Antropologia Sociale

IL FANTASMA DELLA LIBERTÀ – Un miraggio da tante generazioni?

Libertà e uguaglianza. Due termini apparentemente congiunti che però alla luce dei fatti si sono dimostrati  concorrenziali tra loro. Fino a che si è giunti ad uno scenario in cui vengono messi in discussion entrambi.

Il fallimento delle diverse ipotesi socialiste non ha riportato il mondo ai modelli organicistici che avevano preceduto lo sviluppo dello Stato moderno. Ha configurato, invece, ferree oligarchie finanziarie e industriali che premiano lo sfruttamento e penalizzano i contesti in cui vengono rispettati i diritti dei lavoratori.

di Francesco Ingravalle Professore universitario e saggista

La libertà come fantasma? Quale libertà? Quella nata dall’intreccio della rivoluzione industriale e della rivoluzione politica: la libertà delle società liberali. Più di vent’anni fa era in voga un ragionamento semplice, ma non privo di attrattive: con l’abbattimento del muro di Berlino l’ultima forma di totalitarismo era scomparsa, restava l’Occidente liberale, certo imperfetto, ma dotato di un capitalismo dal volto umano, costellato di tutele sociali, ancorato, per il momento a modelli di Welfare di certo migliorabili facendo convivere libertà di mercato e coesione sociale. Di tutto questo, oggi, non rimane nulla: un ventennio di neoliberismo è bastato per spazzare via ogni illusione, in materia di uguaglianza della dignità di tutti coloro che lavorano e di uguaglianza nella libertà. Perché?

Le libertà economiche a sfondo della libertà occidentale

La libertà è un concetto socio-politico il cui fondamento è economico: non esiste libertà laddove esiste miseria o carenza di mezzi di sostentamento (lasciamo da parte le trattazioni filosofiche sulla libertà interiore in quanto non pertinenti).

Tutti ricorderanno Aristotele e la sua nota tesi sulla superiorità della vita teoretica, contemplativa, rispetto alla vita pratica; non tutti ricorderanno, forse, che la premessa concreta del discorso di Aristotele è la libertà, cioè il non dover lavorare per terze persone per vivere e l’avere chi lavora per noi (nell’Atene del IV secolo a. C.: gli schiavi); ancora Kant non aveva difficoltà nel riconoscere i diritti politici attivi al barbiere, che, tuttavia, negava recisamente al garzone del barbiere. La libertà politica, chiara nell’esercizio dei diritti politici e nell’elettorato attivo e passivo, è il riflesso della condizione economica e sociale del soggetto, del suo grado effettivo di autosufficienza economica: questa fu la pietra angolare del liberalismo classico (Benjamin Constant). Ciò premesso, ricordiamo che Aristotele indicava, conformemente alla opinione comune ateniese del IV secolo a. C., nella politica e nella guerra le due attività conformi al cittadino (che, quindi, non si vede riconosciuto alcun ruolo di produttore, ma soltanto quello di proprietario terriero e di proprietario di schiavi).

La fine della società schiavistica reale (non della sua apparenza giuridica) come modello si deve datare  dall’utilizzo delle macchine nei processi produttivi; ma essa è parimenti la fine del lavoro artigianale nel quale il soggetto proprietario dei mezzi di produzione poteva realizzare sé stesso e aveva una precisa dignità all’interno della propria corporazione. In luogo dello schiavo e dell’artigiano compare il lavoratore, in luogo della negazione dei diritti agli uni e della attribuzione ai soli altri, compare la figura del lavoro alienato (analizzato da Marx già nel 1844) progressivamente accompagnata dal riconoscimento di diritti formali, anche cospicui, culminata nei modelli di Welfare State. La rivoluzione telematica ha intellettualizzato e smaterializzato i settori produttivi strategici delocalizzando le produzioni e aumentando le istanze amministrative e di controllo e potenziando la produzione in serie di oggetti. Il lavoro alienato è divenuto la regola e il divertissement organizzato la valvola di sfogo per coloro che lavorano flessibilmente senza sapere ben perché, né a che cosa. 

Su questo sfondo si collocano le libertà occidentali.

