Antropologia Sociale

CARNEFICI E MARTIRI – Psicologia delle folle e psicagogia politica

Il governo dei tecnici non rappresenta la fine della politica, ma la riconduzione della politica alla retorica. Il mondo della tecnoeconomia è una cosa seria, e la politica ha, ormai, un ruolo ben preciso: quello di un’insieme di pratiche psicagogiche, o, per dirla con Noam A. Chomsky, di «fabbrica del consenso».

Ci troviamo di fronte a una divisione del lavoro amministrativo: ai tecnici il governo di uomini e di cose, ai politici l’elaborazione dello spettacolo delle «opinioni a confronto».
Ma nel momento in cui la finanza diventa auto-referenziale  perde di vista le basi materiali della convivenza globale, trascurando il fatto elementare che prima dello sviluppo conta l’assicurare la sopravvivenza e condizioni dignitose di vita.

di Francesco ingravalle – Ricercatore universitario e saggista

La crisi finanziaria è divenuta recessione in senso tecnico e comincia a toccarci, ora, da vicino facendo rinascere  le ‘diagnosi’ più diverse, con la consueta evocazione del ‘nemico nascosto’ che dominerebbe il mondo, naturalmente per affamare i ‘popoli’; regolarmente appaiono sullo schermo dell’immaginario collettivo i tenebrosi tecnocrati che tutto distruggono di quanto è «Vero, Buono, Giusto». La realtà è molto più complessa delle fiabe e della propaganda populistica, vecchia e «nuova».

I punti fondamentali che vorremmo proporre per pensare l’attuale crisi sono:

1) la crisi finanziaria è un momento tipico e ricorrente della dinamica del capitale finanziario, cioè del capitale fondato sul denaro che ‘muove’ lavoro (il famoso schema marxiano D-M-D’). L’esigenza di dilatare il credito per ragioni di stabilizzazione sociale, tipico delle economie ‘keynesiane’ e dello Stato sociale post-bellico (ma le premesse erano già poste nelle politiche finanziarie degli anni Trenta, soprattutto nelle politiche del fascismo italiano) si è scontrato  con la insostenibilità per la finanza pubbblica dello Stato sociale stesso. Motivo? Il serbatoio del Tesoro dello Stato è bucato. Per quanto ci si sforzi di riempirlo incentivando persino il gioco d’azzardo (“gioca il giusto”, “lasciatemi cantare con la schedina in mano/sono un italiano”) si paga lo scotto di una pubblica amminsitrazione non controllante (falsi ciechi, medicina legale spesso compiacente e conseguente deficit del settore assistenziale, demenzialmente unito a quello previdenziale), di una classe di managers  pubblici costosissimi e di una classe politica ben più costosa di quanto non dicano le cifre ufficiali, pur ragguardevoli, degli emolumenti destinati ai rappresentanti eletti dal popolo italiano.

2) La crisi dell’area Euro è stata salutata da qualcuno in modo non troppo intelligente come la possibilità di un riemergere delle monete nazionali e di una fne dell’Area-Euro. A parte il fatto che sono incomprensibili le nostalgie per la Lira e per l’uso della leva monetaria  da parte della Banca d’Italia, diciamo pure che una simile nostalgia è la nostalgia per i conti pubblici modificabili, alterabili, falsificabili al di là del verosimmile della seconda metà degli anni Sessanta e dell’intero periodo Settanta-Ottanta. Il sistema di corruzione emerso nel 1992 e salvatosi  per mezzo della cosiddetta Seconda Repubblica è soltanto l’ipertrofia di prassi ben consolidate nel sistema clientelare che ha fatto da barriera al blocco del Patto di Varsavia fino alla morte di quest’ultimo.

3) I governi tecnici sono l’unica soluzione là dove le questioni non sono di demagogia, ma di soluzioni che richiedono competenza. Non è la fine della politica, ma la riconduzione della politica alla retorica. Il mondo della tecnoeconomia è una cosa seria, e la politica ha, ormai, un ruolo ben preciso: quello di un’insieme di pratiche psicagogiche, o, per dirla con Noam A. Chomsky, di «fabbrica del consenso» (1). Ci troviamo di fronte a una divisione del lavoro amministrativo: ai tecnici il governo di uomini e di cose, ai politici l’elaborazione dello spettacolo delle «opinioni a confronto». La funzione dei tecnici è certamente politica, ma il loro ruolo politico non matura attraverso l’ordinaria dialettica democratica. Si tratta di personale della pubblica amministrazione che non deve la propria legittimazione all’ottenimento della maggioranza dei voti in una competizione elettorale, ma alla competenza scientifica nel quadro di un’economia che è la risultante della libera competizione delle lobbies sul mercato naazionale e, soprattutto, globale.

