Antropologia Sociale

LE NOTIZIE DEL DIAVOLO – Addomesticamento e falsa conoscenza nell’era della comunicomania

Oggi la volontà manipolativa è diffusamente di massa, e si avvale di strumenti tecnici e scientifici assolutamente incontrollabili – Facebook, Twitter, telefonini, mailing list, forum ecc. – che servono contemporaneamente al controllo e al condizionamento, se non sorvegliati e guidati con correttezza e rigore, delle emozioni e dei comportamenti sociali, che nulla hanno da spartire con l’antico valore politico con la P maiuscola, se non quella di sedare le coscienze e neutralizzare la vera potenza della Politica.

Si arriva al risultato dell’addomesticamento, all’omologazione volontaria. La più recente e sofisticata informazione di massa non è – tanto per intenderci in termini storici – l’esibizione di potenza della Piazza Rossa, quella dello stadio di Berlino o dei Fori Imperiali, ma quella della massificazione dei gusti cinematografici, delle gite ai centri commerciali, delle file per l’acquisto delle novità tecnologiche o dei saldi nei negozi griffati.

di Adriano SegatoriPsichiatra psicoterapeuta

C’è una presunzione diffusa difficile da scalfire: quella che ritiene la nostra epoca come la migliore per conoscenza e per padronanza dei mezzi di comunicazione. Una presunzione che deriva dal martellamento mediatico che continua incessantemente a fornire notizie come se fossero aggiornamenti veritieri e immediate relazioni di eventi in corso.

In realtà, proprio la valanga inesauribile di informazioni rende pressoché impossibile la verifica dei fatti che vengono riferiti, con la conseguente deformazione degli stessi verso obiettivi di condizionamento sempre più sottile e pervasivo.

La comunicomania

Siamo nell’epoca di quella patologia che il recentemente scomparso James Hillman, il fondatore della psicologia archetipica, ha definito con il termine di “comunicomania”. 

Una volta, nello scritto, nel pensiero messo su carta e valutato prima della sua spedizione, c’era il tempo della meditazione, della verifica e della correzione. Il fatto di mettere “nero su bianco” – come si usa dire – prevedeva una riflessione doppia: sulle conseguenze che interessavano lo scrivente in caso di menzogna, e su quelle del ricevente in caso di mancata verifica che dei dati acquisiti. Anche negli strumenti fotografici esisteva un metodo di controllo: una foto doveva necessariamente portare il fotografo ad una distanza ravvicinata all’oggetto da inquadrare.

Certo, la disinformazione è sempre esistita, ma rispondeva a due esigenze mai estese, sempre circoscritte al dispositivo politico: la volontà implicita di condizionare un giudizio e l’esigenza altrettanto occulta di modificare la coscienza. Era una tattica professionale inquadrata nella propaganda, in quelle che Dario Fertilio chiama Le notizie del diavolo, secondo il titolo di un suo vecchio ma sempre attuale saggio. Faceva parte di una strategia per condizionare il nemico e indurlo in passi falsi e in decisioni controproducenti, attraverso la diffusione di informazioni deviate per demoralizzare l’uno ed esaltare l’altro. L’obiettivo mirato era creare uno o più fronti di contrapposizione in cui una parte doveva necessariamente prevalere sull’altra. 

Dal punto di vista psicosociale, questa propaganda agiva su cittadini riconosciuti, su decisori che in una certa misura dovevano essere partecipi – magari fuorviati – di piani politici. Era una informazione politica mirata. 

Oggi la volontà manipolativa è diffusamente di massa, e si avvale di strumenti tecnici e scientifici assolutamente incontrollabili – Facebook, Twitter, telefonini, mailing list, forum ecc. – che servono contemporaneamente al controllo e al condizionamento, se non sorvegliati e guidati con correttezza e rigore, delle emozioni e dei comportamenti sociali, che nulla hanno da spartire con l’antico valore politico con la P maiuscola, se non quella di sedare le coscienze e neutralizzare la vera potenza della Politica.

Una libido vegetativa

Questo apparato di disinformazione è rivolto alla tendenza opportunista di tutti, con lo scopo preciso di indurli a sentire voglie e mancanze di carattere materiale, vegetativo. Per dirla in termini filosofici, la vecchia informazione di massa tendeva ad agire sulla natura trascendente, quella delle idee e dei princìpi, quella attuale sulla natura contingente delle opinioni transitorie e sulla incostanza delle mode.

