GUERRA CIVILE EUROPEA – Prima occulta poi palese, vera permanente rivoluzione trotskista
La caparbietà e il rigore intellettuale di Ernst Nolte hanno consentito che il ricorso alla categoria di Guerra dei trent’anni e a quello di guerra civile europea, insieme al lavoro storico e filosofico di Carl Schmitt, vero testimone del secolo, facessero breccia in una certa misura nel muro del conformismo e del perbenismo intellettuale imperanti almeno dall’epoca di Yalta.
di Attilio Cucchi – Saggista
“Tu pensi che sia questo che dobbiamo fare, Wim? Continuare a guardare? Pensi che il tempo dei Freikorps non finirà mai?” Franke diradò il fumo con una manata. “Penso che la guerra non abbia portato a termine il suo compito. Che sia finita troppo in fretta. E molti pensano che non sia finita affatto. C’è il senso di qualcosa di decisivo che si sta preparando, Kurt”.
Queste battute, fra le prime di un giallo uscito quest’estate (1), suggeriscono l’idea che almeno nelle menti degli europei non si sia ancora del tutto conclusa quella che venne definita guerra civile europea e che, iniziata nel 1917, si protrasse sotto varie forme e con alterne vicende almeno fino al 1989, sebbene in senso stretto la sua conclusione possa essere situata nel 1945.
La storia è ambientata nella Monaco dell’autunno 1920, e pare di capire che siamo in presenza dell’ennesimo investigatore antifascista che non vuol seguire la corrente (2). Il sunto della quarta di copertina suggerisce infatti che “lui non si rassegna all’idea che per fare pulizia siano giustificate certe scorciatoie. Le stesse che qualcuno va predicando per la Germania”.
Detto che il romanzo risulta comunque interessante, questo sconfinamento nella giallistica ha il solo scopo di sottolineare come ancora oggi una giuria possa entusiasmarsi in presenza di un testo letterario che accanto alla citazione colta del film Il gabinetto del Dottor Caligari ponga l’eco dei moti spartachisti e della repubblica dei consigli di Baviera. Ovvero, possa persistere in quello strabismo ideologico che comunque è spesso sotteso a un certo filone letterario ed è inevitabilmente legato a quella visione manichea che caratterizza tutta la ricostruzione della storia del Novecento europeo e non solo.
Questa visione persiste nonostante storici come De Felice e Nolte, pur coi loro limiti e le loro contraddizioni, abbiano cercato di superarla, osservando anche il legame fra l’esperienza della trincea e lo sviluppo dei movimenti nazional-rivoluzionari da un’altra angolazione e nella loro più complessa dimensione europea.
Nolte e la guerra civile europea
Ernst Nolte ha proposto la formula della guerra civile europeaper delineare un processo lungo e articolato in tutte le pieghe della storia dell’Europa del XX secolo, segnata da quella sorta di Guerra dei Trent’Anni iniziata di fatto nell’agosto 1914 e diffusasi in seguito in quasi tutte le nazioni del vecchio continente, teatro di una conflittualità di tipo ideologico non diversa da quella delle antiche guerre di religione.
È possibile sostenere che questa spaccatura prodottasi nelle varie realtà nazionali anche come portato di contraddizioni precedenti sia legata alla vicenda della Prima guerra mondiale, ne rappresenti un derivato e si manifesti o possa comunque ripresentarsi ancora oggi?
Probabilmente no se ci si ferma alla dimensione concreta dello scontro fisico, all’aspetto militare e politico, anche se fenomeni come la guerra in Ucraina sono ancora lì a ricordarci un passato che, almeno in Europa orientale non è ancora completamente passato.
