Riflessioni

OCCIDENTE – Origini e significato di un mito

Restano indeterminati i confini del mondo occidentale, che non arriva mai ad acquistare una chiara configurazione geopolitica. La Russia ne viene esclusa, sebbene si riconosca che la sua arte e la sua cultura sono integrate nel patrimonio della restante Europa. 

La retorica dell’Occidente agisce lungo quattro secoli, dal Cinquecento all’Ottocento, per la celebrazione del nucleo essenziale europeo. Poi traversa l’Atlantico, e viene utilizzata in funzione della potenza economica e militare degli Stati Uniti, ora contro il comunismo, ora contro l’”islamofascismo”.

Va riconosciuto nell’occidentalismo un mito politico, non una categoria storiografica, utile a spiegare il passato e a giustificare il presente. Chi ama il terreno della concretezza storica e politica deve orientarsi diversamente, verso una collaborazione e concorrenza fra diversi centri di potere mondiale, tra cui figuri un’Europa autonoma, padrona di se stessa.

di Domenico CaccamoProfessore universitario di storia dell’America del nord presso l’Università “la Sapienza” di Roma, già professore di lingue e storia dell’Europa dell’est

Il termine “Occidente”, con tutto il seguito dei suoi derivati – “civiltà”, “cultura”, “tradizione occidentale” (“Western patrimony”, corrispondente al retaggio biblico giudeo-cristiano) – è un elemento essenziale del linguaggio politico odierno. L’immagine di un Occidente unito a difesa di valori condivisi, come il pluralismo partitico e la libera economia di mercato, è stata impiegata come un’arma ideologica e propagandistica puntata di volta in volta contro gli antagonisti di turno della potenza americana. 

Durante la guerra fredda la solidarietà occidentale era invocata contro il comunismo sovietico. Nel corso dei due mandati del presidente George W. Bush, corrispondenti all’alta marea del gruppo neoconservatore, era mirata contro il cosiddetto ”islamo-fascismo”, per il rovesciamento del regime iracheno di Saddam Husein. Oggi l’Occidente, facendo suo il punto di vista dello Stato di Israele, identifica il pericolo maggiore ed il nemico da abbattere nella Repubblica Islamica dell’Iran: Ahmadinejad prende il posto di Saddam Husein. E’ inaccettabile per la Casa Bianca che il governo di Teheran possa disporre dell’arma atomica; forse ancor meno accettabile dell’eventualità che i talebani tornino in auge a Kabul. Riferendo sui disordini scoppiati a Qom e Isfahan per le esequie dell’ayatollah riformista Montazeri, il Washington Post indica nell’Occidente un baluardo contro l’invadenza del regime “clericale” iraniano e contro la sua politica nucleare.

E’ tipica della pubblicistica occidentale la tendenza a porre in prospettiva ideologica ogni conflitto di interessi. Secondo il Times di Londra, non si combatte oggi in Somalia una guerra di interessi postcoloniali contro una insurrezione di nazionalismo etnico, bensì una lotta di opposti princìpi, l’uno positivo e l’altro negativo: tra il “West” e l’”anti-West”, tra civiltà e barbarie. 

Dalla parte opposta, nel mondo islamico, si verifica un rovesciamento di posizioni: qui, sotto la categoria di Occidente è compreso tutto quanto si avverte come estraneo e detestabile. Riferiva sotto Natale il Washington Post la misera condizione della minoranza cristiana in Iraq, accusata dalla maggioranza sciita di minare la compattezza del paese, tradire la causa del popolo oppresso, prestare aiuto agli invasori. Questo carico di accuse viene riassunto in termini di anti-occidentalismo: agli occhi degli iracheni di fede islamica i compatrioti cristiani non sono altro che “lacché dell’Occidente”.

