova e rinnovata: sta al nostro sguardo saper leggere e rielaborare l’essenza vivificante delle tracce che il tempo ci ha consegnato, essa è la nostra identità più essenziale e inattaccabile, persino da noi stessi e dalla nostra insaziabile attrazione per il nulla. In tal senso, lo sguardo più antico è il più giovane e innovativo di tutti proprio perché è il solo a riservarci un destino futuro.

1.  E. Burke, Indagine sul bello e sul sublime, Milano 1945

2.  C. Batteaux, Le belle arti ridotte a un unico principio, Milano 2002 

3.  “Nessun Omero, nessun Wieland può mostrare come facciano a sorgere ed a comporsi nel suo cervello le sue idee, ricche sia di fantasia che di pensiero; perché, non sapendolo egli stesso neppure può insegnarlo ad altri” I. Kant, Critica del giudizio § 47, p. 282 trad. it di A. Bosi, Torino 1993, p. 280

4. R. Rochiltz, The Disenchantment of Art: The Philosophy of Walter Benjamin, New York 1995

5. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino 2014

6. P. du Bouchet, Bach, la sublime armonia, Trieste 1994, p. 35

Tratto da “Polaris – la rivista n.21 – L’ITALIA DELLE TRINCEE” – acquista qui la tua copia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Language