Se però si considera la sostanziale continuità delle politiche statunitensi e mondialiste, risalenti a tutto il periodo precedente il 1917, e tese non solo a impedire, come già la potenza marittima britannica, l’affermazione di una potenza egemone sul continente, ma a produrre continue e insanabili fratture fra le nazioni europee, si dovrà allargare lo sguardo tentando di cogliere la continuità e l’intreccio di certe tendenze. Si dovrà farlo, nonostante quello di guerra civile europea sia un concetto che, frutto di una determinata filosofia della storia, fatichi ancora a essere del tutto acquisito, e la stessa cosa si potrebbe d’altronde ancora dire per le singole situazioni nazionali.
Ciò è stato naturalmente determinato da una precisa egemonia culturale, ma anche dal fatto che la stessa periodizzazione di quella guerra risulta comprensibilmente arbitraria e fluida, come pure oggi, nel terzo millennio, la natura dei suoi attori e l’intreccio delle loro finalità si rivelano mutevoli.
La semplice osservazione del flusso della storia può indurre a enfatizzare banalmente certe analogie, ma se la politica europea è stata spesso contrassegnata da conflitti di religione, interstatuali o nelle singole nazioni, è solo a partire dalla rivoluzione bolscevica che la stessa competizione fra partiti politici viene ad assumere una dimensione di guerra totale, individuando nell’avversario politico il nemico assoluto e perseguendone l’annientamento militare.
La vocazione internazionalista del bolscevismo trovò terreno fertile in un continente lacerato da contese territoriali irrisolte, da odii secolari, ma diffuse in modo endemico una frattura profonda nelle singole nazioni.
Guerra occulta e società liquida
Nolte si riferiva specificamente al contrasto fra nazionalsocialismo e bolscevismo, a un ben preciso arco temporale, ma non solo le ferite apertesi non si rimarginarono immediatamente, ma dovevano aprirsene di nuove, basti citare le rivolte anticomuniste del 1953 in Germania e del 1956 in Ungheria, per non parlare del dramma dell’esodo dal Baltico, coi suoi otto milioni di profughi e, su scala minore, di quelli istriani. Va da sé che la guerra civile spagnola, oltre ad aver rappresentato un terreno di prova della Seconda Guerra Mondiale fu il primo vero grande teatro di quella europea, un capitolo a parte ma non separato.
Tutta la fase successiva agli accordi di Yalta ha avuto sicuramente caratteristiche diverse ma ha assunto anche il significato di una continuazione della guerra civile europea, ed è stata percepita comunque in quanto tale, con tutte le inevitabili ricadute in senso ideologico e della psicologia di massa.
Inoltre, se si sposta l’angolazione da cui si osserva lo svolgersi del processo storico in Europa nella prima metà del XX secolo, si può cogliere il carattere poliedrico dello scenario e, insieme alle diverse situazioni storiche e geopolitiche, una maggiore ampiezza temporale di quello proposto dallo storico tedesco. Questo perché fenomeni storicamente definiti come i fascismi europei sono a loro volta attraversati dalla corrente sotterranea della lotta fra Europa e Antieuropa, Tradizione e Sovversione, secondo dinamiche manifestatesi in modo eclatante nell’ultima fase della Prima Guerra Mondiale, ma in gestazione da qualche lustro e divenute quasi inarrestabili nel secondo dopoguerra, fino alle forme ultime della politica e della strategia mondialiste, resesi di fatto esplicite, ma non per questo meno pericolose e in certi casi letali, nell’odierna società liquida.
Vale anche per queste note come per tutte le altre presenti in questo fascicolo la considerazione che lo sforzo della sintesi può compromettere l’approfondimento dei problemi, qui preme tuttavia chiarire almeno un concetto di fondo, quello secondo cui parlare, come fece Malinsky, di guerra occulta, ha un senso anche parallelamente al diverso approccio noltiano e alla luce delle problematiche poste dalla cosiddetta società liquida, tenendo conto di come si intreccino, anche in questa fase storica, l’azione di centri esoterici con quella di permanente lavaggio del carattere degli europei e di progressiva erosione di identità e costumi secolari.
