Fusione nucleare: ecco perché è la scelta giusta – PARTE 2
Entro i prossimi 10-15 anni potremmo vedere in funzione i primi reattori a fusione. Tuttavia, anche ipotizzando che questi sostituiscano gran parte delle altre fonti energetiche entro 30-35 anni, ci troveremmo a dover affrontare almeno tre decenni di dipendenza energetica. Durante questo periodo, i prezzi di gas ed elettricità resteranno imprevedibili e gli accordi sul gas, stipulati principalmente con paesi politicamente instabili, potrebbero complicare ulteriormente la situazione.
Di seguito, la prima parte:
In questo contesto, l’adozione di centrali nucleari a fissione di terza o quarta generazione rappresenta una soluzione concreta per il breve-medio termine. Le centrali di terza generazione, infatti, hanno implementato sistemi di sicurezza avanzati che avrebbero potuto evitare disastri come quello di Chernobyl, causato principalmente da errori umani e dalla gestione delle autorità sovietiche. Tuttavia, è importante notare la differenza tra Chernobyl e l’incidente di Fukushima: quest’ultimo non fu causato da errori di progettazione, ma da un terremoto di magnitudo 9.0 e dal conseguente tsunami. Il sistema antisismico della centrale funzionò correttamente, ma l’inondazione dei generatori elettrici di emergenza impedì il raffreddamento dei reattori, provocando la fusione del nocciolo.
Sicurezza, scorie nucleari e approvvigionamento di uranio
Le centrali nucleari di quarta generazione sono progettate per resistere anche ad attacchi militari, minimizzando il rischio di dispersione di radiazioni. Per quanto riguarda le scorie nucleari, sebbene costituiscano una preoccupazione legittima, va ricordato che il loro volume è relativamente contenuto. In Svizzera, ad esempio, dopo 40 anni di utilizzo, le scorie prodotte occupano uno spazio equivalente a un campo di calcetto (circa 40x25x5 metri). Inoltre, una persona che utilizza solo energia nucleare per tutta la vita produrrebbe una quantità di scorie equivalente a una lattina di birra. La produzione mondiale di scorie degli ultimi 25 anni è stimata in un volume simile a quello del Colosseo, una quantità che, con le giuste accortezze, è gestibile in modo sicuro.
L’uranio necessario per il funzionamento delle centrali nucleari proviene per il 65% da paesi come Canada, Australia e Kazakistan. In Italia, esiste una miniera a Novazza, tra Bergamo e Sondrio, la cui attività estrattiva non è mai stata avviata nonostante i significativi investimenti. Gli industriali di Assolombarda stanno ora valutando la possibilità di riattivarla nell’ambito di una strategia energetica più orientata al nucleare.
Il nucleare nel contesto energetico italiano ed europeo
Fino al 1987, in Italia erano operative quattro centrali nucleari: Latina, Garigliano, Trino Vercellese e Caorso. Una quinta centrale, a Montalto di Castro, fu riconvertita a multi-combustibile. Il nucleare è stato recentemente incluso dall’Unione Europea tra le fonti energetiche sostenibili e il report IPCC prevede un aumento del nucleare tra il 100% e il 700% entro il 2050, per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.
In questo momento, paesi come Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito e Canada stanno pianificando l’espansione delle loro infrastrutture nucleari. In Italia, invece, oltre il 50% dell’energia elettrica viene ancora prodotta utilizzando gas naturale, un’eccezione rispetto alla media UE del 19%. Implementando 15 nuovi reattori di quarta generazione, il nostro paese potrebbe eliminare completamente l’uso del gas per la produzione energetica o ridurlo al 20-30%, eliminando il carbone e compensando con fonti rinnovabili, che attualmente coprono circa il 20% del mix energetico italiano.
Paolo Caioli