Antropologia Sociale

NECROPOLI – Dove l’individuo nevrotico è incapace di trovare la propria dimensione

La megalopoli è destinata a regredire nella “tirannopoli”, dove domina incontrastato il danaro ed emergono forme di repressione sistematica da una parte e di apatia morale dall’altra. 

L’ultimo stadio, la“necropoli”, coincide con la morte della vita associata e, dunque, della civiltà.

L’insistenza esclusiva, ossessiva e maniacale (dei “media” e non soltanto) intorno a questioni riguardanti i bilanci dello Stato, i Mercati, la BCE… è indice di un imbarbarimento non soltanto linguistico ed espressivo, ma anche e soprattutto, spirituale ed etico senza precedenti, dello smarrimento di una dimensione profonda dell’esistere che appare irreversibile.

di Giuseppe Scalici – Docente di Storia e Filosofia

“Colui che vi domina così tanto… ha il vantaggio che voi gli fornite per distruggervi. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia, se voi non glieli forniste?… Ha forse un potere su di voi che non sia il vostro?… Che male potrebbe mai farvi, se voi non faceste da palo al ladrone che vi saccheggia, se non foste complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi?”  Etienne de La Boétie (1530-1563), Discorso sulla servitù volontaria.

E’ dalla famigerata congiuntura della primavera 2008 che non si fa che parlare di “Crisi”.

L’accezione in uso è rigorosamente economicistica: il capitale finanziario con la sua egemonia è  in grado di determinare l’intero ambito legato alla sopravvivenza materiale di popoli e Stati; può sottomettere la sfera della politica con tutti i suoi aspetti e ridurre a meri orpelli visioni del mondo, ambiti giuridici, relazioni internazionali. E’ noto a tutti  il ruolo decisivo che il mondo “aureo” delle banche e delle borse ha  avuto nelle due guerre mondiali, i cui esiti voluti e supportati da quello stesso mondo riescono ancora oggi a imporsi non solo nella sfera materiale, ma anche a livello di percezione ufficiale condivisa della “realtà” e di “immaginario collettivo”. Si può dissentire a livello di religione, di  pensiero, di prospettive politiche (per quello che oggi contano: meno che zero), ma non nella concezione intorno al Danaro assurto a laica divinità e per quanto attiene al valore di Assoluto, di Principio primo del Capitale finanziario. Il monetarismo è la fede in grado di orientare scelte di governi e destini delle nazioni, indipendentemente da ogni altra considerazione. Quindi “crisi” è un qualcosa legato al dominio della produzione, o meglio della speculazione finanziaria, con tutti i suoi caratteri “virtuali” e non, come invece a noi sembra, una condizione ben più profonda e radicale che da tempo ha colpito quello che ancora vien definito l’Occidente.

La decisione impone un soggetto e una scelta

In questa sede ci interessa tentare un approccio di tipo culturale, in senso lato, sulla natura della fase storica che, da sudditi impotenti e volontari di una sorta di Monstrum  occhiuto e policefalo, stiamo, lo si voglia o meno, attraversando. E’noto che il termine “crisi” deriva dal greco antico Krisis, sostantivo derivato dal verbo Krinein, il cui significato è: separare; decidere; ricercare… Da un punto di vista etimologico, dunque, “crisi” allude al passaggio da una serie di condizioni dotate di un’interna coerenza logica (in altri termini, da un sistema) ad un altro insieme di situazioni, diverso, non importa se in senso positivo o negativo, rispetto alle condizioni originarie. La “decisione”, infatti, impone ad un soggetto, sia esso individuale che collettivo, una scelta fra valori alternativi, all’interno di uno svolgimento dialettico dei fatti storici. Se vogliamo, la situazione di crisi è il motore della Storia e del superamento dinamico di situazioni stagnanti. Ma siamo veramente di fronte a tutto questo? Il clima lutulento che ci circonda e che dà i contorni ad un mondo “voluto” e  funzionale ad oligarchie e lobbies amorfe ed ostili è quello che le medesime conventicole, ormai direttamente di governo, vorrebbero oltrepassare, una volta superata quella “crisi” proprio da loro, tra l’altro, posta in essere? Peraltro, come messo in evidenza ancora nel XIX secolo dai teorici del materialismo storico-dialettico, la crisi è connaturata all’essenza stessa del modo di produzione  capitalistico (e quindi della stessa struttura della realtà) che, in forme diverse quanto univoche, ha come fine ultimo la propria sopravvivenza in un’ottica di dominio totalizzante. Tutti gli aspetti denotanti le funzioni superiori dell’essere umano sono annichilite: il tipo antropologico evocato è quello del servo da sfruttare ed umiliare e al quale chiedere, e dal quale ottenere,  consenso e legittimazione.

Per quale motivo la crisi dovrebbe essere superata?