La Grande guerra fu senz’altro, da un punto di vista materiale, lo scontro fra vari imperialismi, e la prima vera occasione per la manifestazione dei nazionalismi che si sarebbero sviluppati e moltiplicati ben oltre la conclusione del conflitto. Questo non toglie che fu anche l’inizio di una nuova sfida fra l’antica idea imperiale e continentale e quella mercantile e marittima, sia in senso geopolitico che ideale, e sotto questo aspetto consentì la definitiva identificazione della nuova potenza marittima mondiale, gli Stati Uniti, decisi sia a divenire arbitri dei destini europei che vincitori di quell’altra sotterranea guerra di successione condotta contro l’antico impero britannico.
Il rifiuto del pensiero unico e del politicamente corretto, che per decenni hanno addirittura posto sotto sequestro la realtà della stessa guerra civile italiana, non esime peraltro, riferendosi a fenomeni così complessi, da un riscontro e da un riferimento, per quanto possibile, con le acquisizioni più recenti della ricerca storiografica, anche nella consapevolezza del persistere di quelle stesse logiche.
Proprio la caparbietà e il rigore intellettuale di Ernst Nolte hanno consentito che il ricorso alla categoria di Guerra dei trent’anni e a quello di guerra civile europea, insieme al lavoro storico e filosofico di Carl Schmitt, vero testimone del secolo, facessero breccia in una certa misura nel muro del conformismo e del perbenismo intellettuale imperanti almeno dall’epoca di Yalta (3).
Essendo la storia europea caratterizzata da un susseguirsi di lotte dinastiche, etniche, commerciali e, appunto religiose, non è facile cogliere la specificità, moderna, della frattura prodottasi almeno dal 1914, ma in qualche modo già legata alla contrapposizione seguita alla Grande rivoluzione dell’89 (4), con tutti i suoi germi della democrazia totalitaria e le sue derive ideologistiche.
La ricostruzione di Malinsky risulta quindi utile, almeno nel suo cogliere quell’urto di ideologie ma soprattutto di visioni del mondo che fu reso assoluto dalla logica militare del leninismo, quella, come si è già visto, della guerra totale contro ogni partito avversario, che peraltro si sviluppa in un clima di generale criminalizzazione dell’avversario e di affermazione del criterio definito da Schmitt concetto discriminatorio di guerra.
L’URSS e l’OSS
Va ricordato che prima di Nolte, già nel 1972 Geoffrey Barraclough aveva parlato di grande guerra civile, ricordando come per molti storici questa avesse avuto inizio addirittura nel 1905 (5), e anche senza voler correre il rischio di una forzata generalizzazione che renda nere tutte le proverbiali vacche hegeliane, va aggiunto che essa non caratterizza solo lo scontro fra nazionalsocialismo e bolscevismo, ma già quello fra collaborazionisti e resistenti, cosa che porta addirittura a individuare i primi come veri nazionalisti europei e i secondi, eccezion fatta per molti sinceri patrioti, come strumenti più o meno consapevoli di potenze ostili all’Europa.
Questa considerazione porterebbe lontano, valga qui accennare al fenomeno delle brigate comuniste legate ideologicamente all’URSS ma in stretto contatto con l’OSS statunitense, a sua volta contrassegnato da discrete venature marxiste se non trotzkiste.
Il vero nesso fra gli aspetti di guerra civile e internazionale si rivela dunque quello dell’offensiva economica, militare e ideologico-culturale, dell’Occidente contro l’Europa, intendendo come Occidente le due potenze marittime Inghilterra e USA, ma anche tutta la loro rete di collegamenti esoterici ed essoterici nel continente stesso, a partire dagli agganci con la catena massonica ed cabbalistica in Francia, come pure in Italia e Germania.