Restano indeterminati i confini del mondo occidentale, che non arriva mai ad acquistare una chiara configurazione geopolitica. La Russia ne viene esclusa, sebbene si riconosca che la sua arte e la sua cultura sono integrate nel patrimonio della restante Europa. Nel momento della controversia con l’Ucraina sul prezzo e sul transito del gas di produzione russa verso il cuore industriale del continente, e poi durante la breve guerra in Georgia, la stampa d’America e d’Europa escludeva ogni rapporto con l’ambito culturale e politico russo. Dopo il “reset”, grazie alla rinuncia al programma di installazioni antimissile in Polonia e nella Repubblica Ceca e grazie alla disponibilità di Mosca a concedere libero transito ai rifornimenti militari per i contingenti americani in Afghanistan e Pakistan, molto è cambiato. Ma non tutto: nella considerazione occidentale la Russia resta ancora sospesa, senza che le venga riconosciuta un’appartenenza e riconosciuto un ruolo nel sistema delle relazioni internazionali.

La consistenza dell’Occidente è dunque un mito, sostenuto da interessi contingenti. Ma va detto che le origini del mito sono ben lontane nel tempo. Due epoche vanno distinte nella storia del mito occidentale. Per un lungo periodo, a partire dalla geopolitica rinascimentale, che contrappone la barbarie del dispotismo asiatico alla “polizia” europea (cioè alle istituzioni della vita civile maturate nel mondo neolatino e germanico), fino alla sociologia di Max Weber, che mette a confronto le strutture sociali dell’Europa del centro e dell’ovest con quelle del mondo extraeuropeo, l’occidentalismo non è altro che eurocentrismo: l’idea di una eccellenza dell’Europa nel dominio della scienza, della tecnica e delle arti circola con la stessa intensità tanto negli scritti dei viaggiatori e dei politici del tardo Rinascimento, quanto nelle filosofie della storia dell’età romantica. 

Tutto cambia sul finire dell’Ottocento, nel momento che gli Stati Uniti salgono al livello di prima potenza industriale ed entrano in gara per l’acquisto di mercati e colonie. Ora il “West”, che nel linguaggio politico americano designava in origine lo spazio della frontiera aperto all’energica iniziativa dei coloni (“American West”), si dilata fino a comprendere tutto un complesso di nazioni, posto sotto la guida dei due rami della razza anglosassone, insediati nel continente nordamericano e nelle isole britanniche. L’America si appropria dell’Occidente e rivendica la leadership del mondo civile. Il primo atto di questo dramma si compie in occasione dell’intervento congiunto delle potenze imperialiste per la repressione della rivolta dei Boxer e l’apertura del mercato cinese al commercio mondiale (1900-1901). L’esaltazione dei “popoli occidentali”, economicamente e culturalmente evoluti, s’impone allora nella pubblicistica e nel giornalismo americano. 

Il secondo momento di questo ratto dell’Occidente da parte della potenza nordamericana si realizza a distanza di mezzo secolo con l’organizzazione del Patto Atlantico. E’ il segretario di Stato Dean Acheson che rivendica agli Stati Uniti il controllo sui paesi europei sottratti all’influenza sovietica: nel momento dei miracoli economici essi rappresentavano, a suo dire, “la più vasta concentrazione al mondo di lavoro qualificato”.

In sostanza, la retorica dell’Occidente agisce lungo quattro secoli, dal Cinquecento all’Ottocento, per la celebrazione del nucleo essenziale europeo. Poi traversa l’Atlantico, e viene utilizzata in funzione della potenza economica e militare degli Stati Uniti, ora contro il comunismo, ora contro l’”islamofascismo”. Va riconosciuto nell’occidentalismo un mito politico, non una categoria storiografica, utile a spiegare il passato e a giustificare il presente. Chi ama il terreno della concretezza storica e politica deve orientarsi diversamente, verso una collaborazione e concorrenza fra diversi centri di potere mondiale, tra cui figuri un’Europa autonoma, padrona di se stessa. E’ inevitabile che l’idea di Europa entri in conflitto col falso mito occidentale.

Tratto da “Polaris – la rivista n.1 – LA PRIMA VERA” – acquista qui la tua copia

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