Antropologia Sociale

SUL FRONTE DELL’ESSERE – La rivoluzione digitale e l’uomo liquido

Lo scenario che si prospetta ai nostri occhi è uno scenario sempre più “liquido”, dove la fa da padrone la velocità con cui arriva l’informazione piuttosto che il senso del contenuto, dove l’interesse si polarizza in maniera puntiforme su un certo dato in un certo attimo, anziché – come dovrebbe – sul quadro, sulla visione d’insieme.

A quella sedimentata dell’uomo pre-digitale si va sostituendo una sorta di identità liquida, sempre meno definita e evanescente, intrinsecamente ambigua e priva di contorni definiti.

I rischi di tutto questo sono evidenti, labilità, superficialità, volatilità degli interessi e dei rapporti umani, culto del presente e dell’immediato, perdita della memoria e negazione del senso passato (che al più viene visto come una sorta di parco giochi) ma anche del futuro, perché si viene a perdere la visione prospettica e senza questa non è possibile costruire alcuna prospettiva ventura.

di Flavio NardiArchitetto e produttore discografico

La rivoluzione digitale in atto in questi anni sta comportando una radicale trasformazione non solo di usi e costumi ma anche degli stessi meccanismi della conoscenza, tanto da poter far dire a diversi osservatori che siamo di fronte ad una vera e propria mutazione antropologica.

Ma andiamo con ordine: in cosa consiste effettivamente la rivoluzione digitale? Diciamo subito che per quanto il piatto forte del cambiamento in atto sia da individuarsi senza dubbio nel fenomeno senza precedenti di internet, è il legarsi di questo alla fluidificazione dell’informazione ed alla diffusione orizzontale dei saperi sotto forma di dati digitali istantaneamente trasmissibili legata alla smaterializzazione dei supporti fisici a fare un cocktail dirompente, unico ed inedito. Dati audio e video, sostituti digitali della carta stampata concorrono complessivamente ad un panorama che vede la progressiva sparizione degli equivalenti fisici, i cosiddetti supporti dove un tempo quei dati venivano custoditi, ovvero CD, DVD, libri giornali, riviste.

È un processo – di cui tutto sommato stiamo in fase neanche troppo avanzata – che vede dunque come esito finale la pressoché completa smaterializzazione di tutto ciò che può essere trasformato in informazione digitale. E questa trasformazione in dati dello scibile umano si associa potentissimamente a internet, a questa specie di entità sempre più onnipresente dove la possibilità di reperire dati diviene ogni giorno più facile, dando quasi a chi ne fa uso l’illusione e l’ebbrezza di una specie di onnipotenza cognitiva.

Tutto questo ha un alto numero di conseguenze, alcune delle quali indubbiamente imponderabili. Una delle prime cose che si va constatando nel mondo di internet è per esempio una repentina trasformazione della natura dei rapporti personali, già ravvisabile nei soggetti più “immersi” nella rete. Di pari passo alla smaterializzazione dei supporti si accompagna una smaterializzazione delle relazioni, che diventano sempre meno fisiche e sempre più legate ad un tramite digitale: sms, e-mail, forum, blog sostituiscono progressivamente la conoscenza e il contatto fisico, e in qualche modo esaltano nel contempo le tendenze individualistiche e solipsistiche dell’umanità ultima.

La seconda osservazione è in campo cognitivo: l’informazione presa in rete va sostituendo specie nelle nuovissime generazioni la conoscenza tradizionale, sia scolastica che empirica, “esperienziale”. Internet diventa sempre più una specie di oracolo cui chiedere tutto. I limiti a questo sono da subito chiaramente evidenti, non solo per la radicale semplificazione delle informazioni, sempre meno dense e “macerate”, sempre più evanescenti ed istantanee, non sedimentate, ma anche per via della loro potenziale incompletezza se non falsità. Lo scenario che si prospetta ai nostri occhi è ovvero uno scenario sempre più “liquido”, dove la fa da padrone la velocità con cui arriva l’informazione piuttosto che il senso del contenuto, dove l’interesse si polarizza in maniera puntiforme su un certo dato in un certo attimo, anziché – come dovrebbe – sul quadro, sulla visione d’insieme. Ad una fruizione meditata e approfondita si sostituisce un consumo immediato, veloce e superficiale, alla conoscenza originata da scuola, famiglia ed ambiente sociale, l’infinito ed informe flusso di informazioni, suoni ed immagini della rete, a relazioni personali lente e stratificate l’estemporaneità del contatto telematico e relazioni virtuali e fragili, se non schizoidi, che nascono spesso da bisogni altrettanto virtuali e minate pertanto allo base, condannate alla volatilità.

