E ora che anche l’UE non vuol farsi schiacciare dalle super potenze, che si fa?
Le elezioni europee di giugno sono le prime in assoluto che si svolgono sulla base di progetti politici, tanto che alcuni osservatori parlano del prossimo Parlamento Europeo come di una Costituente.
È la prima volta che la UE va ad eleggere dei politici che dovrebbero dare un senso alle misure intraprese con la crisi Covid, con il problema delle supply chains e con la risposta all’aggressione militare all’Ucraìna. Fattori d’emergenza che s’inseriscono nelle relazioni globali, nel rapporto Usa-Cina, nell’attrazione strategica mondiale verso l’IndoPacifico, nella rivoluzione energetica in programma, nella mutazione quindi della geopolitica in geologia politica, nelle grandi innovazioni tecnologiche che investono tutti i campi umani.
L’Unione Europea, nel suo insieme, è giunta alla conclusione che non ci si debba lasciar schiacciare in alcun dualismo internazionale, stile guerra fredda, ma che sia indispensabile agire da terza forza. Per fare questo appare necessario a tutte le centrali politico-economiche del continente e, di converso, alla gran parte dei politici di ogni colore, che il rapporto con gli USA va modificato, essendo ormai chiaro che le differenze di interessi iniziano ad essere molteplici e che ci si debba quindi fornire di autonomia militare e nucleare.
Sul come modificarlo questo rapporto, con quanta dose di assertività palese o di diplomazia in punta di piedi, esistono ben tre posizioni diverse. Posizioni diverse sul come, non sul cosa.
Posizioni che non sono di destra, di centro o di sinistra, perché sono davvero trasversali.
I punti-chiave sono però abbastanza chiari, il principale dei quali è superare l’impasse del voto di unanimità per modificare accordi e trattati. E su questo ci vorranno inventiva e decisione.
Si noti che le nazioni più forti (Francia, Germania, Italia, Spagna, Polonia e Olanda) sono sostanzialmente favorevoli e che sono le nazioni più deboli a fungere da attrito, manipolate dal di fuori (Usa, Inghilterra, Russia).
Quando Mario Draghi ha lanciato il suo guanto di sfida a Ursula von der Leyen candidandosi per presiedere la prossima Commissione, ha spiegato chiaramente tutti i punti su cui ritiene si debba agire, partendo dal riarmo economico e industriale. Non ha avuto remore nel definire gli Stati Uniti come nostri concorrenti.
Altri nodi che devono venire al petine sono la tirannia woke e l’estremismo lgbt, cui fanno da pendant una visione angelica dell’immigrazione e la diversa politica della natalità.
Su questi punti un sorpasso delle destre unite sulle sinistre potrebbe avere un effetto storico.
Va detto che le stesse oligarchie europee sono stanche del velleitarismo buffonesco dell’arcobaleno e gradirebbero un sorpasso.
Non dimentichiamo però che la trasversalità vale anche qui. Le destre sono ufficialmente meno aperturiste delle sinistre, ma le posizioni di mescolano e s’intrecciano in ogni schieramento.
In particolare sull’autonomia europea le posizioni sono frastagliate e le destre, specie quelle populiste affascinate a talvolta remunerate da Mosca, possono fungere da peso morto e intoppare gli ingranaggi.
Tuttavia il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha appena aperto a quelle formazioni facendo allusione, sia pur non citandolo esplicitamente, al costruttivo esempio italiano.
Il successo indiscutibile del Governo Meloni che gli ha conferito autorevolezza e credibilità sul piano internazionale (europeo, africano e asiatico) può consentire la congiunzione anche a Bruxelles fra le tre destre oggi dvise tra popolari, conservatori e demoidentitari, dove siedono rispettivamente Forza Italia, Fratelli d’Italia e la Lega.
Quest’attrazione dalla marginalità verso il realismo può perfino produrre la maturazione europea del Rassemblement National francese consentendogli di ambire all’Eliseo per il 2027 dove un giovanissimo Bardela potrebbe fornire maggiori garanzie eurosovraniste dell’eternamente velleitaria Marine Le Pen. Potrà accadere che solo AfD tedesca, con le influenze americane e russe al proprio interno, resti indietro e che un po’ ovunque si abbozzi infine la sintesi tra buon senso e visione futuribile europea, il tutto mentre s’innalzano paletti al woke.
Ovviamente tutto questo, se avverrà, non sarà che in minima parte per via delle elezioni perché in una democrazia delegata e parcellizzata come quella della UE, è un’altra democrazia, quella del centralismo democratico non “operario” ma delle olgarchie, a imprimere le svolte e le scelte.
Il dato nuovo è che oggi gli interessi delle oligarchie europee coincidono provvisoriamente con quelli della nostra sopravvivenza e del nostro avvenire. Sta poi a chi di dovere dare a tutto ciò anche coscienza e volontà di potenza. Facendo i conti con i fatti e con le opportunità.
Gabriele Adinolfi