L’idealismo sovrastrutturale statunitense si manifesta peraltro in modo sostanzialmente laico nel primo dopoguerra, per tingersi sempre di più, approssimandosi la Seconda Guerra Mondiale, di quel messianesimo tipico delle varie sette e conventicole protestanti come dell’ebraismo tradizionale.
Già il primo conflitto mondiale si era caratterizzato in una certa misura in senso ideologico, con la ambigua lotta delle democrazie alleate all’autocrazia russa contro i medioevali Imperi centrali legati anche all’Italia dello Statuto albertino, e quest’infezione ideologica, acuita in modo industriale dalle già avanzate e strutturate tecniche propagandistiche, si protrarrà per tutto il periodo fra le due guerre, contagiando i vecchi e nuovi nazionalismi e organizzandosi non solo secondo i criteri di Versailles (6), ma quelli nuovi di fascismo e comunismo, e però, di fatto, di Europa e Anti-Europa, favorita, in questo, dalla retorica delle élites liberaldemocratiche e pacifiste.
In questo senso la stessa Società delle Nazioni, eterodiretta in realtà dagli USA, ebbe un enorme ruolo nel propagandare una politica di criminalizzazione e contenimento della Germania e la proposta di un modello federativo astratto e teso allo sradicamento dell’identità europea (7), a tutela di quella sorta di cordone sanitario realizzata dopo Versailles con la creazione di nuovi stati come Jugoslavia, Polonia, Cecoslovacchia o l’arricchimento di territori a favore della Romania e discapito dell’Ungheria.
Durante e dopo la Prima guerra mondiale, si era affermato il criterio di collocare fuori dal diritto l’avversario proprio in nome del diritto, e anche per questo Norberto Bobbio ha ritenuto che il concetto di guerra civile europea si attagli piuttosto al primo che al secondo conflitto mondiale, partendo dal presupposto che il senso di appartenenza a una comunità europea fosse più forte nel 1914 che nel 1939 (8): in effetti qui si potrebbe obiettare che proprio la politica di enfatizzazione dei vari nazionalismi, il loro uso strumentale, pose le condizioni per un’eclissi dell’idea di Impero e quindi di Europa.
È noto il paragone, ricorrente, fra Hitler e Napoleone, e in effetti si può affermare che ambedue perseguirono un progetto di unificazione e ricostituzione di un impero europeo: Adriano Romualdi, nel caso di Hitler parlò addirittura di una Dottrina Monroe per l’Europa. Ora, nonostante gli inevitabili attriti fra l’azione politico-militare delle nazioni dell’Asse e quelle occupate, solo col senno di poi è possibile sostenere che la prospettiva, in caso di vittoria delle prime, fosse esclusivamente quella di un’Europa germanizzata. Di fronte alle sfide poste dai nuovi grandi imperi, USA, URSS, in prospettiva la stessa Cina, come a quelle dei popoli coloniali, la vittoria dell’Asse era la condizione per un’unificazione europea, di contro alla larvata ipotesi della federazione fra “popoli liberi”.
Se la grande guerra aveva rappresentato la fine della vecchia idea di Europa come cultura politica comune fra imperi in equilibrio, e insieme l’inizio di una seria riflessione sul ruolo e l’identità stessa del continente, costituì anche un passaggio dalla lotta fra autocrazia e democrazia a quello tra fascismo da un lato, comunismo e democrazia dall’altro, sempre più tesi, questi ultimi due, a incarnare le idee e gli interessi dell’Antieuropa e, in questo, a porre appunto l’Europa in una condizione di guerra civile permanente, non solo sotto forma militare ma anche sotto quelle culturale, economica, ideologica.
Successivamente lo scontro verrà ulteriormente spostato con la contrapposizione fra “mondo libero” delle democrazie occidentali e comunismo totalitario, indicato come nuovo “male assoluto”.
