Antropologia Sociale

HOMO PRECARIUS – Tra precarietà lavorativa e precarietà dello spirito

Il termine “precarìa” in età medievale indicava un rapporto di tipo feudale, che durava fino a quando il signore lo avesse voluto. 

C’è, quindi, in questo termine un’espressione sempre implicita di un rapporto binario. Vi è una volontà coercitiva ed una volontà impotente.

di Piero di Cuollo – Laureato in filosofia

Tra i “Leitbilder” dell’era contemporanea, votata esclusivamente all’economico e, quindi, esclusivamente all’amministrazione – impiego basso e debole se paragonato all’atto forte, decisorio del politico – ve n’è uno particolarmente ricco di significato e potente nel suo carattere sincretico per un’intera epoca: il concetto di precarietà.  Quest’idea-guida, lungi dall’essere soltanto una propaggine ed un’appendice di un sistema malato e degenerato di gestione della cosa pubblica e che oggi sempre più si avverte “in crisi”, è la sfera in cui si esprime tutta una dimensione storica. Il significato dell’uomo contemporaneo europeo (restringiamo il campo solo per una familiarità di veduta) è quello di muoversi nel dominio del “precario”, come se la materialità della condizione lavorativa avesse plasmato l’esistenza; oppure, in maniera molto più plausibile, proprio il tipo umano precario ha reso possibile l’imposizione di un certo modello all’interno del cosiddetto “mercato del lavoro”. Struttura e sovrastruttura si compenetrano sempre senza particolari gerarchie di preminenza, con buona pace di Marx. 

Un lungo processo di corrosione

Che cos’è la precarietà? “Precario” è ciò che è ottenuto per mezzo della “prex”, che è ottenuto, cioè, per preghiera. Il termine “precarìa” in età medievale indicava un rapporto di tipo feudale, che durava fino a quando il signore lo avesse voluto. C’è, quindi, in questo termine un’espressione sempre implicita di un rapporto binario. Vi è una volontà coercitiva ed una volontà impotente. Ma la prima rimane tale fintantoché la seconda resta tale; ovvero, la precarietà è possibile soltanto fintantoché l’ “homo precarius” non si emancipa dalla corrosione del tempo che lo ha reso tale. Il processo di corrosione è stato lungo e violento e si è mosso lungo il crinale storico che va dall’età dei Lumi fino a Nietzsche, il quale ha assunto su di sé tutte le conseguenze del progetto teorico e pratico degli illuministi. In questo arco di tempo l’uomo ha compiuto il suo deicidio e Nietzsche ha presentato il conto ad un tipo umano sradicato e incapace di sopportare tutta l’ “autonomia” che ha preteso. In questa sua incapacità trova terreno fertile il nichilismo dell’Occidente. La precarietà esprime proprio la mancanza di decisione e l’incapacità di decidersi nel mezzo del nichilismo da parte di questo tipo umano. 

Ansietà e deformità

Ecco come Emil Cioran si esprime in “L’inconveniente di essere nati”: «Tutto è; niente è. L’una e l’altra formula arrecano uguale serenità. L’ansioso, per sua disgrazia, rimane a mezza strada, tremebondo e perplesso, sempre alla mercé di una sfumatura, incapace di insediarsi nella sicurezza dell’essere o dell’assenza di essere». Proprio questa è una descrizione precisa del tipo umano precario, del tipo umano, cioè, che rimane nell’in-decisione. L’insicurezza, l’ansia, la schizofrenia sono caratteristiche peculiari degli uomini della nostra epoca. Secondo l’Istituto Nazionale della Salute Mentale, ansia, panico e disturbi correlati colpiscono circa 19 milioni di uomini di età superiore ai 18 anni in Europa. Il dato è fornito da un portale italiano specializzato in disturbi di ansia. L’elemento patologico non è assolutamente da passare sott’occhio, anzi, è certamente necessario restare ben saldi alla realtà empirica dei fatti per mostrare la veridicità di uno sguardo fenomenologico più profondo ed essenziale, come ad esempio quello di Cioran. Ben lontana dalla sicurezza dell’essere totalmente entificato in una dimensione puramente intelligibile,- quale poteva essere la sicurezza dell’uomo medievale europeo -, ben lontana dalla negazione dell’essere e di ogni sostanzialità – fuga prometeica destinata alla sperimentazione da parte di pochi uomini dissoluti -, la comunità europea rimane alla “mercé di una sfumatura”, invischiata nella materia senza forma (per dirla aristotelicamente): dappertutto domina il de-forme. Nelle scuole, nelle università, negli uffici, nel cinema, nelle arti figurative, nella letteratura  chiunque abbia coscienza dei fenomeni descritti ha la sensazione di essere travolto da una massa de-forme, caotica, indecisa, precaria di uomini ed espressioni. 

Una questione essenziale

Questo è il problema. Ed è un problema che rimane aperto, in quanto processo storico in atto e non è possibile indicare soluzioni definitive e formule certe. Così come avviene per ogni questione essenziale, è lecito esclusivamente porre domande essenziali. Ammesso che si confidi nel superuomo di Nietzsche, nell’uomo differenziato di Evola, nel “waldgang”  di Jünger, modelli teorici e pratici d’uscita dalla precarietà dello spirito, è mai possibile una salvezza comunitaria? La precarietà ormai radicale, che è un fenomeno di massa, può avere una soluzione di massa? Su quale base, oggi che anche sulle “religioni laiche” sembra non si possa più fare affidamento, verrà costruita una palingenesi – seppur utopica – di una qualche comunità europea? Quale tipo di saldezza spirituale salverà la precarietà delle masse? Forse la questione del ripensamento dell’essere, proposta da Martin Heidegger e dai più avvertita come mistica introspezione di un filosofastro-poeta, non è poi così futile e non ha affatto perso la sua attualità.

Dunque, se la battaglia sociale contro il lavoro precario in economia è conseguenza ed effetto di problemi più radicali, è conseguenza ed effetto di problemi più radicali anche nella sfera dell’esistenza. Quest’ultima, che abbiamo chiamato “precarietà dello spirito”, è di gran lunga una questione più difficile da comprendere, affrontare e risolvere. E, seppure si riuscisse a ridonare al lavoro la sua dimensione di stabilità, non si avrebbe di certo una conseguente stabilità dell’uomo nel frammezzo del nichilismo europeo. Marx perde, di nuovo.     

Tratto da “Polaris – la rivista n.9 – CRISI: COMBATTERLA O SUBIRLA” – acquista qui la tua copia

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