Riflessioni

PRIGIONIERI DELLE PAROLE – La crisi c’inchioderà fino a quando la intenderemo come vuolsi

La parola chiave oggi è CRISI. Sembra la sola parola in grado si spiegare ogni singola cosa che avviene su questo mondo.

“Crisi dal greco KRISIS – che tiene – a KRINO – separo”.

di Andrea Purgatorio

Questa volta mi limito riportare un articolo che ho trovato in rete e che ritengo esprima molto bene il mio punto di vista, anzi lo rappresenta in meglio.

Quando diciamo “crisi”

Le parole hanno un significato che varia a seconda dell’uso che se ne fa.

Leggendo la definizione di un lemma sul vocabolario appare tutto molto chiaro e definitivo, ma se consideriamo gli infiniti contesti e i modi in cui lo stesso viene utilizzato, tale quadro di certezze diventa più vago.

È come quando osserviamo un oggetto: a prima vista la sua immagine ci pare evidente e sembra stagliarsi sul contesto con confini netti e inequivocabili. Ma se fissiamo il nostro sguardo a lungo, i contorni cominciano a vacillare e a confondersi e l’immagine diventa qualcosa di instabile e fluttuante; più lo osserviamo più l’oggetto del nostro sguardo pare mutare.

Così con le parole: più le usiamo, pià il loro senso cambia.

Il sospetto, peraltro, avrebbe potuto coglierci già sfogliando le pagine del dizionario, prima ancora di esserci soffermati su una voce o su di un’altra: insomma, sono pagine e pagine di parole che servono a spiegare il significato di altre parole, sono tutte collegate, il senso di una serve a sostenere il senso dell’altra, è un grande intreccio fluido in cui, se si muove una piccola parte, cambia la forma del tutto.

Non necessariamente questo è un fenomeno del tutto innocente. Spesso chi parla ha bisogno di forzare il senso delle parole, di piegarlo alla propria logica.

Alla lunga, l’uso improprio diviene consuetudine e la consuetudine diviene regola.

No, non è per nulla innocente giocare con le parole, togliere loro il significato originale e sostituirlo con un altro. E così mentre parliamo, mentre pensiamo, un bel giorno ci troviamo a servirci di una parola, a usarla cercando di dire una cosa e ci troviamo a dire e pensare qualcosa di diverso, qualcosa che si è inoculato in noi assieme alla parola, esattamente come un virus.

La fabbrica del consenso questo lo sa: d’altronde “la propaganda è per la democrazia quello che il randello è per lo Stato totalitario” (N. Chomsky).

La parola chiave oggi è CRISI.

Sembra la sola parola in grado si spiegare ogni singola cosa che avviene su questo mondo.

Certo, la crisi esiste, non à un’invenzione dei media. Realmente stanno chiudendo fabbriche intere, altre aziende stanno licenziando in massa, i lavoratori in cassa di integrazione non sono mai stati cosìtanti e il peggio deve ancora venire.

Tutto questo succede perché c’è la crisi. Eh sì, con questa crisi d’altronde cosa potremmo aspettarci?

Ecco, è proprio questo il problema: usiamo la parola crisi, una certa idea di crisi, come giustificazione di qualcosa di ineluttabile che sta succedendo e in questo modo stiamo invertendo l’ordine dei fattori, sostituendo la causa con l’effetto. Diciamo: la crisi è la causa di tutti i problemi, facciamo passare la crisi e tutto si aggiusterà .

Certo, se la crisi è la crisi di un modo di vivere che non vogliamo cambiare, non pare esserci molta scelta se non subirla e tentare di limitare i danni. Ma siamo sicuri di volere questo?

È come se bevessimo 100 caffè al giorno e poi andassimo dal dottore a farci dare le gocce contro l’insonnia.

È come se stessimo cercando la formuletta contro l’insonnia, tutti, dai grandi guru della finanza a Obama, dal consiglio d’Europa ai governi cinesi e indiani, dall’industrialotto brianzolo al campesino messicano, tutti, persino Veltroni, tutti d’accordo a dire “fermiamo la crisi!”.

Nessuno che dica “non beviamo più caffè”?

Tornando al dizionario,  risalendo lungo le incerte piste dell’etimologia, proviamo a riprendere il senso di questa parola: “Crisi dal greco KRISIS – che tiene – a KRINO – separo”, “momento che separa una maniera di essere o una serie di fenomeni da un’altra differente” (da: www.etimo.it).

Ecco, lo sospettavo. Nell’idea di crisi erano incluse la nozione di problema e quella di superamento del problema. La crisi è tale proprio in quanto avviene questo passaggio.

Ora questo senso è stato decomposto, smantellato, fuso e colato in un nuovo stampo: al posto della nozione di superamento, che pare scomparsa, troviamo quella di accettazione.

Non male come ribaltamento.

E così andiamo avanti, a botte di caffè e gocce di sonnifero o per dirla meglio “continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato” (Francis Scott Fitzgerald Il grande Gatsby).

E ci sarà  sempre qualcuno pronto a metterci in crisi.

Tratto da “Polaris – la rivista n.9 – CRISI: COMBATTERLA O SUBIRLA” – acquista qui la tua copia

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