In altre parole è a rischio la stessa identità personale: a quella sedimentata dell’uomo pre-digitale si va sostituendo una sorta di identità liquida, sempre meno definita e evanescente, intrinsecamente ambigua e priva di contorni definiti. I rischi di tutto questo sono evidenti, labilità, superficialità, volatilità degli interessi e dei rapporti umani, culto del presente e dell’immediato, perdita della memoria e negazione del senso passato (che al più viene visto come una sorta di parco giochi) ma anche del futuro, perché si viene a perdere la visione prospettica e senza questa non è possibile costruire alcuna prospettiva ventura. Se ora questo è vero in tendenza per quanti vivono già ora totalmente nel nuovo mondo digitale, lo è alla ennesima potenza per i cosiddetti “nativi digitali” ovvero le nuove generazioni che nascono e nasceranno già immerse nel nuovo mondo e che non hanno il retroterra “analogico” delle generazioni precedenti.

Il flusso diventa tutto. Stare nel flusso, a passo con il flusso. Siamo forse di fronte ad un nuovo passo in avanti – forse definitivo – del nichilismo? Un nichilismo sempre meno fiammeggiante e sempre più distratto e frescaccione, passivizzante rispetto ai concetti di futuro e di destino?

Questo cambio tecnologico che è certamente irreversibile e che pertanto deve necessariamente essere accettato come un dato di fatto, anzi come Il dato di fatto, porta con sé anche tutta una serie di ridisegni della realtà. E se alcune conseguenze sono indubbiamente interessanti proprio in relazione alle nuove inedite ed imprevedibili opportunità che si vengono a creare – perché nel Far West digitale accade un po’ di tutto – altri effetti tangibili fin da ora sono senz’altro pericolosi e inquietanti. 

Per essere espliciti come non vedere per esempio delle potenzialità enormi nella mutazione di scenari già dati per bloccati e inamovibili, come quello che vede la progressiva ritirata degli “old media” massmediatici a fronte dell’avvento dei “new media” fluidi, o per esempio nelle potenzialità che nascono proprio in relazione al ridisegno e rimescolamento dei linguaggi, degli immaginari e delle identità, del loro diventare fluidi e “relativi”, e quindi passibili di divenire terreno di inedite interessanti contaminazioni, tanto più interessanti se agite da entità “centrate” e identità forti? E come nel contempo non avvertire un persistente campanello d’allarme di fronte a mutazioni dirette a velocità supersonica nella direzione dello sfaldamento e della labilizzazione, quali per esempio la perdita diffusa del concetto di alto e basso, la crescente anestesia morale, la perdita del senso e della visione?

Il mondo dell’“uomo digitale” – a questo punto sarebbe meglio dire dell’“uomo liquido” – ha ben bisogno di bussole e per come si va presentando richiede necessariamente un modo d’uso e un riequilibrio forte che solo può venire da una coscienza dei rischi del passaggio, quindi dall’educazione e da un controbilanciare i nuovi squilibri che si vengono creando. E poiché a rischio sono soprattutto le nuove generazioni, i “digitali nativi”, centrale deve tornare ad essere non solo una sana presenza della realtà fisica che come minimo resti saldamente interfacciata a quella digitale, ma centrale deve tornare ad essere la formazione e soprattutto la nozione di una “educazione all’uso” unita al ritorno ad una – per quanto minima – visione etica. Fattori tutti che purtroppo dovrebbero venire da soggetti oggi “in ritirata” come la famiglia, lo Stato, la scuola, e che forse più facilmente potranno venire invece dal gruppo o dalla tribù che sempre più vanno avocando a sé ruoli formativi e pedagogici a fronte del crollo dei modelli educativi tradizionali. Non è escluso che un domani si creino varie forme differenziate tra chi sarà semplicemente agito dal flusso e tra chi in una qualche maniera dimostrerà di saper cavalcare il flusso, tra chi si sarà dato una identità forte e chi una di sabbia. E forse ancora una volta sarà nelle nicchie che si troveranno le risposte più interessanti.

Resta il dato della necessità di intervenire sulla formazione del carattere come sulla formazione della conoscenza: l’evanescenza si combatte con il contatto con la realtà, la virtualizzazione del sentire e delle emozioni con la ricerca di quelle reali, i rischi dello sfaldamento e della labilizzazione con il solido ancoraggio ad una visione dove passato-presente-futuro costituiscono una unica indissolubile stratificazione che trova il suo senso ultimo nella parola destino a fronte di un presentismo sempre più cinico e passivizzante.

Nel nuovo mondo c’è molto da fare.

Tratto da “Polaris – la rivista n.3 – GUERRE DI POSIZIONE” – acquista qui la tua copia

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