4) Se la psicagogia (e la demagogia  che l’accompagna) è diventata arte politica per eccellenza, come forse, neppure il più radicale dei Sofisti greci si sarebbe mai aspettato, tornano a essere oggettivamente centrali – anche se la scienza ufficiale se ne interessa poco – alcuni assunti della vecchia Psychologie des foules di Gustave Le Bon (1895), da Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) e della Tecnica della propaganda politica di Sergej Chakotin (1950), opere ben più feconde, oggi, della pur celebre (un tempo, e oggi dimenticata) opera di Vance Packard I persuasori occulti. Perché la ricoluzione telematica ha avuto come prima conseguenza, a trent’anni dal suo inizio e a ventisei dall’esordio di Internet, di trasformare l’intera rete dei connessi in una folla. Sembrano suggerirlo i comportamenti collettivi degli investitori nel corso dell’attuale crisi finanziaria, nel corso dello svolgimento delle rivoluzioni nel Nord-Africa e in Siria. Quasi in modo preveggente il sociologo Aldo Bonomi ha parlato, nel 1996 di «trionfo della moltitudine». Suggerisco di collegare queste riflessioni alla diagnosi sviluppata da Guy E. Débord nel 1988 sullo «spettacolare integrato» 

L’Italia è un ottimo punto di osservazione di questo processo complessivo: in esso i tecnici hanno raggiunto, temporaneamente o no, lo stabilirà il prosieguo degli eventi, una visibilità politica, a differenza di paesi ove l’integrazione fra politici e tecnici è ben più avanzata (come, a esempio, in Francia e nella repubblica Federale Tedesca).

Qualche definizione


Iniziamo da Le Bon. «In determinate circostanze, e soltanto in tali circostanze, un agglomerato di uomini possiede caratteristiche nuove ben diverse da quelle dei singoli individui che la compongono. La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di tutte le unità si orientano nella medesima direzione» (2). La rivoluzione industriale ha creato agglomerati metropolitani che facilitano la creazione di questo ‘essere istantaneo’ Di rincalzo Freud osserva che esistono folle transitorie (3) e folle durevoli (e fra queste ultime cita la Chiesa e l’Esercito), masse prive di un capo e masse sottoposte a un capo in veste istituzionale; certo, un capo, un demagogo, c’è sempre, magari per breve tempo; ma l’organizzazione stabilizza la transitorietà dell’essere-folla e crea una struttura operativa di tipo oligarchico, come rilevato dal sociologo tedesco, naturalizzato italiano, Robert Michels (4) basata sul culto della personalità del capo.

Ma le società capitalistiche, che sono il contesto di queste osservazioni, sono innervate sempre di più dall’economia finanziaria, l’economia del denaro. In proposito il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel scriveva nel 1889: che il denaro vive della connessione tra il sentimento della possibilità di fare e il desiderio che muove al fare (5) e al progressivo cadere delle inibizioni di ogni desiderio tipico dello sviluppo della società industriale. Il sentimento del possibile e il desiderio si uniscono nell’attrattiva del gioco d’azzardo (compresa la speculazione finanziaria) che caratterizza le società più sviluppate.

Guy Débord, dopo avere qualificato le società attuali come forme di vita nelle quali «tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione» (6) così definisce la società di fine anni Ottanta dello scorso secolo: «Il continuo rinnovamento tecnologico; la fusione economico-statale; il segreto generalizzato; il falso indiscutibile; un eterno presente» (7).

Per ultimo, anche se cronologicamente precedente Débord, va ricordato Chakotin scrive che è vero che una folla può essere trascinata ad un parossismo, ma «essa non agisce se non quando viene condotta, quando ci sono dei protagonisti che manovrano le sue reazioni, degli “ingegneri di anime”» (8).

Titoli e troni

Lo spazio ci obbliga a indurre a riflettere su un solo esempio elementare: il deprezzamento dei titoli di borsa. Abbiamo visto in pochi istanti  scendere o salire i titoli quotati in borsa, in seguito a dichiarazioni di capi politici o di eventi di particolare rilievo (in positivo o in negativo). Se tali titoli rappresentassero un valore reale (in termini di beni d’uso realmente esistenti e non semplici promesse o speranze di una loro esistenza) un fenomeno del genere sarebbe impossibile. I titoli quotati in borsa di cui stiamo parlando rappresentano delle aspettative di guadagno o dei timori  di perdite. Da che casa dipende che le aspettative siano soddisfatte e che i timori siano dissipati? Dall’andamento dei mercati. L’andamento dei mercati è l’interazione di speranze e di timori; un meccanismo studiabile attraverso il calcolo delle probabilità, certo, ma anche con gli strumenti della psicologia delle folle. La fantasia si è staccata del  tutto dalla realtà grazie al dispositivo noto ad Aristotele come “arte acquisitiva innaturale” nel libro I della Politica, l’arte acquisitiva che permette di creare denaro dalla pura circolazione di denaro. Il denaro stesso è una ‘promessa’ di beni o di servizi, strumento economico principe è un formidabile suscitatore di passioni, di stati d’animo nell’individuo separato dalla folla e nell’individuo in folla. Chi amministra il denaro amministra l’immaginario ed è in grado di amministrare le azioni collettive.