Libertà e disuguglianza

Quello che fino a ora abbiamo detto ha un senso preciso soltanto all’interno di determinate coordinate culturali occidentali: senza l’esperienza delle pòleis elleniche, l’elaborazione della libertà interiore sviluppata dalla scuola filosofica della Stoà, il suo potenziamento attraverso il Cristianesimo, la sua generallizzazione attraverso l’Illuminismo soprattutto scozzese, l’intero edificio teorico che associa la libertà all’uguaglianza dei diritti sarebbe impensabile. Il filo rosso dell’idea della libertà e dell’uguaglianza, efficacemente teorizzato da Kant là dove egli identifica libertà e capacità di autodeterminarsi e fa di quest’ultima la sostanza dell’essere umano è la base non soltanto dei diritti dell’uomo e del cittadino, ma soprattutto della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948.

Ebbene, questo rilevante processo ideale si è sviluppato via via che l’organizzazione concreta delle società occidentali è divenuta meno incline a riconoscere e ad attuare le basi concrete della libertà e dell’uguaglianza. La società capitalistica  non è fondata sull’uguaglianza, proprio perché lo sviluppo dell’economia di libero mercato – vera trascrizione sociale della legge della jungla – mette capo alla formazione di gerarchie economiche, di disuguaglianze non soltanto all’interno delle compagini statali, ma anche tra compagini statali. Nelle democrazie rappresentative non regna altra uguaglianza che quella formale; chi può dire in tutto l’occidente che a ognuna e a ognuno le democrazie forniscano uguali chances di formazione, uguali possibilità di vita dignitosa? Valgono, su questo punto, le osservazioni di Marx nella Jüdenfrage  del 1844: che cos’è l’uguaglianza giuridica quando essa si accompagna con la disuguaglianza delle opportunità economiche?

Minor libertà

Tuttavia, ogni sistema che abbia tentato di realizzare uguali opportunità economiche si è finora tradotto in una compressione delle libertà individuali; lo notava già Alexis De Tocqueville: la storia della libertà non è la storia dell’uguaglianza. Potremmo aggiungere che uno dei tratti dello sviluppo delle società industriali è stato il paradossale intensificarsi della differenziazione sociale e dell’individualismo a fianco del livellamento comportamentale: lo notava Georg Simmel nel saggio Die Mode del 1913; l’atomizzazione individualistica sembra coincidere con la massificazione e con la riduzione dei soggetti a produttori e consumatori intercambiabili e oggetti di una inquietante flessibilità (si vedano le osservazioni di Richard Sennett nel saggio L’uomo flessibile).

La vittoria dell’Occidente nella ‘terza guerra mondiale’ (la «guerra fredda») conclusasi nel 1989 non ha concretizzato libertà maggiore, se non in termini di consumi (una libertà che la crisi finanziaria iniziata nel 2008 e attualmente giunta a configurarsi come pesante recessione potrebbe ridimensionare drasticamente) ed è coincisa con un radicalizzarsi delle disuguaglianze in tutto il mondo. Nella realtà le democrazie occidentali sono oligarchie al loro interno e promotrici di disuguaglianza e, quindi di minore libertà in tutto il mondo.

Il dominio dell’elementare

Non ci si può sottrarre alle condizioni poste dalla modernità: le possibilità di realizzare libertà e uguaglianza sono a portata di mano, come notava già Marcuse in One-Dimensional Man; ma il fallimento delle diverse ipotesi socialiste non ha riportato il mondo ai modelli organicistici che avevano preceduto lo sviluppo dello Stato moderno. Ha configurato, invece, ferree oligarchie finanziarie e industriali, opinioni pubbliche fabbricate attraverso il monopolio dei mezzi di informazione, rischiose escursioni dei mercati finanziari dai valori positivi a valori negativi che bruciano investimenti in posti di lavoro, delocalizzazioni della produzione che premiano lo sfruttamento e penalizzano i contesti in cui vengono rispettati i diritti dei lavoratori.

In queste condizioni la libertà moderna diventa un fantasma sempre più diafano, via via che la coesione sociale dispare per effetto della recessione in Occidente. Sembra profilarsi all’orizzonte una società non troppo dissimile da quella teorizzata da Ernst Jünger nell’opera Der Arbeiter del 1932: una società tecnologica in cui il dominio dell’elementare mette senza troppi complimenti da parte il problema della libertà, che riconosce soltanto gerarchie di sapere e di efficacia nei termini di un disvelamento nichilistico dell’economia capitalistica. L’evocazione rituale dei diritti e delle libertà in cui né gli uni, né le altre hanno effettiva cittadinanza illumina di luce paradossale il primo decennio del XXI secolo.

Tratto da “Polaris – la rivista n.7 – IL FANTASMA DELLA LIBERTÀ” – acquista qui la tua copia

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