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PERCHÉ A PUTIN INTERESSA TANTO IL DONBASS?

La Russia porta avanti la guerra in Ucraina in nome della difesa dei russofoni e di un rinnovato revanscismo che avrebbe come simbolo Pietro il Grande.

Ma dietro tutto ciò si cela l’interesse verso i minerali preziosi presenti nel territorio ucraino.

di Salvatore Recupero

Vale la pena morire per il Donbass? Per molti potrebbe sembrare una domanda stupida visto che da anni qui si combatte una guerra senza esclusione di colpi. Eppure è utile porsi questo quesito per capire perché Putin vuole annettere quelle che sembrano sperdute provincie dell’Ucraina. La storia in questo senso ci aiuta. Nel 1721 la scoperta del bacino carbonifero del Donec innescò il “boom industriale” che portò alla fioritura economica della regione, che durò dal XIX alla prima metà del XX secolo.

La politica russa di popolamento dei territori dell’Ucraina orientale fu particolarmente intensa, a tal punto che venne indicata come Nuova Russia e fu istituito l’omonimo governatorato, nome scelto dalla zarina Caterina I di Russia. In breve i russi sono andati lì perché hanno trovato il carbone. È palese che si tratti di una zona russofona ma il processo di russificazione è indissolubilmente legato alla presenza di materie prime. 

Ecco perché oggi è difficile (ma non impossibile) capire cosa spinge veramente il Cremlino a portare avanti questa guerra. Bisognerebbe essere degli sprovveduti per pensare che ai russi interessi solo creare una zona cuscinetto (per evitare il paventato accerchiamento) e non già mettere le mani sul tesoro che giace nel sottosuolo delle repubbliche autonomiste.

Il carbone e i siti industriali

Il Donbass è una zona ricca, soprattutto di carbone. È il settimo produttore al mondo. Stiamo parlando di 31 miliardi di tonnellate. Circa il 92% di tutto il carbone dell’Ucraina si trova nell’area che parte dal Mare di Azov e si estende più a nord sino al fiume Dnepr. E questo fa gola sicuramente al Cremlino che nel 2021 ha siglato accordi con Cina e India per nuove forniture di combustibile fossile, in tutto per 230 milioni l’anno.

Ma il Donbass è ricco anche di altre materie prime. Il gas ad esempio. Qui troviamo la maggior parte dei 27 miliardi di tonnellate ucraini. Oltre al gas condensato (80 mila tonnellate). Nonché il petrolio, seppure in minor misura con 135 milioni di tonnellate. Ben più presente è il petrolio di scisto, con 3,7 miliardi di tonnellate.

Qui troviamo anche altre materie prime ferro (27 miliardi di tonnellate), titanio (94 milioni di tonnellate), manganese (140 milioni di tonnellate), mercurio. Il Donbass è in prima fila anche per la terza rivoluzione industriale con materie come nickel e cobalto. E poi le terre rare, i metalli dai nomi esotici (europio, ittrio, erbio) senza i quali non si fanno i microprocessori.

Il peso dell’Ucraina (e del Donbass)

In Ucraina sono stati censiti 20mila depositi e siti minerari che includono 97 tipi di minerali; il valore stimato di tutto questo si aggira intorno ai 7,5 trilioni di dollari. 

Mosca ha senza ombra di dubbio fatto i suoi calcoli e conosce le caratteristiche di Kiev. Possiamo così sintetizzare i primati dell’Ucraina: prima in Europa per comprovate riserve recuperabili di minerali di uranio; seconda in Europa e decimo posto nel mondo in termini di riserve di minerale di titanio; al secondo posto nel mondo in termini di riserve esplorate di minerali di manganese (2,3 miliardi di tonnellate, ovvero il 12% delle riserve mondiali); seconda in Europa per riserve di minerale di mercurio; terza in Europa (13esimo posto nel mondo) per riserve di shale gas (22 trilioni di metri cubi); ottava nel mondo per riserve di carbone (33,9 miliardi di tonnellate). E, infine, seconda più grande riserva minerale di ferro al mondo (30 miliardi di tonnellate). Per essere chiari la gran parte di questo ben di Dio si trova nelle provincie accerchiate dall’esercito russo.

Putin come Pietro il Grande?

Per molti però le materie prime del sottosuolo ucraino nulla hanno a che vedere con le ragioni che hanno spinto Putin a colpire Kiev. L’attuale attacco all’Ucraina non è nient’altro che il recupero di territori russi. Questo è quello che afferma in maniera più o meno diretta il Cremlino. L’occasione è stata la commemorazione di Pietro il Grande a 350 anni dalla nascita.  Vediamo cosa dice Putin: “Lui (Pietro il Grande, ndr) ha guidato la Grande guerra del Nord per 21 anni. Poteva sembrare che fosse in guerra con la Svezia, che le stesse togliendo qualcosa. Ma non le stava togliendo nulla. Stava riprendendo il controllo. […] Quando fondò la nuova capitale, nessuno dei paesi europei riconobbe quel territorio come appartenente alla Russia. Tutti lo consideravano svedese. Ma gli slavi avevano vissuto da sempre lì insieme ai popoli ugro-finnici. […] Lui stava solo riconquistando quelle terre e rafforzando il potere. Ora tocca anche a noi riconquistare e rafforzarci».

Putin ha fatto riferimento alla cosiddetta Grande guerra del Nord, combattuta tra il 1700 e il 1721 tra la Russia e l’impero svedese. La guerra si concluse con una grande vittoria della Russia, che estese il suo dominio su molti territori nel bacino del mar Baltico. Nel corso della guerra Pietro il Grande fondò anche San Pietroburgo, in una regione precedentemente appartenuta alla Svezia, che divenne la nuova capitale dell’impero russo.

Queste affermazioni sono di grande importanza e sanciscono (se ce ne fosse bisogno) la fine di ogni velleità euroasiatica. 

Questa guerra sarà lunga e probabilmente dividerà l’Ucraina in due staterelli: uno sotto l’ombrello della Nato e un altro legato alla Russia. Un finale che non dispiace né a Washington né a Mosca. Che combinazione!

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