Continuazione della guerra rivoluzionaria
In questo senso, e riprendendo il concetto di Grande Guerra come prima fase, 1914-1918, della seconda Guerra dei trent’anni di cui si è detto, la fase ultima del secolo breve, quella contrassegnata dall’abbattimento del Muro di Berlino, prelude appunto alla piena affermazione della società globalizzata, la cui caratteristica liquida rende meno cruente, sebbene non meno devastanti, le sue dinamiche e le sue manifestazioni, divenute oltretutto sempre più esplicite.
Tentare una periodizzazione del cosiddetto “secolo breve” può risultare sicuramente arbitrario, ed è comunque più semplice per gli eventi della sua prima metà, ma consente tuttavia di cogliere la continuità dei passaggi. Così alla prima fase 1914-1918 seguì un periodo di vere lotte civili che si può considerare concluso nel 1922, con la presa del potere da parte del Fascismo in Italia, sebbene la sua definitiva affermazione avvenga solo nel 1925.
L’arco temporale 1922-1929 coinvolge tutto il continente, con l’avvicinarsi della epocale crisi economica del 1929. Inizia da quel momento, soprattutto per l’Europa centrale una fase che si può considerare conclusa nel gennaio 1933 con l’avvento del Nazionalsocialismo in Germania, seguita da quella 1933-1936, fino all’inizio della guerra civile spagnola, che caratterizza il consolidamento del regime hitleriano.
Nel triennio successivo si verifica il confluire di diverse strategie politiche, fino allo scoppio della drole de guerre e alla sua evoluzione in quella guerra totale che insanguinerà l’Europa e il mondo intero per altri cinque anni.
A partire dalla fine della guerra il confronto fra le due superpotenze uscite vincitrici, USA e URSS, mentre assume la forma di una sorta di coesistenza almeno dall’avvento di Kruscev, si dilata naturalmente a livello planetario, e la guerra civile europea, essa stessa fredda, è riassorbita in parte nella sfida mondiale, conservando tuttavia alcune sue peculiarità, e vedendo intrecciarsi dinamiche anche molto diverse.
Così se da un lato gli Stati Uniti cercano di favorire la decolonizzazione negli imperi inglese e francese, si assiste a un susseguirsi di rivolte anticomuniste in diversi Paesi dell’area sovietica, alla pianificazione e all’attuazione della terroristica strategia della tensione e alla destabilizzazione e caduta dei regimi fascisti storici nella penisola iberica, come pure a quella dei rispettivi, seppur più modesti, imperi coloniali.
Questi ultimi due complessi processi storici e politici, assimilabili per molti aspetti alle rivalità classiche delle varie potenze europee, si svolgono sotto la regia britannica e statunitense come pure secondo la dinamica della guerra rivoluzionaria, intesa come strumento dell’espansione comunista in Europa e nel mondo.
Tale complesso fenomeno, sebbene meno intenso e foriero di eventi drammatici (9), si è manifestato secondo precise logiche e scelte seguite prevalentemente dalla potenza sovietica, quindi con una fortissima caratterizzazione in senso ideologico, mai sopita e trasferitasi nei conflitti e nelle tensioni prodottesi all’interno delle nazioni europee e fra di esse, come accadde ad esempio all’epoca dell’elezione del presidente austriaco Kurt Waldheim nel 1986, avvenuta nonostante la divulgazione del suo passato nazista, o al momento della morte di Rudolf Hess, verificatasi nel carcere berlinese di Spandau nell’agosto 1987.
Lenin e Thiriart
La cristallizzazione strumentale di un passato che non passa, come recitava una efficace espressione di storici e giornalisti, ha così prodotto anche una serie di fatti sconcertanti ma del tutto comprensibili, soprattutto se inquadrati come segnali ed espressione della volontà di utilizzare in funzione del divide et impera l’arsenale della guerra civile europea anche ai giorni nostri.
