Riflessioni

IL DOVERE DI ESSERE LIBERI – Volontà e destino sulla via del bosco

La società moderna, nella sua pretesa di tutto regolamentare, soffoca le libertà più elementari. Al tempo stesso tende a privare la comunità della sua profonda essenza culturale. 

La libertà esistenziale e filosofica secondo gli insegnamenti di Meister Eckhart e di Ernst Jünger diviene anche una possibilità per navigare sulle onde e non affogare tra i flutti. 

di Pietro Falagiani Collaboratore universitario presso la cattedra di Estetica dello Spettacolo dell’Università degli Studi di Milano, produttore esecutivo musicale 

“L’uomo si trova al centro di una grande macchina ideata per distruggerlo.”(1) Lo shock del filosofo umanista di fronte alla natura dissolutiva della società in cui l’utilitarismo sovrasta l’uomo è colto con lucidità dal Trattato del Ribelle. Ernst Jünger, definendo la via del bosco come il luogo metaforico in cui è possibile resistere non in un orgoglioso e sterile isolamento ma concentrando la propria attenzione sulle retrovie del nemico stesso, sugli spazi che si sottraggono al controllo e non sono intaccati dalla sudditanza rispetto all’impianto ideologico dominante, apre la strada alla figura rivoluzionaria del Ribelle che, pur non rifiutando a priori ogni forma di ordinamento sociale – e in tal senso distinguendosi dall’anarchico – riconosce un ordine più elevato rispetto a quello che lo circonda e ad esso è disposto a dedicare la propria esistenza. 

Il Ribelle di Jünger 

“Il bosco è ovunque, nel deserto, nella macchia, in patria e in ogni luogo dove il Ribelle possa praticare la resistenza. Ma il bosco è soprattutto nelle retrovie del nemico stesso. La situazione mondiale è favorevole al Ribelle: crea degli equilibri che favoriscono l’azione libera. Nella guerra civile planetaria ogni territorio nuovo che viene conquistato va ad accrescere queste retrovie.”(2) Da questa prospettiva eventi come l’estensione del liberalismo alla Cina, nella sua forma più spietata di profitto senza regole, che mastica e digerisce identità, diritti e libertà individuali, per quanto drammatici, non assumono l’aspetto di un declino irreversibile. Al contrario, lo stesso propagarsi delle ideologie e delle loro paradossali contraddizioni apre nuovi spazi, offre nuove possibilità di resistere ad esse su un piano mondiale.

Jünger coglie il nesso tra l’azione politica volontaristica e antropocentrica, quindi arrogante e ingenua allo stesso tempo, e la perdita della capacità, propria della visione umanista e delle fonti che la hanno alimentata e preservata nei secoli, di cogliere il mondo e le sue leggi non manifeste all’interno dell’individuo stesso. Il Trattato, infatti, descrive le elezioni come un plebiscito mascherato(3) e mette in guardia dalle “epoche in cui l’uomo si adopera per ottenere l’uguaglianza universale, che producono frutti ben diversi da quelli sperati”(4), infatti “il dominio si ristabilisce più saldo che mai dopo che l’uguaglianza è stata sulla bocca di tutti.”(5) È proprio la pretesa di imporre la libertà, quindi, a preparare il terreno all’annientamento dell’uomo, ridotto al rango di cifra, di dato economico o elettorale, inferiore persino a quello di un oggetto.

Le forme di governo politico più libertarie possono essere la maschera della più spietata dittatura nel momento in cui si afferma la presunzione di rifondare l’uomo privandolo della sua essenza culturale. Se nel dibattito politico-culturale ricorre l’affermazione che la politica dovrebbe governare gli aspetti economici, e non esserne la mera espressione istituzionale, Jünger riesce a indicare un ambito ancora più alto di quello politico, una tensione interiore che lega l’uomo al suo ethos, a quel carattere che è originario, non nel senso di arcaico, ma di iniziale, unica possibile fonte di realizzazione dell’individuo. In tal senso la libertà diventa un dovere, un ricongiungimento dell’essere umano al proprio destino. 