Il cambiamento non è da poco. Da un lato c’erano i cittadini da istigare a prendere posizioni ideologiche, dall’altro ci sono individui da condizionare al sottogruppo dei consumatori.

Le tecniche usate sono sempre più sottili e intersecate, quindi molto più difficili da svelare.

Innanzitutto, è stata instillata nella stragrande maggioranza delle persone la presunzione di capire e di scegliere. Nei fatti, le sollecitazioni sono tante e pressanti che ogni decisione è in qualche modo imposta, poiché la parte sollecitata non è il pensiero – perché questo, per quanto indirizzato da un’ideologia, è pur sempre il risultato di un’operazione razionale –, ma l’istinto puro che si anima da predisposizioni inconsapevoli ed emotive. Lo stato psicologico complessivo e collettivo è una specie di trans, come se la realtà circostante venisse costruita appositamente per essere abitata da una ben identificata specie di individui. Per questo motivo una colta e disincantata parte degli psicoanalisti parla di “pseudopadronanza”. Perché gli eccessi di sollecitazione fanno sì che ogni preferenza sia determinata dalla volontà esterna che indirizza, nella voluta confusione generalizzata, verso un obiettivo predefinito e involontario.

Poi, tutte le operazioni (dis)informative non sono guidate a liberare le risorse e le competenze del singolo, magari coinvolgendole in un gruppo condiviso, ma vengono convogliate verso un appiattimento di gusti e ad una omologazioni di stili. Il programma è quello di evitare le aggregazioni e di incentivare la disidentificazione. Tutti intercambiabili – dai partner affettivi ai rappresentanti politici – in quel dispositivo di consumo che caratterizza l’illusione democratica attuale. In questo senso si può ben dire che stiamo vivendo dentro la massima realizzazione del capitalismo, in cui la sedicente liberazione degli istinti altro non è che la schiavitù dei bisogni. Una gabbia dorata – e neanche per tutti – in cui le piccole soddisfazioni anestetizzano l’esigenza di una libertà reale.

L’omologazione volontaria

Infine, si arriva al risultato dell’addomesticamento, all’omologazione volontaria. La più recente e sofisticata informazione di massa non è – tanto per intenderci in termini storici – l’esibizione di potenza della Piazza Rossa, quella dello stadio di Berlino o dei Fori Imperiali, ma quella della massificazione dei gusti cinematografici, delle gite ai centri commerciali, delle file per l’acquisto delle novità tecnologiche o dei saldi nei negozi griffati. È quella dell’identificazione vischiosa alla rappresentazione sociale, alla maschera pubblicitaria, al conformismo assimilatorio. La nuova propaganda punta alla sedazione delle coscienze – quindi alla fine della dialettica e del confronto – e non all’esasperazione delle differenze. Anche in politica, ogni leader è assolutamente sovrapponibile ad un altro, ogni programma è convertibile in un altro, indipendentemente dai miseri e patetici balletti di intemperanze. Non c’è, in altri termini, una alternanza delle èlite, ma un trasformismo della stessa èlite, definita e controllata da altri poteri. Siamo di fronte alla destrutturazione del fattore soggettivo e alla costruzione di una virtuale identità collettiva.

Qualcuno potrà obiettare – per ignoranza e/o malafede – che anche le informazioni di massa ideologiche puntavano alla contaminazione diffusa di un pensiero unico. Ma questa interpretazione è deviata e fuorviante. Le propagande ideologiche facevano leva sul sentimento comunitario, quindi sullo spirito, sul sangue e sul destino del popolo; quelle attuali sulla sensazione di partecipazione e di adesione della popolazione. Le passate propagande erano incitatrici di una volontà politica; queste che subiamo sono preposte a creare una passività commerciale. Le prime si appellavano all’orgoglio della nazione, esaltando il sacrificio e lo spirito del casato comune; le seconde fanno leva sull’autocompiacimento individuale, eccitando l’edonismo e l’uniformità del mercato globale. Nessuna confusione, perciò, tra le strategie trascorse per educare agli ideali e le tattiche presenti per ammaestrare alla gestione del contingente. Ecco, proprio educazione potrebbe essere la parolina magiche che le distingue, poiché, come esemplifica Gómez Dávila: «Educare non è trasmettere ricette: è comunicare entusiasmi e ripugnanze».

Tratto da “Polaris – la rivista n.8 – GLOBAL OCTOPUS OPPURE NO?” – acquista qui la tua copia

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