Ma esiste qualcuno che sia in grado di fare questo o il trono del governo del mondo è vuoto, da quando esiste un’economia in via di globalizzazione? Il carattere distruttivo delle crisi, il loro impatto che sta spingendo mondialmente i ‘non-garantiti’ a schierarsi con le forme più regressive e più distruttive di prospettiva politica (9) mostra che a livello dei vertici del potere finanziario mondiale non c’è la percezione di una situazione estremamente pericolosa. Eppure il FMI rappresenta un’autorità consultiva che funziona come una società per azioni i cui azionisti sono gli Stati e rispecchia, ovviamente, nelle proprie mosse, gli intendimenti dei possessori dei pacchetti azionari di maggioranza. Su scala mondiale si sta verificando quella stessa serie di circostanze che spinsero, soprattutto negli anni Sessanta del secolo scorso a sviluppare ulteriormente lo Stato sociale: l’utilizzo, grazie alle politiche neo-keynesiane, dell’economia e della finanza come basi per realizzare ammortizzatori sociali. Ma nel momento in cui la finanza diventa auto-referenziale e perde di vista le basi materiali della convivenza globale, trascurando il fatto elementare che prima dello sviluppo conta l’assicurare la sopravvivenza e condizioni dignitose di vita per ogni uomo (è evidente, ormai, che lo sviluppo non assicura né la prima, né le seconde) sembra di trovarsi di fronte a qualcuno che voglia convincere chi dorma in un rifugio per senza casa a mettere da parte i risparmi per acquistare una Mercedes che gli permetta di andare dal dormitorio alla mensa dei poveri e viceversa.

Del resto, Zygmunt Baumann ha scritto molto efficacemente: «Se lo Stato sociale oggi si vede tagliare i fondi […] è perché le fonti di profitto del capitalismo si sono spostate, o sono state spostate, dallo sfruttamento della manodopera operaia allo sfruttamento dei consumatori» (10). La molla del consumo di massa è la fantasia, l’illusione, il fare e il non pensare alle conseguenze di quello che si fa, il prendere la vita come un gioco d’azzardo, senza ricordare che, nel gioco d’azzardo, il banco vince sempre. Con buona pace delle folle che sperano, temono e, soprattutto, giocano. Che cosa accadrà quando comincerà a emergere la delusione di massa, nel corso dell’attuale recessione? Demolita la funzione di educazione razionale svolta dalla scuola pubblica, l’emergere di comportamenti di massa è un fenomeno che non dovrebbe essere sottovalutato da chi si occupa scientificamente di politica economica e di politica tout-court.

Diamo la parola a Le Bon: «La folla diventa facilmente carnefice, ma altrettanto facilmente martire.» Prospettiva poco promettente, non c’è dubbio.

1. Cfr. N. A. Chomsky, Linguaggio e libertà, tr. it., Milano, Il Saggiatore, 2010; N. A. Chomsky-E.S. Herman, La fabbrica del consenso, ovvero la politica dei mass media, Milano, Il Saggiatore, 2008; N. A. Chomsky, Illusioni necessarie. Mass media e democrazia, tr. it., Milano, Eleuthera, 2010.

2. Cfr. G. Le Bon, Psicologia delle folle, tr. it. di Gina Villa, Milano, Longanesi, 1980, p. 46.

3. Non è di poca importanza che Freud, che ben conosce la lingua francese traduca l’espressione di Le Bon Psichologie des foules con il tedesco Massenpsychologie

4. Cfr. R. Michels, Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie.  Untersuchungen übe die oligarchischen Gruppenlebensr , 1911, tr. it. La sociologia del partito politico, torino, UTET, 1912, parte prima, cap. IV.

5. Cfr. G. Simmel, La psicologia del denaro, tr. it. Padova, Edizioni di Ar, 2007.

6. Cfr. G. E. Débord, Commentari sulla società dello spettacolo e La società dello spettacolo, tr. it. Milano, Sugarco Edizioni, 1995, p. 85.

7. Ivi, p. 19.

8. Cfr. S. Chakotin, Tecnica della propaganda politica, (1952 (edizione rimaneggiata; ed. originale1938), tr. it. Milano, Sugar, 1964,  p. 145.

9. Cfr. il pur discutibile Paul Berman, Terrore e liberalismo, tr. it. Torino, Einaudi,  2004. 

10. Cfr. Z. Baumann, Capitalismo parassitario, tr. it. Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 27. 

Tratto da “Polaris – la rivista n.9 – CRISI: COMBATTERLA O SUBIRLA” – acquista qui la tua copia

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