Si sono così susseguiti, negli ultimi due decenni, episodi tanto assurdi quanto aberranti, come la protesta dei centri sociali tedeschi contro le commemorazioni per la distruzione di Dresda, o sempre in Germania, l’erezione, promossa da un poliziotto tedesco, di un monumento ai piloti RAF dambuster (10), o le manifestazioni contro Jorg Heider in Austria sotto gli striscioni che invitavano alla widerstand, alla “resistenza”.
Fatti del genere, collocabili a un primo sguardo nella contrapposizione storica fra movimenti di “sinistra” e di “destra”sono stati di fatto preludio all’attuale divisione tra fautori dell’immigrazione e sovranisti, secondo una classificazione generica e se si vuole mistificata ma che nasconde una vera spaccatura all’interno delle singole nazioni europee, quella che passa fra la visione cosmopolita della società aperta e quella di chi aspira, sia pure in modo confuso, alla costruzione di una Patria europea.
È questa, oggi, l’onda lunga e la forma più ambigua, più subdola, di una nuova guerra civile europea, fredda anch’essa, forse, ma in grado di rivelarsi non meno letale: si deve infatti considerare come provochi ulteriori lacerazioni in una popolazione europea vecchia e tendente alla sterilità, non solo per le ben note cause socio-economiche ma per quella volontà suicida prodotta anche dai sensi di colpa indotti proprio con quel lavaggio del carattere, che non ha riguardato solo la Germania e l’Italia ma tutti i Paesi europei con un passato coloniale.
I processi storici sono sempre molto complessi, e avrebbe poco senso pensare a un complotto che ordito alle soglie della Grande Guerra, possa coronarsi del successo a cent’anni dalla sua conclusione, pure, le varie tendenze generatesi nei primissimi lustri del secolo scorso, anche eterogenee e non di rado divergenti, minacciano di produrre l’implosione della Patria europea, anche per il sabotaggio sistematico del senso di appartenenza. Un sabotaggio che si è consolidato anche grazie all’altra faccia della medaglia della demonizzazione dei nemici del passato, la coltivazione dell’illusione di poter vivere senza un nemico se non quello interno, assurto a incarnazione del male assoluto.
Tutto questo a fronte di una situazione in cui lo scorrere degli eventi non è indolore, si svolge come all’interno di una sorta di rivoluzione permanente trotzskista e anche le proteste dei centri sociali, siano indirizzate contro le commemorazioni, i simboli della memoria o le politiche antiimmigratorie, a loro modo lasciano il segno, fanno tendenza e si pongono all’avanguardia dei movimenti progressisti, condividendone le parole d’ordine e rinfacciandogliene la mancata attuazione.
Così, se da un lato la conclusione della Guerra fredda,quella Terza guerra mondiale persa dai russi senza sparare un colpo di fucile, ha consentito la narrazione tendenziosa della fine della storia, del superamento delle ideologie, ciò è avvenuto per indebolire ulteriormente le difese culturali e psicologiche degli Europei, e naturalmente soffocare l’idea di un esercito continentale autonomo, occultando di fatto l’identità dei veri nemici dell’Europa, le potenze talassocratiche e il sionismo.
Serve pertanto, se non è ancora troppo tardi, il risveglio della coscienza europea, unitamente a un progetto nuovo di recupero della dimensione imperiale, come già proposto da Jean Thiriart. Ciò non deve naturalmente significare la sola ripresa astratta di formule politiche, deve piuttosto accompagnarsi, come proposto da Lenin, a un’analisi concreta della situazione concreta, basata sull’acquisizione di strumenti sempre più sofisticati.
1. Alberto Odone, La meccanica del delitto, Mondadori, Milano, 2018. Il libro è risultato vincitore dell’annuale “Premio Tedeschi” conferito dalla redazione de Il Giallo Mondadori al miglior giallo italiano inedito. Non sembri solo una dissertazione letteraria il sottolineare come, nel prosieguo della narrazione si preannuncia che l’investigatore dovrà rovistare nei criminali e viziosi ambienti dello Stahlhelm e delle destre. D’altronde la motivazione precisa che “[…] il tormentato ispettore Meingast, antieroe dall’originalissimo sguardo scientifico, è forse l’ultimo tutore della legge per cui la legge significhi qualcosa, prima che gli assassini salgano al potere e il crimine si insedi nel cuore dello Stato”.