Eckhart e la libertà come ritorno all’inizio 

Anche nell’insegnamento di Eckhart, che ha avuto grandi influssi sul pensiero filosofico e politico moderno, ricorre la riflessione sulla libertà come ritorno dell’uomo al suo inizio. Il pensiero eckhartiano tende alla comprensione dell’individualità come principio assoluto, non soggettivo, evidenziando aspetti che nel XIV secolo furono condannati perché giudicati prossimi all’eresia.(6) Il destino dell’uomo, per Eckhart, si compie nell’esercizio supremo della libertà. “Dicono i maestri(7) che la volontà è così libera che nessuno può costringerla, se non Dio solo. Ma Dio non costringe la volontà, piuttosto la pone nella libertà, in modo tale che essa non vuole altro che ciò che è Dio stesso, e che la libertà stessa è. Lo spirito non può volere altro che quel che Dio vuole, e questa non è la sua assenza di libertà, ma la sua libertà originaria.”(8) La povertà di spirito è, per Eckhart, l’assenza di volontà individuale, il ritorno a uno stadio di integrità che precede la stessa esistenza umana: se vuole soddisfare la volontà di Dio, l’uomo ha ancora un volere, “e questa non è la vera povertà. Se l’uomo deve avere vera povertà, deve essere così vuoto della propria volontà creata come lo era quando non esisteva. […] Perciò preghiamo Dio di diventare liberi da Dio, e di concepire e godere eternamente la verità là dove l’angelo e la mosca e l’anima sono uguali; là dove stavo e volevo quello che ero, ed ero quello che volevo.”(9) 

Indietreggiare, navigare o attendere di essere sommerso 

Dalla prospettiva jüngeriana, la libertà illusoria delle ideologie moderne è il frutto dell’opposizione dell’uomo al suo ethos, della lotta dell’individuo contro la sua stessa natura, che dovrebbe invece essere posta al di sopra degli ordinamenti politici realizzati storicamente; e la parola eckhartiana, in tal senso, ne rappresenta il completamento necessario perché trova il fondamento più libero della natura umana oltre l’uomo stesso. Probabilmente solo l’estetica contrappuntistica saprà mostrare alla cultura europea, attraverso la mimesi realizzata dalla polifonia, il dispiegarsi delle leggi interne che dominano la natura del mondo con la chiarezza del predicatore domenicano.

Oggi, come in ogni altra epoca, nel tempo della krisis – cioè della decisione – l’uomo sta in piedi di fronte alla marea crescente. Gli è data la possibilità di scegliere se indietreggiare, navigare o attendere di essere sommerso. I grandi capitali economici sopravvivono spostandosi dai territori che li hanno alimentati fino a essere ormai divenuti sterili a quelli che, non ancora incanalati sulla via delle moderne economie di mercato, hanno materiale umano e risorse da offrire.

La lirica L’incubo di Abdulah Sidran(10) esprime uno stato d’animo che le popolazioni delle cosiddette economie emergenti, alle quali il profitto economico sta portando via terre e cultura, possono ben comprendere, simile a quello shock che l’uomo del primo Novecento provava di fronte all’affermarsi della società industriale e che rende, in ogni fase storica, l’individuo simile a un fantasma. La lirica di Sidran descrive, tuttavia, anche il primo passo del Ribelle: la consapevolezza di dover desiderare la propria libertà e di non avere altra scelta che mettersi in cammino verso di essa. 

Che stai facendo, figlio? 

Sogno, madre mia, sogno che sto cantando,
e tu mi chiedi, nel sogno: che stai facendo, figlio? 

Che canti nel sogno, o figlio? 

Canto, madre, che avevo una casa.
E adesso la casa non ce l’ho. Questo canto, madre. 

Avevo la mia voce, o madre, e la mia lingua avevo. E ora non ho voce né lingua. 

Con la voce che non ho, nella lingua che non ho, dalla casa che non ho, io canto la mia canzone, o madre. 

1. E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, Milano 1994, p. 115. 2. Ibid., pp. 106-7.

3. Ibid., p. 13.

4. Ibid., p. 126. 

5. Ibid., p. 127.

6. Il processo per eresia a carico di Eckhart, che si tenne davanti all’Inquisizione, fu aperto a Colonia nel 1326 dall’arcivescovo Enrico di Virneburg, artefice, in quegli anni, della persecuzione dei begardi e del movimento del Libero Spirito. Dopo essersi appellato al Papa Giovanni XXII e avere ottenuto di essere giudicato dalla massima autorità ecclesiastica, Eckhart muore in circostanze che non ci sono note. In seguito ventotto proposizioni eckhartiane saranno condannate pubblicamente da Giovanni XXII nella bolla In agro dominico. L’autodifesa di Eckhart è stata pubblicata da A. Daniels nel 1923 col titolo Eine lateinische Rechtfertigungsschrift des Meister Eckharts in: “Beitrage zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters”, XXXII, 5. Cfr. Meister.

7. Tommaso, Summa theologiae, I q. 105 a. 4.

8. Meister Eckhart, op. cit., p. 96.

9. Ibid., pp. 132-3.

10. A. Sidran, Il grasso di lepre, Casagrande, Bellinzona 2010. 

Tratto da “Polaris – la rivista n.7 – IL FANTASMA DELLA LIBERTÀ” – acquista qui la tua copia

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