Riflessioni

LE DUE FACCE DI GIANO – Lenin, Mussolini e la nazionalizzazione delle masse

Sia Lenin che Mussolini capirono in modo lucido e chiaro che le masse, coinvolte in prima persona dalle trasformazioni economiche e sociali del capitalismo che avevano impresso un’industrializzazione massiccia, volevano essere protagoniste anche sulla scena politica e sociale.

di Carlo Bonney Esperto di relazioni internazionali

All’entrata della Russia in guerra Lenin ebbe a dire: “lo Zar ha fatto il più grande regalo possibile alla Rivoluzione”.
In questa frase lapidaria è raccolta tutta l’essenza della tragedia della Prima Guerra Mondiale che travolse Imperi, Nazioni e Popoli e diede inizio ai grandi rivolgimenti rivoluzionari del Novecento.
Lo stesso pensiero deve averlo avuto tra il 1914 ed il 1915 un ancor giovane Mussolini che comprese come Lenin che l’intervento in guerra dell’Italia avrebbe cambiato la storia italiana ed europea nel giro di pochi anni.

L’utopia borghese della democrazia parlamentare

Eppure, tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, l’ottimismo incentrato sulla Tecnica al servizio del Progresso era molto diffuso in Europa: la Belle Epoque aveva abituato la borghesia ad un’agiatezza di costumi e di pensiero che non faceva di certo presagire un esito così drammatico di lì a poco.
La democrazia liberale oramai radicata in diversi Paesi, tranne che in Germania e nell’Impero austro-ungarico, mostrava di cogliere le aspettative di modernizzazione e di industrializzazione del capitalismo e ne interpretava la rappresentanza in Parlamenti assai ristretti in verità, in quanto a partecipazione popolare, limitandosi ad eleggere personaggi di rilievo dell’alta borghesia, non comprendendo la sua obsolescenza al cospetto dei tempi di acciaio che si approssimavano.
Una democrazia di stampo ancora elitario e di censo che scomparirà inghiottita dal fumo e dalle trincee della Grande Guerra per ricomparire brevemente e timidamente dopo Versailles, per essere nuovamente travolta dalla Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1945 quel tipo di democrazia liberale e nazionalista sarà rimpiazzata definitivamente  in Europa dalla democrazia di stampo americano, con tutt’altri presupposti e meccanismi di funzionamento più adatti agli eventi post-bellici.

La nazionalizzazione delle masse

Tornando all’accelerazione della spinta rivoluzionaria che la Grande Guerra contribuì ad imprimere in modo drammatico, sia Lenin che Mussolini capirono in modo lucido e chiaro che le masse, coinvolte in prima persona dalle trasformazioni economiche e sociali del capitalismo che avevano impresso un’industrializzazione massiccia, specialmente in Germania, in Francia e persino nella Russia zarista, volevano essere protagoniste anche sulla scena politica e sociale .
L’interventismo rivoluzionario in Italia ebbe questa specifica caratteristica: pur essendo all’inizio appannaggio di avanguardie artistiche e politiche, assai diverse tra loro,  esso riuscì a catalizzare l’allora incerta opinione pubblica ed ad indirizzarla verso la guerra , cogliendone tutta la valenza rivoluzionaria nei confronti dell’ordine liberale rappresentato dal titubante Governo Salandra e dai partiti conservatori.
Mentre il Partito Socialista sceglieva un neutralismo attendista e politicamente poco attraente, gli interventisti accesero i cuori e più che a Marx guardarono a Sorel ed a Proudhon .
Mussolini, infatti, comprese che la nazionalizzazione delle masse era un passo necessario storicamente e che la Grande Guerra rappresentava il guado da oltrepassare, per affermare la Rivoluzione nazionale e sociale.

La guerra rivoluzionaria

Allo stesso modo Lenin in Russia, pur partendo da presupposti fondati sulla teoria della lotta di classe, capì che il sistema zarista non garantiva più la tenuta dell’Impero, davanti alle trasformazione sociali ed economiche in atto e che la guerra avrebbe fornito l’occasione ad un avanguardia ben organizzata, quale erano i bolscevichi, di prendere  il potere e di abbattere lo Zar.
Lenin trasformò la guerra “imperialista” in guerra “rivoluzionaria” e poté anche confidare nella disastrosa disfatta dell’esercito zarista che coronò  il suo lavoro di  logorio ai fianchi e di sovvertimento.
Mussolini, invece, capitalizzò la guerra vittoriosa e lo spirito dei reduci delle trincee per dare la spallata al sistema liberale che pur uscito vittorioso dal conflitto, riproponeva interamente nel dopoguerra la sua incapacità di “nazionalizzare” le masse e di soddisfare le aspettative morali ed economiche del Paese.
Il crollo di un’epoca non riguardò quindi solo gli Imperi Centrali e l’Impero Ottomano, ma travolse anche un intero sistema politico e sociale nei Paesi dell’Europa centrale e meridionale che reputava, a torto, di poter  sopravvivere e riprendere le politiche di Clemenceau , di Lloyd George e di Orlando.
In pochi anni fu chiaro a tutti  che il sistema suddetto  era destinato a cedere il passo da una parte alle Rivoluzioni e dall’altro agli Stati Uniti d’America di Wilson e che l’Europa avrebbe cambiato definitivamente il suo volto e la sua Storia.

Tratto da “Polaris – la rivista n.21 – L’ITALIA DELLE TRINCEE” – acquista qui la tua copia

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