2. Basti pensare alle figure create dagli italiani Lucarelli e Lenzi, come pure al detective tedesco e all’ufficiale ideato dalla scrittrice Ben Pastor, per non dire dell’altro ufficiale della creato dalla coppia Cardini.
3. Il primo a parlare di seconda Guerra dei trent’anni era stato Alfred Rosenberg, intendendola come una sorta di rivincita rispetto a quella che aveva distrutto la potenza della Germania, sede dell’Impero. Successivamente l’espressione fu adottata anche da Winston Churchill, ma secondo la storiografia dominante tale espressione indica il periodo di effettiva e prolungata incubazione della globalizzazione globalistica: cfr. Giorgio Galli, Hitler e la cultura occulta, Rizzoli, Milano, 2013, pp. 109-110.
4. Sotto certi aspetti, la dissoluzione dello Ius publicum europeo può esser fatta risalire almeno all’epoca di Valmy.
5. Id., Guida alla storia contemporanea, Bari, Laterza, 1972, p. 28.
6. Un passaggio successivo del romanzo che si è citato in apertura chiarisce l’intento dell’autore, schierato decisamente coi propagandisti del livore antitedesco. Così infatti si esprime un personaggio incontrato a un certo punto dall’ispettore Meingast, il patologo Kehl, che sembra prefigurare soluzioni come il futuro e famigerato piano Morgenthau: “Versailles è un trattato sbagliato, iniquo, e non perché ci chiede troppo, ma troppo poco. Una nazione che ha un tale sprezzo per la vita dei suoi figli merita di essere smembrata. Ridotta in macerie”. Alberto Odone, La meccanica del delitto, cit., p. 104.
7. Nel suo Ginevra o Mosca Drieu La Rochelle aveva proposto, con l’unificazione continentale, appunto il superamento della Società delle Nazioni avente appunto sede a Ginevra. Ben consapevole della pericolosità di nazionalismo e militarismo, in un’Europa che attraversava quella fase di molteplici e speculari rivendicazioni territoriali, La Rochelle pensava a una struttura nuova realmente attenta agli interessi dell’Europa, e coglieva nel contempo già i primi sintomi della mutazione genetica in senso bancario e finanziario del comunismo ufficiale. Cfr. Pierre Drieu La Rochelle, Ginevra o Mosca, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2017.
8. Cfr. Norberto Bobbio, Claudio Pavone, Sulla guerra civile, Torino, Bollati Boringhieri, 2015, p. 109.
9. Ci si riferisce, ovviamente, ai costi umani specificamente determinati da questa componente, quelli provocati direttamente dal comunismo al potere nei singoli paesi essendo incommensurabili.
10. Erano cosi denominati i protagonisti di quell’operazione Castigo del 16-17 maggio 1943 che distruggendo due dighe e danneggiandone una terza dei bacini idrografici dei fiumi Eder, Sorpe e Möhne per impedire l’attività della Ruhr uccise 859 persone e sommerse con 330 milioni di tonnellate d’acqua la città di Mohne e un territorio di circa 30 km². Nel vicino campo di lavoro di Zwangsarbeiter, investito a sua volta, perirono 800 deportati e prigionieri di guerra, fra cui moltissime donne ucraine addette all’agricoltura. L’attuale pratica, soprattutto negli Stati Uniti, di distruzione e deturpazione dei monumenti considerati “suprematisti” rende ancor più grottesco questo episodio.
Tratto da “Polaris – la rivista n.21 – L’ITALIA DELLE TRINCEE” – acquista qui la tua copia