Diritto

MOVIMENTI E LEGGI – L’Europa non corre ad alta velocità e non serve aver paura

L’obiettivo di una centralizzazione politica ed economica cotanto auspicata dalla grande Europa, tende ad allontanarsi da un’eventuale fase di concretizzazione, soprattutto finchè sopravviverà la tendenza del ricorso all’emendamento.

Forse sono proprio queste le vere ombre che si nascondono dietro al Trattato di Lisbona e dietro l’utopia velleitaria di un sommo egualitarismo tra Nazioni.

di Caterina Carangelo Lisilaureata in giurisprudenza, collaboratrice a corsi extra accademici di formazione in criminologia, legislazione antimafia, diritto delle società e della previdenza sociale

Quando pensiamo che il nostro è un continente che ci regala sempre delle sorprese inaspettate, non sbagliamo affatto. La vediamo così, vestita di un’aria apparentemente subdola ma solida come il terreno che la sostiene, l’Europa che oggi ci appartiene è “unica”. Unica la moneta, unica la cittadinanza, unico il mercato. E’ bene dunque soffermarsi su quest’ultimo carattere che, oltre a desumersi dalla vigente normativa comunitaria inerente alla circolazione dei capitali, delle persone e del lavoro, si estrinseca anche nel principio di libera circolazione delle merci. 

L’istituto in questione ha come oggetto la totale abolizione del controllo sui movimenti di merci tra i vari Stati membri, coadiuvando questi ultimi in un unico territorio caratterizzato dall’assenza di frontiere. La ratio dello sdoganamento è data dalla necessità di favorire gli scambi intracomunitari tra una Nazione e l’altra mediante l’abolizione delle scorse tariffe doganali, favorendo così un notevole incremento dell’importazione e dell’esportazione delle merci, due pilastri di importanza inarrivabile nell’ambito economico, sociale e funzionale dell’Unione Europea. 
L’attuale soluzione agli intoppi doganali è stata disposta dall’art. 3 comma 1 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, il quale dispone l’eliminazione, tra gli Stati membri, degli ostacoli posti alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.

La suddetta disposizione è approfondita negli artt. 28 e 29 del medesimo Trattato, i quali vietano rispettivamente le restrizioni quantitative all’importazione ed all’esportazione nonchè qualunque misura di effetto equivalente. 

Inoltre, gli artt. 23 e 31 del Trattato CE, che sanciscono lo sdoganamento degli scambi, dispongono l’unione doganale come principio primario della prassi comunitaria, oltre a caposaldo di un’economia di mercato basata sulla collaborazione e sulla cooperazione tra i vari Stati. 
Di notevole importanza sono i passaggi che hanno indotto il legislatore comunitario all’adozione di questa normativa, avvenuta in maniera progressiva, tutt’altro che autopoietica, dapprima mediante la soppressione delle barriere fisiche e fiscali, in seguito mediante l’abolizione delle barriere tecniche, ma soprattutto degli ostacoli tariffari e non tariffari. Utile, in questo caso, è la distinzione tra questi due tipi di incagli burocratici ed economici.

Per ostacoli tariffari si intendono i dazi doganali a carico del contribuente, o tasse di effetto diretto ed equipollente, aboliti nel gennaio del 1968. Trasversalmente ai primi, gli ostacoli non tariffari sono quelle restrizioni quantitative relative all’importazione/esportazione delle merci in transito.

La differenziazione tra i due handicap testè citati è desumibile dalla natura differente che caratterizza gli uni e gli altri, nonché dall’eterogenea disciplina a cui fanno riferimento. Ciononostante, malgrado la ricca normativa – e la vasta mole di articoli e commi del Trattato – la giurisprudenza ha avuto bisogno di una maggiore definizione, operata in seguito dalla Corte di Giustizia che, seguendo delle elaborazioni ad hoc, ha provveduto ad arricchire l’ambito di applicazione del principio ampliandone maggiormente la nozione, favorendo così l’inclusione nella fattispecie di qualunque onere che, solo apparentemente, non costituisca discriminazione o un peso per una situazione di scambio fluida e “corretta”. 

Anche l’art. 90 del Trattato CE sembra avere una pretesa applicativa nel porre un veto agli Stati membri di optare per scelte di mira protezionistica riferita ai prodotti della propria Nazione. 
Ci si chiede spesso quale sia il motivo che ha portato a questo esplicito divieto, dato che parlare di protezionismo in una Comunità che ha sposato la filosofia dell’unico sembrerebbe, a prima lettura, un po’ bizzarro. D’altronde, nelle strisce di frontiera interna non è previsto più alcun controllo sulle merci in transito, o meglio, non è previsto un Controllo con la C maiuscola, ma resta intatto un potere di vigilanza attenuato, nel rispetto del regolamento CE n. 2913 del 12 ottobre 1992, meglio noto come “Codice doganale comunitario”, ovverosia quella sorta di codificazione unitaria che compendia i vari scampoli di normativa inerente al principio di libera circolazione, e che semplifica la consultazione della stessa. Davanti a questa inarrestabile marea, resta uno spazio sufficiente per le dovute deroghe in materia, applicabili nei casi in cui gli oggetti dello scambio possano essere cause di pregiudizio alla pubblica salute o di oggettivo pericolo per l’ambiente. Spesso però, eccezioni di questo tipo rischiano di essere piegate, ex interpretatione, fino a costituire vere e proprie clausole codicillari. E ciò succede specialmente nei casi in cui lo scambio rappresenti una situazione pregiudiziale dell’ordine pubblico. Tuttavia, l’obiettivo di una centralizzazione politica ed economica cotanto auspicata dalla grande Europa, tende ad allontanarsi da un’eventuale fase di concretizzazione, soprattutto finchè sopravviverà questa tendenza del ricorso all’emendamento.

La fattispecie non lascia granchè spazio all’immaginazione, risulta evidente e scontato quale sia il centro d’imputazione in questo caso. Più ci si avvicina alla vetta e più lontano è l’orizzonte. Forse questa sensazione di stasi deriva da una cattiva abitudine del Sistema Europeo, che è solito lanciarsi con così tanta spinta da rimbalzare e, sovente, ritornare fermo al punto di partenza. 

Da un’analisi obiettiva, emerge la caducità del modus operandi dell’Europa. Per poter ripagare le fatiche della Comunità con il raggiungimento di una perfetta centralizzazione politica, il primo passo da muovere sarebbe quello orientato verso la semplificazione e verso la soppressione di deroghe che, da varie posizioni, contribuiscono a rendere inattuabile un sistema unitario tout court.

La libera circolazione, in tutte le sue accezioni, deve operare secondo uno standard normativo che non inciampi ad ogni tranello burocratico ed istituzionale, favorendo così un sistema economico-politico unitario, un apparato non bisognoso di bypassare ogni sua arteria. Centralizzazione non è sinonimo di egualitarismo, tantomeno di riproposizione del modello statunitense, bensì regolarizzazione dell’ordinamento e scorrevolezza della disciplina. D’altronde, sarà una delle ultime sue fatiche e, se dovesse riuscire nell’intento, la condizione del mercato unico risulterà perfettamente concorrenziale oltre ad idonea nell’autogestirsi e nell’affrontare, lasciando definitivamente il buio substrato dal quale può solo scorgere il caleidoscopio oltreoceanico. La nostra Europa è questa, divisio et compositio. 

Non corre ad alta velocità, e non serve aver paura. 

Tratto da “Polaris – la rivista n.2 – STRADE D’EUROPA” – acquista qui la tua copia

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