 La società odierna realizza in termini compiuti i presupposti di base del capitalismo: per quale motivo, dunque, la crisi dovrebbe essere superata? E’ evidente, a ben guardare, la discrasia fra realtà effettiva e sua rappresentazione “spettacolare” e linguistica, in altre parole fra realtà e sua “narrazione” propagandistica, nel senso letterale del termine. E un certo uso, oggi egemonico, del linguaggio è teso a tratteggiare un mondo del tutto mistificato e distorto, seppur degno erede di quell’approccio razionalistico che ha caratterizzato gli inizi dell’età “moderna”. “Necessità di sacrifici”; “dignità internazionale”; “sforzi per la ripresa”; “utile flessibilità del lavoro”; “abbattimento di datati tabù”; “noia del posto fisso”; “sobrietà e austerità dei governanti”; “comunità finanziaria”. E gli esempi si potrebbero moltiplicare a iosa. Quasi una neolingua degna delle peggiori distopie alla Orwell.

Si può sostenere che il tipo umano ora prevalente , in ispecie in Italia, sia funzionale e necessario alla conservazione dello status quo. Mai è messa in discussione la “rappresentazione”;  non esiste una reale opposizione allo strapotere degli istituti di credito; lo stesso livello della “politica” e delle rappresentanze parlamentari sostiene la posizione servile cui è ridotta la Nazione. Per il resto silenzio, acquiescenza, attenzione rivolta esclusivamente all’orizzonte privato e particolare. Non più senso di appartenenza ad una Comunità, ma individui atomizzati, privi di autentica morale come di slanci ideali, nell’ottica del piccolo cabotaggio, o dell’arte di arrangiarsi.

Eppure, come la storia di epoche passate ci ha mostrato, proprio in momenti di “crisi” può risvegliarsi un atteggiamento interiore di reazione e rinascita dell’Io autentico. Una reale crisi può rappresentare l’inizio di una nuova èra, anche attraverso tensioni, sofferenze e conflitti. L’uomo in crisi può vivere, se in grado di non farsi travolgere dalle condizioni esterne che lo opprimono, un momento di autentica creatività rivolta al futuro. La dimensione in cui ci troviamo, invece, si pone come la compiuta realizzazione di un vecchio progetto di dominio  tecnocratico (altra forma della ragione) sulla natura e sugli aggregati umani. E questo non più in termini occultati o criptici. Tutto è evidente, chiaro e distinto.

Tirannopoli

Negli anni Trenta del secolo scorso Lewis Mumford (La cultura delle città) teorizzò il passaggio dalla “metropoli” alla “megalopoli” come luogo della crisi e della decadenza, concentrata solo sul mito capitalistico della potenza materiale e del profitto fine a se stesso. Tale megalopoli è destinata a regredire  nella  “tirannopoli”, dove domina incontrastato il danaro ed emergono forme di repressione sistematica da una parte e di apatia morale dall’altra. L’ultimo stadio è  definito “necropoli”, e coincide con la morte della vita associata e, dunque, della  civiltà.   

L’insistenza esclusiva, ossessiva e maniacale (dei “media” e non soltanto) intorno a questioni riguardanti i bilanci dello Stato, i Mercati, la BCE…. è indice di un imbarbarimento non soltanto linguistico ed espressivo, ma anche e soprattutto, spirituale ed etico senza precedenti, dello smarrimento di una dimensione profonda dell’esistere che appare irreversibile.

Forse siamo alla fine della storia. Viviamo ormai nell’orizzonte di un eterno ritorno dell’uguale in versione degradata: prevale con violenza il particolare che assurge a totalità; tutto ciò che è immagine diretta, inculcata, immediata, priva di spessore. Prevale il Danaro, motivatore e quantificatore universale. In un eterno presente, molto superficiale, molto “americano”.

Già Georg Simmel, ne La metropoli e la vita dello spirito, testo pubblicato agli inizi del Novecento, aveva in modo magistrale tratteggiato la tipologia “critica” dell’uomo nella moderna società capitalistica. E’ il ritratto di un individuo nevrotico che incapace di trovare una propria dimensione, un ubi consistam, si riduce a oggetto fra gli oggetti, nascosto e diffidente, mimetizzato in un mondo che sente ostile ed estraneo e contro il quale è incapace di reagire. In un mondo che non è più il suo.  

Ci piace concludere  con un’altra citazione dall’opera del de La Boétie, che sembra scritta oggi:   “Vi ammazzate di fatica perché egli possa trastullarsi e sguazzare nei suoi turpi piaceri. Vi indebolite affinché egli diventi più forte e più duro per stringervi la briglia. E da cose così spregevoli, di cui le stesse bestie non hanno sentore e che non sopporterebbero, potete liberarvi senza neanche provare a farlo, ma solo provando a volerlo. Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi; non voglio che vi scontriate con lui o che lo facciate crollare, limitatevi a non sostenerlo più, e lo vedrete, come un grande colosso cui sia stata sottratta la base, cadere d’un pezzo e rompersi.”

Tratto da “Polaris – la rivista n.9 – CRISI: COMBATTERLA O SUBIRLA” – acquista qui la tua copia

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